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Le “cose”, la dignità e il prezzo: fenomenologia delle “Papi girls”

Creato il 11 aprile 2013 da Silvanascricci @silvanascricci

Giovani e carine lo sono tutte. Alcune veramente tanto giovani e tanto carine. Ma per il resto che dire… Spregiudicate? Arriviste? Ciniche? Disperate? Le ragazze del “bunga-bunga” sono tante e diverse. E cercare di generalizzare, forse, non porta da nessuna parte. Eppure c’è qualcosa che le accomuna tutte. Almeno tutte quelle che, più o meno volontariamente, si sono ripetutamente prestate al triste gioco delle serate di Arcore. Basta gettare un colpo d’occhio alle intercettazioni. Diamanti. Appartamenti. Bonifici bancari. Banconote. E poi qui e là qualche promessa… un posto in televisione… un’iscrizione su una lista elettorale… magari un giorno anche qualcosa in più…

L’importante è che questo qualcosa “brilli”. Un po’ come un vestito di strass che luccica davanti ad una telecamera o sotto i flash di qualche paparazzo. Con la paura che le altre siano più “brave” ed ottengano di più. “Praticamente mi ha dato uguale alle altre…”, dice l’una col broncio, perché anche se è solo all’inizio, non ne vuol sapere nulla di aspettare ancora. Mentre l’altra è già più contenta, perché sta per andare in un appartamento più grande. Magari intestato a lei, perché quell’altra ne ha già tre… “Lui ti cambia la vita”, dice l’una. “Deve solo sganciare”, risponde l’altra che comincia a spazientirsi perché il sultano sta diventato sempre più “brutto” e “vecchio”. Mentre qualcuna parla con la madre che la incita a continuare, anche se lei è in “condizioni pietose”, perché non si può mica dire di no davanti a “dodici miliori di vecchie lire”…

Le favorite, quelle che Nicole Minetti “briffava” e “confessava”, hanno almeno questo in comune: la speranza di cambiare qualcosa nella propria vita, uscire dall’anonimato e dalla miseria, passare da semplici figuranti a protagoniste indiscusse. In poche parole, “farcela”. E magari, un giorno, diventare come “Mara”. Cresciute in un mondo in cui i reality show sono più “veri” della “vita vera”, il mondo assomiglia, per molte di loro, ad un grande campo di battaglia dove solo i più sfrontati e i più cinici ce la fanno. Spinte talvolta da parenti e amici “fieri” di poterle un giorno incontrare per la strada a braccetto dei “potenti”, tutte hanno rapidamente imparato che nella vita “tutto si paga, tutto ha un prezzo”, come scriveva già Nietzsche per denunciare il trionfo dell’utilitarismo sociale che riduce i rapporti umani a semplici transazioni tra “creditori” e “debitori”. Ci si può allora veramente limitare a scagliare la pietra contro di loro e voltarsi altrove scandalizzati? Le ragazze del “bunga-bunga” non sono forse anche il sintomo emblematico di un mondo che va veramente male, perché si è definitivamente dimenticato, come spiegava Kant, che solo le “cose” hanno un “prezzo”, al contrario delle persone che dovrebbero sempre avere una “dignità”?

Ma parlare di dignità, oggi, non fa sognare quasi più nessuno. Sembra una nozione impolverata che solo alcuni moralisti da strapazzo possono aver voglia di ritirare fuori. Oggi, si insegna ai giovani che quello che conta veramente è “riuscire” e che, per “riuscire”, il fine giustifica i mezzi. Certo, c’è ancora chi si sforza di fare l’apologia del merito e dell’impegno. Ma sembra sempre sottinteso che, in fondo, basta che ognuno si “impegni” in quello che sa fare, anche se il “saper fare” consiste solo nell’essere belle e buttarsi via… Perché studiare e lavorare sodo, se per avere un bell’appartamento basta passare qualche notte ad Arcore? Perché rassegnarsi all’anonimato, quando basta chiudere gli occhi e spogliarsi, magari stringendo i denti perché non è poi così piacevole accontentare i capricci di un uomo che ha l’età di un padre o di un nonno?

Peccato che, nella vita, tutto lasci un segno, una traccia, una scia. E che, a differenza di quanto accade in un videogioco, non basti pigiare su un bottone per ricominciare da capo e fare “come se” nulla fosse mai successo… Prima o poi, la bellezza e la giovinezza svaniscono per tutti. Se non si ha altro e non si è fatto altro, col tempo, ci si ritrova solo con un pugno di polvere in mano. Magari in un grande appartamento, che però nessuno sarà più disposto a pagarci. Perché effettivamente, “tutto” ha un prezzo nella vita. Ma allora non sarebbe meglio insegnarlo alle più giovani, invece di illuderle che le cose possono essere facili e che, per ottenerle, bastano a volte solo poche notti?

(Michela Marzano)



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