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Le Beatrici di Stefano Benni

Creato il 07 ottobre 2012 da Spaceoddity
Non fidatevi dei comici: uccidono con le loro silhouette tratteggiate con esattezza spiazzante. Stefano Benni, in particolare, non lo leggevo da anni, perché col passare del tempo mi infondeva un'amarezza tutta sua tra una pagina e l'altra. E così, ho letto Le Beatrici (Feltrinelli, Milano 2011) proprio perché mi è capitato per le mani mentre ero immerso in altro. L'ho letto d'un fiato, ricordando la simpatia - ovvero la sympatheia (diciamo, l'affinità emotiva) - che naturalmente mi lega allo scrittore bolognese; e andavamo bene, benissimo, un divertissement domenicale ci sta sempre, anche un po' plebeo nel linguaggio calcolato, a tratti demenziale, sì, ci sta proprio.
Le Beatrici di Stefano Benni
Le Beatrici è una "collana" di otto monologhi per voce femminile, inframmezzati - come in un musical o piuttosto come in un'opera di Brecht - da blues o filastrocche su una tonalità stravagante e agrodolce (che, dichiara l'autore, facevano parte di uno spettacolo intitolato Apparizioni, di una decina d'anni prima). Divertenti, divertentissime, alcune; con altre, invece, io mi trovo un po' meno in linea, ma non importa. Quel che conta è che Stefano Benni va intensificando il vigore del suo sguardo e, mentre affonda la lama del ridicolo, ferisce e strappa le redini della sua stessa comicità, giungendo in Vecchiaccia, pur nella guizzante inventiva linguistica, a uno stato di prostrazione e malinconia di cui magari si farebbe volentieri a meno, in un diversivo come questo.
Elisa Marinoni, Gisella Szaniszlò, Valentina Chico, Alice Redini, Valentina Virando e Anita Caprioli hanno dato voce in teatro a queste donne sole, recluse nella poverissima modernità che abitano quasi per caso, senza esserne mai protagoniste. Il comico che nasce dalla quotidiana consuetudine alla propria vita periferica - restituita alla scena come da una fuga dalle quinte - si volge, in Attesa, in quel senso di dramma, in quel respiro affannoso  della disperazione, appena stemperato dalla fantasia à la Chagall di Volano e dal grottesco e malizioso gioco di Mademoiselle Lycanthrope. È la sintesi della canzone scritta per Fabrizio De André (Quello che non voglio) a restituire il clima ossessionato di questo libretto, il grafico di uno stato d'animo disilluso, ma non per questo meno combattivo e beffardo.

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