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La scuola per tutti

Creato il 29 maggio 2011 da Albix

scuola2Uno degli slogan che noi studenti urlavamo nelle strade nei primi anni settanta, a parte quelli “pro-Vietnam” (yankee go home; USA=Imperialismo; la fantasia al potere; ecc.), c’era quello che inneggiava alla “scuola per tutti”.

Seppure inconsciamente, noi giovani immaturi di allora, avvertivamo le profonde ingiustizie che la società decretava a danno dei figli dei ceti sociali economicamente più deboli e svantaggiati e volevamo, in qualche misura, che lo Stato ponesse rimedio a tali ingiustizie da un lato abbattendo le barriere ideologiche che si frapponevano ad una effettiva parità, dall’altro aiutando concretamente i meritevoli ma bisognosi con borse di studio e finanziamenti per lo studio.

Sul primo fronte, il regime allora al potere (parlo soprattutto del potere democristiano), seppe cogliere ed interpretare con furbizia e tempismo il vento della protesta e prima di fare la fine dei Mubarak, dei Ben Alì e dei Gheddafi di oggi, si precipitò a porre mani al sistema scolastico per modificarlo in senso più democratico e popolare.

Per prima cosa, nel 1969,  vennero abbattute le barriere dell’Università, di modo che tutti i diplomati delle Scuole superiori potessero iscriversi presso ogni Facoltà (prima di allora alle Facoltà dei “professionisti”, cioè Giurisprudenza, Medicina e Ingegneria, potevano accedere soltanto quelli che provenivano dai Licei, appannaggio esclusivo, per tradizione e per aspettativa, delle classi più ricche), così che l’accesso alle professioni borghesi per antonomasia poterono accedere anche i figli degli operai, degli operai e degli artigiani.

Lo Stato inoltre provvide a predisporre, con la costruzione di nuovi edifici scolastici e con l’allestimento dei doppi turni, dei corsi scolastici “per tutti”, introducendo con la legislazione delegata del ‘74 (frutto di una delega fatta dal Parlamento qualche anno prima al Governo) i principii di democrazia per gli studenti (diritto all’assemblea di istituto  mensile , all’assemblea di classe, alla presenza di studenti e genitori negli organi collegiali et similia).

Eppure, nonostante l’apparente vittoria che tali innovazioni legislative sembrano avere rappresentato per quella “Primavera Europea” che partita da Parigi si diffuse presto in tutta l’Europa occidentale (nell’Europa Orientale fu repressa nel sangue dai carrarmati sovietici), io ho sempre visto, dietro l’apparente arrendevolezza dei gerarchi democristiani di allora, un disegno cinico e spregiudicato.

Era ovvio infatti che le nostre rivendicazioni di allora erano viziate da una mancanza di strategia, essendo dettate piuttosto da una forza istintiva e rivoluzionaria, di carattere libertario non sostenuta da una capacità di analisi raziocinante e lungimirante. Capacità  che invece avrebbero dovuto guidare l’azione dei dirigenti politici di allora. I quali, invece, hanno preferito raccogliere la sfida sul piano tattico, con una risposta che nell’immediato avrebbe dovuto “raffreddare” la piazza e gli animi, garantendo loro il perpetuarsi del loro ruolo di potere, pur nella consapevolezza che alla lunga, tali richieste avrebbero mostrato il loro vizio originario: che era quello, come ho già sottolineato, di non avere dietro una analisi ragionata delle ricadute che tale scuola per tutti avrebbe rappresentato per la società ed il mondo del lavoro.

Con il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti: una Scuola  che sforna diplomati e laureati senza sbocco professionale concreto; e con un tasso di abbandono scolastico che in Italia è fra i più alti d’Europa.

Ai danni prodotti dall’incapacità e dalla spregiudicatezza delle vecchie classi dirigenti, i politici della Seconda Repubblica, nell’ultimo ventenni, hanno cercato di porre rimedio in maniera frammentaria, confusa e contraddittoria. Frammentaria e confusa perchè ciascun governo, invece di raccordarsi al precedente, ha preferito legiferare “ex novo”; contraddittoria perche a seconda delle ideologie di riferimento, si è proceduto con velleitari e demagogici progetti nazional-proletari oppure con improponibili riforme di stampo nostalgico e borghese.

I Baroni, nel frattempo, son sempre lì, abbarbicati alle loro cattedre a vita, trasmissibili per diritto nepotistico a figli e nipoti, mentre la Scuola Secondaria boccheggia, reggendosi sulla fantasiosa laboriosità di singoli docenti che,  seguendo i vecchi modelli di docenza  di stampo greco-romano (fondati sull’amore per il sapere e per la trasmissione della propria scienza),  cercare di mantenere viva nei discenti la passione per l’apprendimento di contenuti e valori, all’insegna della comune appartenenza ad un modello culturale e sociale che ha nell’intelletto e nella buona predisposizione d’animo i suoi punti forti, senza tralasciare l’uso di strumenti tecnici di cui ai giovani si può in realtà insegnare soltanto l’uso proficuo ed oculato, ma non certamente la capacità tecnica di utilizzo.

In conclusione che fare?

La mia ricetta è semplice: un biennio di scuola superiore obbligatorio per tutti; sia per coloro che un domani sceglieranno di dedicarsi ad una attività artigianale (cuochi, idraulici, elettricisti, ma anche panettieri, sartine, pasticceri, ecc.), che potranno e dovranno continuare e continuare con un bienni specifico, di stampo pratico; sia per quelli che saranno ragionieri, geometri, tecnici informatici, periti agrari ecc.; sia, infine, per coloro che sceglieranno le professioni liberali: medici, avvocati, architetti e quant’altro.

Insomma, una scuola per tutti, nel senso di una scuola che consenta a tutti di esprimere nella scuola e nella società, in maniera piena, la propria peculiare personalità, senza trascurare quel minimo di cultura di base che, accomunando tutti sotto un’unica egida, può costituire persino un collante sociale di comune appartenenza allo stesso scibile culturale e identitario.

 


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