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“Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” – Carlo Collodi

Creato il 13 luglio 2011 da Temperamente

“Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” – Carlo Collodi«Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle che hanno il naso lungo»… Mi viene quasi un dubbio: questa è la voce della Fata dai capelli turchini o la tipica affermazione di una mamma italiana?

Perché, a ben pensarci, forse per noi italiani Pinocchio è così familiare, lo abbiamo così tanto nel DNA, che ci sembra quasi scontato. Ma consideriamo qualche dato: Pinocchio è approdato in Egitto, Persia, India, Cina e Giappone, con grande sforzo dei traduttori che non sapevano come riproporre il soprannome di Geppetto (Polendina, ve lo ricordate?) nei paesi dove la polenta non si usa. È difficile, da quando è scaduto il diritto d’autore, fare un calcolo preciso delle vendite, ma con buona probabilità Pinocchio, secondo la Fondazione Collodi, può vantare almeno 240 traduzioni.

Per non parlare di Benedetto Croce, che ha incluso Pinocchio a pieno titolo nella letteratura italiana, o di Tolstoj, che ha trovato ispirazione nel “nostro” burattino. Niente male, direi. E una chicca per chi, come molti Temperini e Temperafans, è uno sfegatato calviniano: nell’edizione Einaudi c’è il saggio di Calvino scritto in occasione dei cento anni di Pinocchio (eh, sì, Pinocchio ha una certa età: è apparso per la prima volta su un giornale, a puntate, nel 1881!)

Allora vorrei ricordare che Pinocchio non è solo un cartone della Disney, un film, un souvenir sulle bancarelle per turisti o un personaggio escogitato da mamme e nonne d’Italia per dare lezioni morali…  È uno dei grandi classici della nostra letteratura, un best seller, anzi un long seller, famoso in tutto il mondo. Se lo riprenderete in mano, vi renderete conto del perché: vis comica, arguzie, colpi di scena e invenzioni strampalate, ma soprattutto la magia eterna del mito, che tramuta la materia in vita.

Strana la letteratura: un burattino di legno accompagna così tanti bambini in carne e ossa nell’avventura di crescere, insegnando loro a diventare grandi. Strana davvero, la letteratura, non trovate?

Be’… Pensateci sopra! Un saluto dal vostro Grillo Parlante!

Lara Cappellaro

Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Einaudi, ET Classici, 9,50 euro


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COMMENTI (1)

Da Matilde Perriera
Inviato il 14 luglio a 21:13
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Ciuchini o menti geniali? di Matilde Perriera - C’era una volta … C’era una volta un pezzo di legno… e il tronco di pino rRotola, rotola, rotola, urtando tutte le forze del Paese, dai gendarmi ai baroni, ai personaggi più autorevoli, fino ad arrivare nel laboratorio di Geppetto, che ne ricava un pupo di legno, nella segreta speranza di vederlo trasformato in un bambino vero ... Un solo colpo di bacchetta della Fata turchina e il burattino acquista vita propria, affiancato dal Grillo Parlante, istanza superegoica continuativamente pronta ad afferrarlo per i capelli. Pinocchio, prototipo del bugiardo a cui cresce il naso a ogni bugia che dice e che fa rivivere ai suoi lettori molte emozioni. Libero, scanzonato, birichino, di volta in volta ammaliato dalla musica dei pifferi, dalla lusinga dell’albero di monete d’oro, dai colpi di grancassa del Teatro dei Burattini, dalle attrattive del Paese dei Balocchi, da varie figure inaffidabili e ingannevoli, corre dietro alle farfalle, ignorando il senso del dovere, l’affetto di un padre, la sollecita tenerezza della fata turchina, ancoraggi sicuri dalle sabbie mobili dell’anarchia impulsiva. Tante sfaccettature in PINOCCHIO. Censura di ogni inadempienza? Esaltazione dei principi dell’Italia appena unificata? Celebrazione di una pedagogia volta a reprimere comportamenti ritenuti devianti? Bisogna andare cauti nelle risposte. Collodi, sempre in bilico tra l’apparente disposizione per le figure spiritualmente propositive e la chiara condivisione dell’animus del burattino da cui è profondamente affascinato, fa implicitamente esplodere il clima ristagnante dei difficili anni dell’Italia umbertina, con i drammi di una generazione, l’insoddisfazione per il fallimento degli ideali risorgimentali, la delusione per le profonde contraddizioni e fa sentire il suo scetticismo polemico contro le rigide emanazioni amministrative, i programmi ministeriali inadeguati, la preparazione dei maestri comunali incapaci di svecchiare il neonato stato italiano ancora in cerca di una propria identità culturale. Carlo Lorenzini, con inconsapevole lungimiranza, dice basta all’imposizione passiva di precetti sterili travasati da libri artificiosi, è arrivato il momento di allargare gli orizzonti degli allievi, favorire l’insorgere spontaneo degli interessi, tendere alla formazione di una mentalità aperta al confronto dialettico; nel suo bifrontismo, con la protettiva lente dell’umorismo, dice senza esporsi, nell’implicita riprovazione della marionetta che, rientrando nell'ordine, sacrifica la libertà al perbenismo. Il fascino dell’opera risiede proprio in questa dicotomia, con una conclusione della fiaba drammatica solo in apparenza; se il neo Pinocchio, infatti, diventa la brutta copia del ragazzo ”perbene”, una lettura più attenta fa puntare l’attenzione sul finale aperto, in cui Pinocchio-Bambino va a scuola, mentre la sua ombra si allontana per continuare a giocare allegra e tranquilla. La vera trasformazione è, dunque, quella psicologica interna al soggetto che accetta le regole per intima convinzione, senza, però, rinnegare le mirabolanti peripezie della sua precedente vita burattinesca. La morale del racconto è una sorta di redenzione laica che fa leva sul libero arbitrio e sulla forza di scalare le montagne per raggiungere la vetta … Coltivare una mente geniale per non soccombere da ciuchino.

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