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Le nuove dividono le Fondazioni

Creato il 29 dicembre 2012 da Nonzittitelarte

Le nuove dividono le FondazioniLe nuove regole per la lirica  già dividono le Fondazioni. Sì da molti sovrintendenti. Sindacati contrari

ROMALa logica delle priorità porta a dire «no», ma le nuove regole della lirica elaborate al ministero dei Beni Culturali fanno parte del pacchetto di misure che il governo approverà prima delle dimissioni. Regole che, come anticipato dal Corriere, cambieranno radicalmente l’opera. Autonomia per tutti a fronte di determinati requisiti; gli enti locali, insieme con privati e Camera di commercio, dovranno corrispondere una somma di denaro non inferiore al contributo statale, pena la «declassazione» a teatri di tradizione. Dunque non è scontato che le Fondazioni liriche restino 14. Poi fine del contratto nazionale, sindaci in uscita dai Cda, maggiore responsabilità dei sovrintendenti… Il testo unico abrogherà ogni legge e decreto dal 1967 ad oggi.

I sovrintendenti perlopiù approvano, i sindacati protestano e chiedono lo stop al provvedimento: «È un blitz di fine legislatura, non c’è stato il confronto, è un’abdicazione dello Stato». Che cosa ne pensano allora i sovrintendenti delle Fondazioni liriche? Se la Scala scottata dai troppi passi falsi o passi indietro aspetta di vedere nero su bianco (ma i suoi numeri sono impressionanti: il botteghino a 30 milioni supera per la prima volta il contributo dello Stato, risorse proprie al 62.65 percento), Catello De Martino dell’Opera di Roma (conti a posto da anni), dice: «Era ora che lo Stato rivolgesse una maggiore attenzione alle Fondazioni, che dovranno identificare con assoluta certezza i diversi livelli di responsabilità, secondo organizzazioni più moderne e adeguate ai tempi. Lo Stato, da parte sua, deve favorire l’ingresso di capitali privati con opportune agevolazioni fiscali».

Ecco, questo capitolo (fondamentale) non c’è: andrà inserito nelle modifiche apportate dalle commissioni competenti in vista dell’approvazione. Walter Vergnano del Regio di Torino grande esperto e capitano di lungo corso del settore: «Noi da sei anni chiudiamo il bilancio in attivo e, nel 2012, abbiamo un milione di euro in più dal botteghino. Sulle nuove regole sono sostanzialmente d’accordo. A noi l’equilibrio delle risorse sta bene, temo però che per altri teatri questo risultato non sia possibile. Condivido che lo Stato non debba più essere la principale fonte di sovvenzionamento, spero che questo non comporti la scomparsa di realtà importanti. Davanti a tutto c’è bisogno della certezza triennale dei finanziamenti». Sulla triennalità, «per consentirci di programmare con serenità», insiste da Firenze Monica Colombo, che plaude «alle tante novità». Sulla quota statale (Fus) pareggiata da eguale contributo di enti locali e privati, Cristiano Chiarot della Fenice di Venezia la pensa all’opposto di Torino: «È inaccettabile, sarebbe bene invece che il regolamento “costringesse” gli enti locali a mantenere la quota di finanziamento prevista per l’anno in corso. Ciò consente a tutti un vantaggio: le Fondazioni meno virtuose avrebbero il tempo per cambiare gestione e quelle più virtuose, come la nostra, manterrebbero lo status con l’attuale gettito del Fus. Noi abbiamo puntato su controllo della spesa e aumento della produzione, facciamo 109 recite d’opera. Se ci tolgono fiato finanziario, i nostri sforzi sono inutili». A Carlo Fuortes del Petruzzelli di Bari, va bene sia l’autonomia che la contrattazione sindacale «decentrata», mentre per Francesco Girondini dell’Arena di Verona «è fondamentale la defiscalizzazione». Dopo il 2010, a dispetto dei diminuiti fondi statali, i teatri si sono messi in riga, allontanando da sé la nomea di carrozzoni succhiasoldi. Se Firenze ha risparmiato 5 milioni (nel 2011 il passivo è sceso a 3 milioni 339 mila, incassi + 400 mila euro), Bologna ha chiuso con un utile di esercizio di 934 mila euro, e Francesco Ernani ricorda la lezione di Toscanini, «che pretese la stabilità dei complessi artistici».

Valerio Cappelli

Il corriere.it

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