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Laboratorio di Narrativa: Claire

Creato il 26 settembre 2012 da Patrizia Poli @tartina

Ad una prima lettura, colpirebbe il piglio da blogger, il divertimento alla Bridjet Jones da zitella maldestra in cerca di avventure, ma poi, rileggendo questo „Senza titolo“ di Claire, il gusto che ci rimane in bocca è troppo acre, sa di nicotina, d‘iperacidità gastrica. Se la solitudine e il fallimento hanno un sapore, crediamo sia proprio questo.

Con poche pennellate l’autrice si racconta: è stata bambina, non molto tempo fa, ma a lei sembra un secolo; un’infanzia fatta di complessi mai superati; una matassa di capelli ricci; malattie infettive; pianti interminabili; forse i primi germi di un’insoddisfazione, di quel male di vivere che sembra accompagnarla nel faticoso percorso di crescita: “… Ed io vedo la mia vita iniziarsi con la fanciullezza, passare alla torbida adolescenza…” (I. Svevo)

Anche Claire vede se stessa: una massa indomabile di capelli crespi, due occhi grandi e disperati, le dita ingiallite dalle troppe sigarette. E poi la giovinezza, le disillusioni, una rassegnazione interrotta da tentativi inutili di ribellione: “ma l’aquilone non l’ha più trovato”…
Senza via d’uscita, mentre gli anni passano e la trovano solo spettatrice mai protagonista. La vita scorre, lei la vede passare e non ha il coraggio di saltarci dentro. All’inizio spera, crede che un giorno questo coraggio lo troverà, poi, col passare del tempo, col fossilizzarsi delle situazioni, comincia a capire che le cose sono quelle che sono, che nessun deus ex machina giungerà a capovolgere la situazione.

La musica dei Nomadi l’accompagna, sottolineando la sua maturità che è, insieme, anche il suo contrario, immaturità, incapacità di crescere, e il legame col passato, con il mondo incarnato dai genitori, anche loro ormai disillusi, senza più ideali.
Non sa vedere ciò che di buono ha: se stessa, la famiglia (seppure di pazzi), la bicicletta con cui va a comprare il pane, il prendisole da casa, non riesce a capire che, se c’è un prendisole, vuol dire che esiste anche un sole e che brilla per tutti, anche per lei.

Più che un racconto, frammenti di passato e presente, con ricordi ed immagini che si sovrappongono, un flusso di coscienza che sembra non avere interlocutore, la scrittura come risorsa terapeutica; l’ironia e la leggerezza come autodifesa.
Un autoritratto fatto con disincanto, una sorta di pensosa amarezza mista a sorriso smarrito.

Patrizia Poli e Ida Verrei

…senza titolo!

“Utopia aveva una sorella maggiore
che si chiamava Verità senza errore
lanciava spesso un aquilone nel vento
su cui era scritto Libertà con l’accento.
Le due sorelle trascorrevano il tempo
senza fermarsi mai neppure un momento
avvinte sempre a quell’aquilone
senza sapere, sapere ragione.”

Sono stata bambina. Mi pesa scriverlo al passato, e per fortuna che per essere grammaticalmente corretta, è sufficiente il passato prossimo. Di più non potrei fare. Uno scheletrino con un’inestricabile matassa di capelli ricci, che furono il mio primo complesso fisico; le compagnette erano tutte dotate di chiome a caschetto dritto, molto anni ‘90. Potevano farsi la coda e la frangia. Anch’io ci provavo,ma i risultati erano assai deludenti, come testimoniano le foto del periodo. Dicono che l’infanzia sia spensierata. Mah… io ricordo pianti interminabili, malattie infettive di ogni ceppo e scene isteriche da melodramma. Alle mie, seguivano a ruota quelle di mia madre.

“ma troppo deboli le braccia delle fate
e troppo fini quelle dita delicate
strappò la fune un forte vento quel giorno
e l’aquilone più non fece ritorno.”

L’adolescenza è quando prendi coscienza. Di cosa? Della tua identità, dei tuoi talenti, delle ambizioni personali. Cazzate. Io presi in fretta consapevolezza piena di non far parte della schiera delle “fighette”; troppo riservata per accodarmi alle “simpatiche”; troppo codarda per i giri degli alternativo-trasgressivi; troppo svogliata e scolasticamente demotivata per entrare regno dei secchioni. A ciò si aggiunga l’assoluta inettitudune a praticare qualsivoglia tipo di attività fisica; non potè che delinearsi il profilo dell’adolescente “larva”. Ok, la ragazza si farà. Ok, le tette cresceranno. Ok, imparerà a fare qualcosa. Basta solo crescere. Crescere diventa il mantra. Le cose si aggiusteranno non appena lasci questo mondo di ragazzini, poi smetterai di sentirti inadeguata come un vegano alla festa della salsiccia. Uhmm…

“quell’incidente cancellò la magìa
le due sorelle separaron la via
Utopia andò per il mondo a cercare
e Verità già pensava a sposare.”

La scuola finisce, il millennio pure, le amiche si fidanzano… oibò, forse è ora di conoscere l’altra metà del cielo. Con la quale finora (se si escludono i vari approcci ai festini il cui ricordo è nebuloso) non è che abbia avuto questi gran contatti. Ok, non mi dispiace. Ok non è antipatico. No, vabbè, ma siamo solo amici. Ops, ho perso la verginità. Forse è ora di mettersi insieme come Dio comanda. Hai quasi vent’anni. È il momento delle passeggiate domenicali, delle seratine in divano a constatare e valutare il livello dei decibel raggiunti dall’altrui russare. Delle scampagnate con le altre coppie passeggianti e divaneggianti. Delle cene con gli amici (suoi). Degli hobby (suoi). Delle emicranie (mie).

“La Verità si sposava col tempo
Anche Utopia fu invitata all’evento
- non ti sposare resta libera, che temi? -
- guarda che le parole son semi.-
E le parole sono semi hai ragione
ma per fiorire non è già la stagione
il tuo non è un matrimonio d’affetto
ti peserà questa casa e quel letto -

5 anni.
Di tutto quello che viene dopo potrei fare un mucchio… una bella fascina di sterpaglia, e accendere il cerino. Un bel falò di ore, di giorni, di sere, di mesi. Una pira di anni, secchi come rami.
Sono laureata. Solo triennale. Ho un lavoro. Il più precario che esista. Ho la famiglia. Di pazzi. Ho la salute. Vabbè, lasciamo stare…

“Mentre Utopia andava via allegramente
perchè vedeva il futuro presente
Verità le sussurrava a capo chino
- stai confondendo desiderio e destino-
L’animo corse come fa un torrente
cambiando segno a passato e presente
Utopia ogni notte un uomo amava
ed all’alba lo abbandonava

Vivere come una zitella acida e rinsecchita dell’800 nell’epoca delle single emancipate dal maschio… beh, mica facile, ma io ci riesco (anche se, ahimè, nessuno grida “slacciatele il corsetto, portatele i sali e un cordiale!”…quanto ne avrei bisogno!) Come si fa? Semplice! Questione di scelte: happy hour in città o rincoglionimento televisivo? La seconda. Pazza estate on the road? Meglio mettersi un prendisole e passare tre mesi buoni sotto il condizionatore di casa. Viaggio con le amiche coast to coast? Al massimo vado in bicicletta a prendere il pane. Sport? Hobbies? Vacanze esotiche? Beh…faccio le scale per passare dal computer al divano. Come trasgressione ho scelto il tabagismo: pratica, comoda, irrinunciabile sigaretta. Che dà quell’aria da zitella, appunto.
Ma non si creda che mi manchino le amiche, no di certo! Quanti addii al nubilato e visite guidate nei nuovi nidi d’amore ho dovuto pipparmi? Quante foto ho visionato di sposine radiose sotto nuvole di tulle, pargoletti del nuovo millennio, viaggi di nozze in crociera? Vi risparmio la cifra, ma le ho contate.


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