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La popolarità della cultura

Da Marcofre

Tutti o quasi sono persuasi del valore della cultura, e di come questa sia indispensabile allo sviluppo di un Paese. Il problema si scatena quando si cerca disperatamente di renderla appunto popolare. Fare cioè in modo che le persone che fanno la spesa al Lidl, acquistano Sorrisi e Canzoni, guardano il Grande Fratello, comprendano che si stanno perdendo un’occasione d’oro.

Qui torna alla ribalta il grande interrogativo: che cos’è la cultura? Non è una questione di lana caprina perché se non sai definire cosa vuoi proporre a Caio, probabilmente Caio nemmeno si prenderà la briga di ascoltarti.
Alcuni hanno risolto il dilemma dicendo: “Tutto è cultura!”. Come qualsiasi tronco di pioppo può capire, non è la risposta esatta. A questo punto però mi rendo conto che dovrei dire la mia.

La cultura è tutto ciò che mi allontana dalla scimmia che ero. Leggere “L’Idiota” di Dostoevskij, ascoltare Bach o Beethoven, sono tutte opportunità che mi elevano dalla condizione animalesca che alberga in me. Siccome la bestia c’è eccome, e gode di ottima salute, la “guerra” che scateno contro di essa ricomincia ogni giorno.

Al mattino, si decide cosa fare. Dipende da noi. Attorno, un mondo che spesso ha tutto l’interesse a coltivare la scimmia. Questo è un animale semplice, con dei bisogni elementari, e che non occorre affaticare troppo, poverino.

Aggiungiamo che questa bestia è persuasa di essere già una personcina a modo perché guida un’automobile, ha una carta di credito e va allo stadio, e la frittata è fatta. Spesso, non ha mai avuto persone che le hanno proposto di dire addio alla sua condizione animalesca.
Ma questo addio è possibile dirlo anche se si è da soli. È sufficiente volerlo.

Sto divagando? Solo a prima vista. Secondo me, la cultura non può essere popolare. Rispetto al passato, ci sono moltissimi mezzi che le permettono di raggiungere chiunque in breve tempo. Ma alla fine tocca all’individuo accettare la sfida. E di solito preferisce rifiutare.
Prima ho scritto che attorno a noi tutto congiura per tenerci legati alla catena dei bisogni elementari (o superflui?). Direi che è quasi ovvio.

Buona parte dei mezzi di comunicazione di massa che sono sul banco degli imputati perché rincretiniscono, fanno solo il loro lavoro. È inutile criticare la televisione perché non trasmette solo Piero e Alberto Angela.
La maggioranza delle scimmie non gradirebbe affatto questo genere di programmi. Non solo.

La televisione ragiona in termini di target, non certo di persone. Deve raggiungere quello, invece di queste. Come catturare i ragazzi tra i 10 e i 15 anni? E le casalinghe? È evidente che riuscendo nell’intento arriveranno i soldi (degli investitori), altrimenti si chiuderà la baracca. Alcuni preferirebbero che chiudesse, ma sorvoliamo.

Sì, in teoria si potrebbero sognare canali e spazi più liberi da questi condizionamenti. Ci sono? Qualcosa, però intendiamoci. Un conto è sedersi e ascoltare il maestro Uto Ughi, e magari parlarne in maniera dottissima. Un conto è comprendere come quella musica possa agire su di noi, e lasciarla fare. Solo in questa maniera la scimmia inizierà a perdere terreno, altrimenti sarà solo una scimmia col tight. E le scimmie col tight hanno la tendenza a creare campi di lavoro o di concentramento che dir si voglia.

Siamo tornati all’inizio, vero?
Gli strumenti sono inutili se l’individuo d’un colpo non capisce che c’è dell’altro dietro le apparenze, e che è più divertente andare a toccare con mano, invece che biascicare idee e concetti sentiti in giro.


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