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La risposta al Jobs Act: i 10 punti della destra

Creato il 24 gennaio 2014 da Propostalavoro @propostalavoro

La risposta al Jobs Act: i 10 punti della destraPresi come sono dalla nuova legge elettorale, i partiti sembrano, per ora, essersi dimenticati del lavoro. Finora abbiamo assistito a slogan e colpi teatrali in tema, ma fatti se ne sono visti ben pochi. Uno solo merita menzione: la risposta del centrodestra al Jobs Act di Renzi.

Angelino Alfano, attuale vice premier e capo dell'ala di centrodestra della maggioranza, ha replicato al segretario del PD con il suo piano per il lavoro: ancora non esiste un testo organico, ma un progetto in 10 punti che – parole dell'ex pupillo di Berlusconi – è molto diverso e molto più moderno della proposta renziana. I 10 punti possono essere riassunti così:

1. Semplificazione – La proposta alfaniana si basa sulla convinzione che le regole del lavoro siano troppe e troppo rigide. Come semplificarle? Grazie alla contrattazione di prossimità (cioè quella aziendale), sia a livello individuale che collettivo (oggi, la contrattazione avviene a livello nazionale, con i sindacati e le aziende che che si accordano su regole e retribuzioni dei CCNL).

Altro modo, per semplificare le regole, non può che essere l'introduzione del contratto unico d'apprendistato e l'abrogazione dell'Articolo 18: il contratto sarà a tutele crescenti fino al tempo indeterminato, ma le aziende avranno libertà di licenziamento, salvo nei casi di licenziamento discriminatorio (viene escluso il reintegro nel posto di lavoro, sostituito da un indennizzo, stabilito dal giudice). Al fianco del contratto d'apprendistato, verrà mantenuto un unico modello di contratto a tempo determinato, indispensabile per far fronte alle necessità delle aziende per quel che riguarda la stagionalità e la sostituzione di dipendenti in malattia o maternità.

2. Formazione e coinvolgimento – Dato che, il contratto di apprendistato prevede l'assunzione di giovani da istruire, per il loro inserimento nell'organico aziendale, proprio la formazione assume un valore fondamentale: introduzione della certificazione delle competenze acquisite in azienda e detassazione per le imprese che investono in formazione e ricerca ne sono i cardini fondamentali.

Così come è considerato fondamentale, per la ripresa economica del Paese, il coinvolgimento dei lavoratori nella vita aziendale, non permettendo loro di entrare nei consigli di amministrazione – come nel Jobs Act -, ma favorendo l'azionariato interno, cioè la cessione di quote azionarie dell'impresa ai suoi stessi dipendenti, in modo da farli partecipare agli utili realizzati.

3. Tasse e salari – Nei 10 punti, non può mancare il mantra della destra: meno tasse. Grazie ad un'intensa spending review, sarà possibile, secondo Alfano, risparmiare i fondi necessari al tanto agognato taglio delle imposte, che non può non partire dal mondo del lavoro. La detassazione dei redditi da lavoro, inoltre, servirà a permettere di estendere, a tutto il sistema italiano, il salario di produttività, cioè una forma di stipendio variabile, legato alla capacità produttiva dell'impresa (più l'azienda produce e guadagna, più cresce il salario, in parole povere).

E' previsto anche un sistema di ammortizzatori sociali (quali?), pronti a trasformarsi in incentivo: nel momento in cui un'azienda assume un disoccupato, infatti, il sussidio, che questi riceveva, si trasforma in sovvenzione per l'azienda (non viene, però, specificato se sotto forma di sgravio fiscale o di vera e propria somma da incassare).

Fin qui la proposta del vice premier che, ha dichiarato, verrà presentata sotto forma di progetto di legge, nel giro di poche settimane, per essere sottoposta al vaglio di Governo e Parlamento. Essendo una bozza, proprio come il Jobs Act, non ci possono essere giudizi approfonditi, ma qualche considerazione generale ce la possiamo concedere.

I 10 punti, sotto certi punti di vista, non rappresentano una grande novità, a partire dall'idea del contratto unico: la semplificazione della giungla dei contratti è stata sbandierata da tutti i ministri del lavoro che si sono succeduti, nel corso degli anni, ma ogni loro intervento legislativo non ha fatto altro che ottenere l'effetto contrario, rendendo più complesso e caotico il mondo del lavoro. Alfano, quindi, non è che l'ultimo di una lunga lista di persone, cariche di buone (?) intenzioni, ma niente più.

La vera grande pecca dei 10 punti, invece, è che strizza troppo l'occhio alle imprese, mettendole in una posizione di assoluto vantaggio, nei confronti dei lavoratori: la contrattazione di prossimità, il salario di produttività e l'azionariato interno sono strumenti che metteranno in ginocchio la classe lavoratrice, mettendola totalmente nelle mani delle aziende.

E' ovvio, infatti, che con la contrattazione di prossimità, il lavoratore che, da solo, tratta il suo contratto d'assunzione con l'azienda, non si troverà in una posizione di forza, tutt'altro. Così come è ovvio che, grazie al salario di produttività, sarà possibile, per le imprese, scaricare parte delle perdite sugli stipendi dei lavoratori, nei periodi di crisi: "più alti i guadagni, più alto lo stipendio", infatti, è un motto che ha ragione di esistere solo nel mondo ideale.

Sulla stessa lunghezza d'onda è l'azionariato interno: così come permetterebbe ai lavoratori di partecipare agli utili, allo stesso modo, in caso di difficoltà, li costringerebbe a sopportare le perdite, accollandosi una bella fetta di rischio imprenditoriale, fino ad oggi onere del datore di lavoro. Infine, non possiamo non ricordare il precariato: questo schema, unito all'eliminazione dell'Articolo 18, metterebbe la parola fine sulla stabilità del mondo del lavoro italiano, rendendolo, in tutto e per tutto, un totale sistema precario.

Sembra, insomma, che l'obiettivo del centrodestra sia quello di scaricare interamente sulle spalle dei lavoratori il prezzo della crisi: una politica che equivarrebbe al suicidio sociale del Paese.

Danilo


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