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Le mie letture – Il bosco degli urogalli

Da Marcofre

Sono passati vent’anni e gli sembra ieri.

Siccome questa non è una recensione, mi posso prendere un poco di libertà.

I racconti di Mario Rigoni Stern contenuti ne: “Il bosco degli urogalli”, sono la testimonianza di un mondo che (mi pare), all’interno della narrativa italiana non ha mai trovato troppo spazio. Mi riferisco alla montagna; certo, esiste Dino Buzzati, ma la stranezza è che l’Italia abbia alcune delle più belle montagne del mondo, eppure nei loro confronti vi sia una buona dose di indifferenza da parte degli autori. Ribadisco: è una mia impressione.

Questo si spiega almeno in parte, con quello che scriveva Tito Piaz, detto “Il diavolo delle Dolomiti”.

“Si va in montagna per essere liberi, per scuotersi dalle spalle tutte le catene che la convivenza sociale impone; per non inciampare ogni due passi in imposizioni e proibizioni.Si va in montagna anche per sbizzarrirsi una buona volta e immagazzinare nuove energie”.

Forse per questo la narrativa è sempre stata abbastanza distante dalle montagne?

D’altra parte, l’affermazione di Tito Piaz, pur condivisibile, è il risultato di un tipo di uomo e di cultura che potremmo definire “borghese” o evoluto che dir si voglia.
Mentre nei racconti di Rigoni Stern c’è un’umanità che emigra in Australia o negli USA per sfuggire alla fame.

Anch’io, in quel tempo, quasi tutti i giorni andavo per i boschi come un orso ferito, masticando ricordi ed esperienze per cercare di vederci chiaro in questo mondo e ritrovarmi.

Si dice, e credo sia vero, che gli isolani siano differenti da chi vive sulla terraferma. Ma lo stesso vale per i montanari (sia detto senza offesa: anzi), e non esistono ovviamente due montanari uguali, in tutte le Alpi. Tito Piaz era unico, e non sarebbe stato d’accordo con Rigoni Stern su un mucchio di questioni. Però su un paio di punti si sarebbero trovati a concordare: il silenzio. L’osservazione. Che sono due elementi che vanno a braccetto, come forse si sa.

I montanari sono persone di poche parole. Perché attorno hanno tanta di quella bellezza e forza che non è semplice aprire la bocca per… Dire che cosa?

Allora brontola: – Troppe feste, troppe feste in Italia. Lavorare bisogna. Lavorare se si vuole essere contenti nella vita.

Esiste il pericolo di considerare questi racconti come la voce di un passato che è andato perduto. Eppure non c’è niente di poetico in queste storie. Il miraggio del posto fisso esiste anche in montagna, e allora ecco il protagonista di uno di questi racconti che si prepara per un concorso a Roma che gli potrebbe dare un aumento. Mesi di preparazione, di studio, di economie, il viaggio, la capitale. Le prove. Il ritorno a casa, e di nuovo a Roma per gli orali. Infine l’esito.

Sino al capoluogo di provincia non volle entrare nello scompartimento di prima perché si vergognava; lo tratteneva un certo pudore.

Sì, davvero i montanari sono differenti, non ce ne sono due uguali in tutto il mondo benché arrivino dalla stessa contrada, la medesima malga. Perché la montagna forse riesce a plasmare le persone in un modo unico, lento e certosino, e consegna esseri diversi. Rigoni Stern ha sempre celebrato senza retorica tutto questo, e ne esce una prosa sana:

Passavano le stagioni. Passavano e ripassavano gli uccelli migratori; sulle montagne lentamente crescevano gli abeti.

C’è una totale mancanza di fretta in questi racconti. In queste vite che vivono in montagna, tutto procede con calma, l’uomo china il capo alla montagna, ma non per questo la montagna diventa dolce. Conserva sempre il suo profilo duro, privo di qualunque delicatezza. Che esiste, ma occorre cercarlo, scovarlo e apprezzarlo.

Sentivo, però, che i muscoli rispondevano allo sforzo, che i polmoni bevevano con piacere l’aria fredda e che tutto era bene e bello.

O abbandonata o cementificata, la montagna sembra aver perso ogni valore e cuore, per diventare lo sfondo di vacanze sempre uguali, perché si finisce col trasferire se stessi e le proprie abitudini da un’altra parte. Mentre dovrebbero rappresentare l’occasione per rimettere in discussione tante sicurezze quotidiane.

L’opera di Mario Rigoni Stern al contrario celebra quella montagna che è sfuggita all’addomesticamento dell’industria del divertimento e del turismo, e resta uguale a sé, quindi differente da tutto il resto, in una speciale forma di disobbedienza fatta non di gesti eclatanti. Ma di silenzio, sguardi e solitudine.

In questi racconti l’autore mette al centro un ambiente che impone una scelta di parole sobria e precisa. Rieduca al silenzio, all’osservazione di dettagli che da soli rappresentano una ricchezza inestimabile.

Se questo mondaccio ha ancora qualche speranza, la ritroverà in una sera d’inverno, e dall’alto di un canalone dove neve e freddo mordono con forza, guardando verso la vallata addormentata sotto la coltre del silenzio e del buio, capirà forse che

tutto era bene e bello.

Il bosco degli urogalli – di Mario Rigoni Stern. Editore Einaudi.

copertina einaudi il bosco degli urogalli


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