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Le carni tremule dell’Europa

Creato il 16 giugno 2015 da Albertocapece

Le carni tremule dell’EuropaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Mi perdonerete se sarò lombrosiana di nome e di fatto. Ma Monsieur Hollande possiede proprio la fisiognomica del coniglio borioso, molle coi forti e prepotente coi deboli, carne tremula con la Merkel e tallone di ferro con i disperati.

Così non credo che sia stato intimorito più di tanto dalla minaccia burbanzosa del gradasso di Palazzo Chigi: se l’Europa non ci aiuta, facciamo da soli.  Che vuol dire – secondo l’inveterato sistema di governo adottato  negli anni da impresari della paura e del rifiuto, imprenditori della speculazioni alle spalle dei sommersi, produttori di muri e esclusione –  facciano gli italiani brava gente, con gli aiuti e i pacchi doni, le ruspe e le coop sfruttatrici,  i sindaci salviniani e quella di Lampedusa, i “non sono razzista, ma..” e quelli che hanno sperimentato il bello dell’aprirsi agli altri,  in una combinazione di ignavia e pietà, razzismo e umanità, come si addice a un Paese in evidente stato confusionale.

C’è stato un tempo nel quale pensatori e osservatori, da Aron a Servan Schreiber, da Girard a Revel, hanno motivato l’accoglienza sia pure “pelosa” degli immigrati in Francia, come la naturale evoluzione della cattiva coscienza occidentale e del senso di colpa per i colonialismi del passato, checché ne dica tal Bruckner  autore de “La tirannia della penitenza” nel quale denuncia la “valanga penitenziale”, quella indole all’auto flagellazione dell’Occidente e della sua cultura, considerati come gli unici responsabili   di qualsiasi conflitto, crimine dell’umanità, genocidio messo in scena sul palcoscenico della storia. E che è molto piaciuto in patria. E c’è da crederci perché pare proprio che la resa dei conti con trascorsi lontani, ma soprattutto recenti, e con interventi contemporanei, se era cominciata ora pare si sia festosamente interrotta.

Per carità non spetta certo a noi scagliare la prima pietra, a noi, che, immemori di Faccetta Nera e Graziani, di imprese scalcagnate ma sanguinarie, di annessioni e impero sgangherati ma cruenti, abbiamo proseguito sotto tutti i governi e le bandiere a perseguire il brand dello sfruttamento delle antiche colonie, dell’export di armi e dell’import di risorse e beni, stringendo e consolidando alleanze di ferro con despoti e tiranni, secondo quello stile all’americana per il quale gli stessi dittatori più o meno trucibaldi,  più o meno ritinti, più o meno temperamentali erano di volta in volta amici o nemici, soci o pericoli pubblici da annientare in buona compagnia.

Così oggi gli smemorati di antichi o recenti torti si trovano a ingurgitare i frutti velenosi di conflitti irrisolti e  guerre che hanno prodotto   circa 200.000 saharawi accampati nel deserto algerino, oltre 4 milioni di profughi palestinesi, 9 milioni di siriani tra sfollati e profughi, 2 milioni di iracheni in fuga e un incalcolabile  flusso di uomini e donne dall’Afghanistan, dall’inferno della Libia,  dalla Somalia, dall’Eritrea, dal Sudan e da altri paesi africani. E non si può dire sia una sorpresa

I due tracotanti inadeguati, ambedue dimentichi di storia, valori e ideali dei quali i loro partiti dovrebbero essere depositari – per non dire del mandato – hanno a vario titolo e in vari modi contribuito a nutrire quella percezione del pericolo che viene da oltremare, dell’invasione del nemico in casa, hanno sottovalutato i vecchi e nuovi fascismi interni, hanno alimentato diffidenza e paura, antichi e sempre attuali oppi dei popoli, utilissimi a distrarre da colpe e responsabilità di chi sta nei posti di comando.  Mentre invece nei paesi mem­bri dell’Ue, alla fine del 2013, si erano insediati un numero di immi­grati di prima gene­ra­zione (cioè nati all’estero), rego­lar­mente regi­strati ed attivi nelle rispet­tive eco­no­mie in numero di oltre 50 milioni, di cui circa 34 milioni nati in un paese non euro­peo. E tutti, come gli altri che li hanno pre­ce­duti, hanno contribuito diret­ta­mente alla pro­du­zione e alla ric­chezza di quei paesi.

Ora però nella Francia che ha accolto più di un milione di francesi di Algeria e che oggi deve fronteggiare il malcontento  di oltre  tre milioni di disoccupati che vivono con i sussidi, un premier dà la stessa risposta che venne data ad Evian.

E come lui, Renzi ad un tempo insegue un “sentimento popolare”, interpretato da Salvini, da Calderoli con la scabbia, da Maroni governatore così scisso da non ricordare il Maroni ministro, ma anche dalla Serracchiani «Si scordino che prendiamo nella nostra Regione gli immigrati che loro non vogliono», perfino da Casson «Venezia ha già dato», per via di prevedibili ansie da prestazione elettorale. E al tempo stesso fa la voce grossa vantando un fantasioso Piano, B, come il lato,  annunciato e immateriale nel timore di scontentare l’Europa matrigna e impazientire la fortezza Ue, cui non ha il coraggio fare l’unica cosa sensata: ridiscutere i trattati, ridiscutere gli obblighi del fiscal compact, ridiscutere cravatte e gioghi imposti e oggi più che mai insopportabili, nemmeno se fossimo il Paese di Bengodi dal quale in forma bipartisan tutti vorrebbero cacciare gli ingombranti Altri, gli Estranei, i Clandestini.

Che poi molto ci sarebbe da dire sui numeri. I vivi –  dall’inizio del 2015 nel Mediterraneo i morti accertati sono più di 1700 persone –  dall’inizio dell’anno al 7 giu­gno sarebbero  52.671,  poco più dei 47.708 regi­strati nello stesso periodo dell’anno scorso. Su questa base potremmo aspettarci  un numero di 190.000 a fine anno, lontano dalla tremenda massa di pressione di un “esodo biblico”, piaga e minaccia insostenibile per gli equi­li­bri eco­no­mici e sociali di un gruppo di paesi tra i più ric­chi del mondo. Mentre sarebbero oltre 5 milioni i profughi fuggiti dai tanti troppi focolai di guerra (Afgha­ni­stan, Siria, Soma­lia, Sudan, Repub­blica demo­cra­tica del Congo, Myan­mar, Iraq,  Colom­bia, Viet­nam, Eritrea, Mali, repubblica Centrafricana, etc) che hanno trovato rifugio nei paesi vicini, perfino quelli  con un Pil  pro capite così basso da variare tra i 300 e i 1.500 dol­lari l’anno:   Paki­stan, Kenya,  Ciad,  Etio­pia,  Libano, Gior­da­nia,  Tur­chia.

A conferma di quanto sia strumentale lo stato di emergenza che si è creato e che potrebbe – oggi – trovare soluzione alternativa a confinare chi arriva dove si vive già esclusione sociale, a farli pesare su popolazioni dove ancora alberga coesione e civiltà, il Sud, o peggio ancora, come è successo,  consegnando il “problema”  a mala­vita, mafia e mal­go­verno,  i depositari tra­di­zio­nali di gestione di tutte le emer­genze vere o artificiali: Expo, Mose, rifiuti, ter­re­moti, allu­vioni,   epidemie, che, si sa,  con i “migranti”  il business malavitoso e criminale si declina in profittevole sfrut­ta­mento, umi­lia­zione e degrado, nutrendo quello tutto p0olitico  del timore, del mal­essere, della rivolta aperta che invocano e favoriscono  poteri forti e solu­zioni finali.

Ci permettiamo di fornire qualche suggerimento al fattore del Piano B: se proprio si vuole restare in società con la frigida Europa, impegnata nella  bel­li­ge­ranza ende­mica ai suoi con­fini, nelle sue  derive auto­ri­ta­rie, nazio­na­li­sti­che e raz­zi­ste al suo interno, occorre aprire immediatamente  canali umanitari e vie d’accesso legali al territorio europeo,  favorendo l’attuazione della Direttiva 55/2001, che garantirebbe   uno strumento europeo di protezione che consenta la gestione dei flussi straordinari e la circolazione dei profughi nell’UE. Sospendere il regolamento di Dublino, in modo da permettere  ai profughi di scegliere il Paese dove andare sostenendo economicamente, con un fondo comunitario, l’accoglienza in quei Paesi in proporzione alla   ripartizione dei profughi.  Rinegoziare   debiti pubblici ed annullare quelli non esigibili o prodotti da accordi e gestioni clientelari o di corruzione.

E al tempo stesso ridare fiducia e tranquillità ai cit­ta­dini ita­liani, in modo che non temano   che a loro siano riser­vate meno beni, meno oppor­tu­nità di lavoro, assistenza e futuro di quelle concesse a  chi arriva qui:  red­dito di cittadinanza,  piani per il lavoro garantito in salario, condizioni e diritti, solu­zioni abi­ta­tive  dignitose, fine dei vincoli del pareggio di bilancio e del fiscal compact.

E nel caso avesse nostalgia oltre che della missione di rottamatore,  della funzione di sindaco, gli consigliamo di seguire l’esempio di uno in particolare, si chiama Giusi Nicolini e sta ostinatamente a Lampedusa.


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