Magazine Diario personale

La ricetta del buonumore

Da Pep89

Stamattina voglio andare più sul pesante. Non un testo di canzone impegnativo, ma addirittura qualcosa di più "intellettuale". Ma vi assicuro che sarà molto interessante, perchè si parla di buonumore. E lo faccio attraverso un articolo de "la Repubblica" di Umberto Galimeberti, filosofo e psicanalista.
Gli ultimi studi mostrano che i geni c'entrano poco. Lo "star bene" si apprende: dipende dall'accettazione di sé
LA RICETTE DEL BUONUMORE: "DIVENTA CIò CHE SEI"
IL BUONUMORE è una condizione esistenziale a cui tutti ambiscono e, incapaci di raggiungerla, attribuiscono il fallimento agli altri o alle circostanze del mondo esterno, quali l'amore, la salute, il denaro, l'aspetto fisico, le condizioni di lavoro, l'età, cioè una serie di fattori su cui non esercitiamo praticamente alcun potere di controllo. Ciò consente a ciascuno di noi di esonerarci dal compito di essere non dico felici, ma almeno di buonumore, perché nulla possiamo fare sulle circostanze che non dipendono da noi.
Eppure questa condizione dell'animo è accessibile a qualsiasi essere umano a prescindere dalla sua ricchezza, dalla sua condizione sociale, dalle sue capacità intellettuali, dalle sue condizioni di salute. Non dipende dal piacere, dalla sofferenza fisica, dall'amore, dalla considerazione o dall'ammirazione altrui, ma esclusivamente dalla piena accettazione di sé, che Nietzsche ha sintetizzato nell'aforisma: "Diventa ciò che sei".
Sembra quasi un'ovvietà, ma non capita quasi mai, perché noi misuriamo la felicità, da cui scende il nostro buon o cattivo umore, non sulla realizzazione di noi stessi, che è fonte di energia positiva per quanti ci vivono intorno, siano essi familiari, colleghi, conoscenti, ma sulla realizzazione dei nostri desideri che formuliamo senza la minima attenzione alle nostre capacità e possibilità di realizzazione. Non accettiamo il nostro corpo, il nostro stato di salute, la nostra età, la nostra occupazione, la qualità dei nostri amori, perché ci regoliamo sugli altri, quando non sugli stereotipi che la pubblicità ci offre ogni giorno.
Distratti da noi, fino a diventare perfetti sconosciuti a noi stessi, ci arrampichiamo ogni giorno su pareti lisce per raggiungere modelli di felicità che abbiamo assunto dall'esterno e, naufragando ogni giorno, perché quei modelli probabilmente sono quanto di più incompatibile possa esserci con la nostra personalità, ci facciamo "cattivo sangue" e distribuiamo malumore, che è una forza negativa che disgrega famiglia, associazione, impresa, in cui ciascuno di noi è inserito, perché spezza la coesione e l'armonia, e costringe gli altri a spendere parole di comprensione e compassione per una sorte che noi e non altri hanno reso infelice.
Se il cattivo umore è il risultato di un desiderio lanciato al di là delle nostre possibilità, non ho alcuna difficoltà a dire che chi è di cattivo umore è colpevole, perché è lui stesso causa della sua infelicità, per aver improvvidamente coltivato un desiderio infinito e incompatibile con i tratti della sua personalità, che non si è mai dato la briga di conoscere.
A questo punto il buonumore non è più una faccenda di "umori", ma oserei dire un vero e proprio "dovere etico", non solo perché nutre il gruppo che ci circonda di positività, ma perché presuppone una buona conoscenza di sé che automaticamente limita l'ampiezza smodata dei nostri desideri, accogliendo solo quelli compatibili con le proprie possibilità. Infatti, nello scarto tra il desiderio che abbiamo concepito e le possibilità che abbiamo di realizzarlo c'è lo spazio aperto, e talvolta incolmabile, della nostra infelicità, che ci rode l'anima e mal ci dispone di fronte a noi e agli altri.
Le conseguenze sono note: ansia e depressione che, opportunamente coltivate dal rilancio del desiderio, quasi una reiterazione della nostra prevedibile sconfitta, diventano condizioni permanenti della nostra personalità, che abbassano il tono vitale della nostra esistenza, quando non addirittura, a sentire i medici, il nostro sistema immunitario, disponendoci alla malattia, che non è mai solo un'insorgenza fisica, ma anche spesso, e forse soprattutto, una disposizione dell'anima che ha rinunciato a quel dovere etico che Aristotele segnala come scopo della vita umana: la felicità.
Naturalmente Aristotele, da greco, non si lascia ingannare da cieche speranze o da promesse ultraterrene, e perciò pone, tra le condizioni della felicità, la conoscenza di sé, da cui discende, nel nostro spasmodico desiderare, la "giusta misura". Il buonumore lo si guadagna attenendosi alla giusta misura, che i Greci conoscevano perché si sapevano mortali e i cristiani conoscono meno perché ospitati da una cultura che non si accontenta della felicità, perché vuole la felicità eterna, che è una condizione che non si addice a chi ha avuto in dote una sorte mortale.
L'accettazione di questa sorte sdrammatizza il dolore e fa accettare quella "giusta misura" dove solamente può nascere buonumore e serena convivenza.
Credo che aggiungere qualunque altra cosa adesso sarebbe inutile. Però credo che bisognerebbe davvero riflettere su ciò che è scritto e trasportarlo in sè, facendo un po' di sana autocritica costruttiva.
Umore del giorno: preso dai libri da studiare!
Al prossimo post!

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

  • Quella insana voglia di cose inutili

    Quella insana voglia cose inutili

    Prima o poi ci passiamo più o meno tutti. Si moderano le spese, si mangia un kebab in meno ogni tanto e PUFF, rimangono soldi sulla postepay. Leggere il seguito

    Da  Laprugna
    DIARIO PERSONALE, PER LEI, TALENTI
  • Formazione animatori: per conoscere i ragazzi

    Formazione animatori: conoscere ragazzi

    Sesto e ultimo appuntamento della stagione per la rubrica “Formazione animatori”. Impariamo a conoscere e capire i meccanismi dei ragazzi… affinché molti... Leggere il seguito

    Da  Tgs Eurogroup
    DIARIO PERSONALE
  • uso del volentieri triestino

    volentieri triestino

    Sull’uso ambiguo del termine “volentieri” nel dialetto triestino, dove a volte significa “certo! sì!” e altre volte “mi dispiace! no!”. Leggere il seguito

    Da  Bloody Ivy
    DIARIO PERSONALE, TALENTI
  • Internet Addiction Disorder (IAD)

    Internet Addiction Disorder (IAD)

    La storia della dipendenza dal sistema dei media è cosa vecchia. I rapporti di dipendenza, infatti, sono stati studiati a lungo per spiegare gli effetti... Leggere il seguito

    Da  Bloody Ivy
    DIARIO PERSONALE, TALENTI
  • Acqua bollita, carote e caffè

    Acqua bollita, carote caffè

    Lamentarsi della propria vita è indiscusso sport nazionale.Maria aveva quasi finito pure le parole su facebook e su tutti gli altri social network che... Leggere il seguito

    Da  Stefano Borzumato
    DIARIO PERSONALE, SOCIETÀ, TALENTI
  • 300-150-0 (correndo)

    300-150-0 (correndo)

    Siccome non capisco perché ci sia attaccato un tabù e non se ne debba parlare, io faccio il mio bel coming up e lo annuncio: prendo un anti depressivo da anni. Leggere il seguito

    Da  Marina Viola
    DIARIO PERSONALE, PER LEI