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Le mie letture – Acquavite di Torgny Lindgren

Da Marcofre

La gente cerca senza posa un surrogato dell’Arte. L’amore è un surrogato dell’Arte

Il vecchio pastore d’anime Olof Helmersson ha vissuto per anni sulla costa svedese, ma adesso che è tutto finalmente chiaro, decide di tornare al villaggio che in gioventù aveva salvato dal peccato.
La chiarezza di cui è portatore è semplice: Dio non esiste, il peccato non esiste, non c’è alcun paradiso o anima. Deve a tutti i costi spiegare ai suoi fedeli di averli tratti in inganno.

La sua impresa purtroppo si scontra con un paio di ostacoli. Il primo: buona parte dei suoi fedeli sono morti. Il secondo: non è necessario sfrattare Dio da quella remota regione della Svezia: è già successo. La comunità religiosa si è dissolta; il pulpito della chiesa è stato trasformato in un’arnia, e lo stesso edificio religioso è stato sconsacrato per accogliere quei pochi abitanti che hanno voglia di una partita a carte. Eppure qualcuno resiste nella fede…

Lindgren non ha bisogno di scenari particolari per narrare le sue storie: la Svezia del Nord, rurale, lontana dalla modernità, è sempre tra i protagonisti dei suoi libri. “Acquavite” non fa eccezione: Olof con la sua bicicletta pieghevole gira per le case e le contrade un tempo popolate da uomini e donne cui aveva insegnato la fede, e che adesso dormono tutti nell’eternità che non esiste. Tutti, tranne una.

La vecchia Gerda non si decide a morire perché attendeva proprio lui. Quale ottima occasione per il pastore di svelare (con cautela) l’unica verità forse rimasta, e svelarla a una delle persone più religiose dei tempi andati? Qualcosa però non va per il verso giusto. Il silenzio che Olof oppone alle domande della donna su quella cosa che non esiste (la fede), non è sufficiente. Lei sente le risposte, è persino in grado di ripeterle parola per parola.

Come se la fede, una volta conosciuta e assimilata, continuasse a parlare a dispetto della ragione e della logica.

“Acquavite” è un’altra prova maiuscola di un autore che indaga e indugia sugli esseri umani e le loro qualità (o difetti); riuscendo proprio per questo a offrire uno sguardo mai banale sui temi cardini dell’esistenza. Qui la fede, altrove il rapporto tra fratelli e l’odio (“Miele”), le apparenze e la verità (“Per amore della verità”). Su tutto immancabile, l’ironia.

E il colpo di scena. Che non si presenta mai in maniera roboante, ma quasi col timore di disturbare; anche se poi cambia eccome le cose.
Il finale? Non si rivela mai. Di sicuro Dio non è il tipo che si arrende di fronte a logica e ragione, e in qualche modo riafferma la sua presenza, la necessità di abitare questo mondo.

Iperborea . Traduzione di Carmen Cima Giorgetti.


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