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Ho infatti la sensazione che se avessi letto il romanzo e mi fosse piaciuto non avrei apprezzato il film.
Dalla prima mezz'ora del film (quella in cui un Barney ormai vecchio ricorda gli scapestrati anni della giovinezza trascorsi a Roma circondato da amici ancora più scombinati di lui, tra cui spicca Boogie, ben interpretato da Scott Speedman) ed ogni volta che si registrano le incursioni sullo schermo di Dustin Hoffman (che interpreta il padre di Barney) si coglie la vena cinica, sarcastica e dissacrante di Barney Panofsky (Paul Giamatti) e del suo mondo. All'interno di quel topos letterario e cinematografico che è la comunità ebraica nel nord America (in questo caso siamo nella bilingue Montreal), Barney è un brillante giovanotto che sembra non riuscire a concludere niente di realmente sensato nella vita: dedito al whisky, ai sigari Montecristo e alle donne, figlio affezionato di un padre poliziotto e gaudente altrettanto politically incorrect quanto lui, diventa produttore televisivo di una soap opera di serie B grazie alla raccomandazione di un familiare, sposa - per averla messa incinta - prima un'artista depressa che finirà suicida, poi una ricchissima ed insopportabile ebrea, infine l'amore della sua vita Miriam (Rosamund Pike), che perderà per superficialità e rimpiangerà fino all'ultimo dei suoi giorni, anche quando l'alzheimer avrà seriamente compromesso le sue facoltà intellettive.
Dopo una prima parte sicuramente più caustica e sregolata, forse più in linea con lo spirito del libro ma anche più discontinua e meno coerente sul piano cinematografico, il film vira verso un approccio più tradizionale e melodrammatico, in cui si pone l'accento sull'animo tenero di Barney e sul bellissimo rapporto con la terza moglie e con i due figli.
Sarà che l'ironia yiddish e dintorni non sempre la colgo fino in fondo, né riesco realmente a riderne soprattutto quando la vedo trasposta sullo schermo (mi è tornato in mente A serious man dei Coen), sarà che lo scorso fine settimana c'avevo la lacrimuccia facile, ma a me la seconda parte del film, pur melensa, mi è piaciuta e negli ultimi dieci minuti mi sono scesi due grossi goccioloni sulle guance. E ho pensato che Mordecai Richler avrebbe probabilmente aborrito un esito di questo genere.
A questo punto dovrò proprio leggere il libro, sperando di divertimi, anziché commuovermi (ed anche un po' intristirmi) come mi è successo con il film!
Voto: 3,5/5
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