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la vecchietta di piazza san marco

Creato il 26 novembre 2010 da Luci

(attenzione: post affetto da pessimismo cosmico)
L’ho vista camminare, stamani, dal finestrino del diciassette pieno di ragazzi vocianti.

Mettere avanti il bastone e spostare con lentezza una gamba e poi l’altra.

Camminare, la cosa che solo noi uomini siamo capaci di fare tra i mammiferi, la cosa che sembra la più naturale, la più facile, la più ovvia.

Ci avevo già pensato, quando con la schiena bloccata dall’ernia del disco a Dresda mi ero ritrovata a dover percorrere a piedi un pezzo minuscolo, da casa alla fisioterapia, in tuta e scarpe da ginnastica, cose che non riesco più a indossare senza sentirmi “malata”, senza sentirmi fragile come carta.

Ci avevo pensato perché mettere un piede avanti all’altro era diventata un’impresa quasi impossibile, da titani dello sport, da scalatori di vette, da maratoneti di marciapiede.

Si cammina alternando un ciclo di perdita e riacquisizione di equilibrio, oscillando come pendoli viventi fra il cadere e stare in piedi, è la stabilità che si crea fra due fasi instabili, il momento minuscolo fra un baratro e il successivo.

Si cammina come si respira, come batte il cuore, come si parla, come si fischia, così, come se camminare fosse parte di noi.

E la vecchietta di piazza san marco quello faceva, camminava.

Ma senza alcuna naturalezza, come se ogni passo fosse una vittoria, come se il bastone non previsto in gioventù fosse comparso stamani, a dirle “sei vecchia, ragazza, niente è normale più”.

E ho pensato a me con le scarpe da ginnastica slacciate, perché non ero capace di allacciarle, alla tuta messa con fatica, alle scale scese con paura, ai passi timidi fatti per strada temendo gli sguardi della gente.

Ho guardato le sue caviglie gonfie, ho pensato che lei non guarirà fra poco, forse peggiorerà ancora, forse ha pensato che doveva sforzarsi di non arrendersi, di non lasciarsi vincere dal tempo che passa e che doveva provarci, a essere ancora in piedi, contro le vene gonfie, le articolazioni bloccate, i piedi doloranti.

L’ho vista e ho pensato che essere vivi ha un prezzo: quello di morire, un pezzo alla volta, con lenta inesorabilità.

L’ho vista e ho visto me, fra pochi o tanti anni, non importa, mi auguro di diventare vecchia in fondo, so ist das Leben.

L’ho vista e ho pensato che dio non esiste, o che se esiste è un vecchio sadico e bilioso, che accarezza un gatto sulla coperta scozzese piegata sulle gambe gonfie.


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