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La nuova corsa ai poli, per le materie prime

Creato il 27 gennaio 2015 da Valtercirillo

La nuova corsa ai poli, per le materie prime

Ha cominciato la Russia. Nel 2007 un sommergibile della spedizione "Arktika 2007″ è arrivato per la prima volta a toccare il fondale del Mar Glaciale Artico nel punto esatto al di sotto del Polo Nord, a 4261 metri di profondità, e ci ha piantato una bandiera russa in titanio antiruggine. Una mossa spettacolare ma non solo simbolica: uno degli obiettivi principali della missione era suffragare le rivendicazioni russe su larghe porzioni dell'Artico.

In base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, gli Stati possono sfruttare in modo esclusivo le risorse minerarie e gli idrocarburi presenti nel sottosuolo della propria piattaforma continentale (definita come "prolungamento naturale del territorio del Paese"), anche oltre il limite delle 200 miglia nautiche (370 chilometri) dalla costa, che demarca la Zona economica esclusiva di pertinenza del Paese.

La nuova corsa ai poli, per le materie prime
Per l'attribuzione della piattaforma continentale artica, la discriminante è la Dorsale di Lomonosov (nella cartina), la catena montuosa sottomarina che divide in due il Mar Glaciale Artico, passando vicino al Polo. E qui la questione diventa delicata dal punto di vista geologico. Secondo la Russia, la Dorsale di Lomonosov è geologicamente un'estensione del continente eurasiatico (e quindi dell'Artide russa). E in effetti la Russia lo aveva affermato ben prima del 2007: la rivendicazione russa era già stata presentata ufficialmente nel 2001 alla Commissione delle Nazioni Unite sui limiti della piattaforma continentale; è stata poi ribadita in base ai risultati della spedizione "Arktika 2007″, ma la Commissione non si è ancora pronunciata.

Cifre da capogiro

Se otterrà ragione sulla Dorsale di Lomonosov, la Russia si assicurerà i diritti di sfruttamento su enormi aree del Mar Glaciale Artico, ricchissime di risorse minerarie. E non si parla di cifre da poco. Nel 2008 una ricerca della Geological Survey degli Stati Uniti ha rivelato che in base alle stime il Mar Glaciale Artico ospita 90 miliardi di barili di petrolio e 47.000 miliardi di metri cubi di gas naturale, pari rispettivamente al 13% e al 30% delle risorse (convenzionali) mondiali ancora da scoprire: riserve che potrebbero rivelarsi cruciali in futuro, soprattutto se i prezzi del petrolio e del gas torneranno a salire.

Intanto nel 2014 la Russia ha rinnovato la provocazione, in modo forse ancora più spettacolare, portando la fiamma olimpica al Polo Nord (nella foto in alto) in occasione delle Olimpiadi invernali di Soči. La fiamma olimpica, per tradizione, dopo l'accensione in Grecia viene portata in giro per il Paese ospitante: facendola passare per il Polo, a bordo del rompighiaccio a propulsione nucleare 50 Let Pobedy, la Russia ha implicitamente ribadito i propri diritti sul Polo Nord (e quindi sulla piattaforma continentale).

Nel frattempo gli altri Paesi non sono stati a guardare. Nel 2014 la Danimarca (che ha la sovranità sulla Groenlandia, quindi sul punto delle terre emerse più vicino al Polo) ha presentato la propria rivendicazione ufficiale alla Commissione dell'Onu, sostenendo che la Dorsale di Lomonosov è l'estensione naturale dello scudo geologico groenlandese. Per il Canada invece è il prolungamento dello scudo continentale nordamericano; la rivendicazione canadese non è stata ancora ufficializzata ma è attesa a breve. La decisione finale della Commissione delle Nazioni Unite potrebbe però richiedere anni di lavoro.

Gli altri Paesi che si affacciano sul Mar Glaciale Artico, gli Stati Uniti (con l'Alaska) e la Norvegia, hanno invece pochi appigli per estendere significativamente i limiti delle proprie piattaforme continentali. La Norvegia però, da parte sua, punta a espandere i suoi diritti sui ricchissimi giacimenti petroliferi al largo delle sue coste settentrionali.

La legge norvegese vieta l'estrazione di idrocarburi nelle zone adiacenti alla banchisa artica. A causa del riscaldamento globale, però, i ghiacci artici si stanno ritirando, e il limite della banchisa non è più quello su cui si basano i permessi minerari attuali, definito fra il 1967 e il 1989. All'inizio del 2015 il ministro dell'ambiente Tine Sundtoft ha quindi dichiarato che la delimitazione delle aree idonee alle perforazioni petrolifere sarà rivista in base ai nuovi dati, raccolti fra il 1984 e il 2013. Di conseguenza sarà possibile per la Norvegia estrarre petrolio in zone finora interdette.

E il Paese più affamato di materie prime, la Cina? La Cina, che per soddisfare il fabbisogno crescente di energia si sta accaparrando buona parte delle risorse minerarie africane? Esclusa per ovvi motivi geografici dal contesto artico, la Cina guarda agli antipodi, cioè all'Antartide, ricca anch'essa di petrolio, gas e altri minerali - anche se in questo caso le stime quantitative sono incerte. Ma al Polo Sud i problemi dal punto di vista del diritto internazionale sono ancora maggiori.

Il Trattato Antartico del 1959 non riconosce né rifiuta le rivendicazioni territoriali avanzate in passato da alcuni Paesi (Argentina, Australia, Cile, Francia, Norvegia, Nuova Zelanda e Regno Unito), ma proibisce nuove rivendicazioni: da questo punto di vista la Cina, che ha aderito al Trattato nel 1983, è tagliata fuori. Ma soprattutto il Protocollo al Trattato Antartico sulla protezione ambientale, firmato nel 1991, vieta "ogni attività legata alle risorse minerarie, a parte la ricerca scientifica", per tutta la durata della sua validità, cioè fino al 2048 (ed è per questo che non esistono stime precise, oltre che per le difficoltà ambientali e logistiche).

La Cina ha ratificato anche il Protocollo e le sue basi antartiche - così come quelle degli altri Paesi - conducono solo ricerche scientifiche. Nel frattempo, però, sta studiando la situazione. Secondo un rapporto dell'Istituto polare cinese del 2005, le risorse minerarie antartiche sono il principale motivo per l'esplorazione del continente, e il loro sfruttamento "è solo questione di tempo". Gli autori, Zhu Jiangang, Yan Qide e Ling Xiaoliang, sottolineano comunque che la Cina, se avviasse attività minerarie, infrangerebbe il trattato.

Un rapporto più recente, prodotto nel 2013 dall'Ente cinese per l'Artide e l'Antartide e citato dal sito australiano abc.net, va oltre e sembra dare per scontato che, a partire dal 2048, scatterà la corsa alle miniere: "Indipendentemente da come sarà effettuata la spartizione, la Cina deve avere una quota delle risorse minerarie antartiche, per assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo della sua popolazione di oltre un miliardo di abitanti".

I dirigenti cinesi hanno più volte ribadito l'intenzione di rispettare il Trattato e il protocollo (la dichiarazione più recente è quella del presidente Xi Jinping, alla fine del 2014). Ma si può già prevedere che nel 2048 si riapriranno i giochi.

Paolo Gangemi

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