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Le pornographe

Creato il 27 settembre 2011 da Eraserhead
Le pornographeDopo 16 anni il regista di film porno Jacques Laurent torna a girare, ma le cose sono irrimediabilmente cambiate…
La provocazione è pane per i denti di Bertrand Bonello. Lo dimostrerà ampiamente nel successivo Tiresia (2003), ma anche qui dà prova di non volersi adagiare su modelli ordinari. La base di partenza che viene suggerita dal protagonista Jacques, un tormentato Jean- Pierre Léaud, è che oscenità non fa necessariamente rima con bassezza. Un esempio di questa affermazione ce lo dà un altro autore non troppo lontano, almeno concettualmente, dal cinema francese: Tsai Ming-liang, che nel finale de Il gusto dell’anguria (2004) dimostra che anche attraverso un pompino si può parlare di amore in maniera decisamente più efficace di qualunque smielata pellicola allo zucchero. Bonello fa un po’ la stessa cosa: prende una situazione scabrosa come può essere il set di un film porno mostrandone i particolari davanti alla mdp (rapporti sessuali completi), e dietro (il difficile backstage), ma non si ferma qui, poiché affonda il colpo sull’uomo-Jacques, colui che prima di essere un artista, un pornografo, un marito e un padre, è una persona che si trova a combattere contro l’inclemenza del tempo che passa.
Le pornographe (2001) è quindi un film sul cambiamento. Jacques dice che nel lungo periodo di inattività ha riflettuto molto, ma mentre lui pensava il mondo cambiava pelle. Prima i giovani lottavano contro il “sistema”, il suo primo film è del ’68, adesso lottano per farne parte, vedi il figlio che invoca lavoro insieme agli amici cospiratori silenziosi. Tra il prima e il dopo c’è un ellisse temporale che trasforma anche il mondo della pornografia: nel passato i meccanismi di produzione erano molto più flessibili (il protagonista afferma che chiunque poteva fare o partecipare ad una pellicola hard), mentre al giorno d’oggi il Golem-business ha inaridito tutto.
In questo divenire l’uomo nel mezzo del cammino Jacques si trova disorientato, e l’unica bussola che possiede, quella dell’arte, non interessa né al suo entourage (lui dice alla sua attrice di non esibire troppo il godimento durante la scena di sesso, tutto il contrario dell’assistente che la esorta ad urlare), né al pubblico che in un porno vuole vederci in modo chiaro e lampante quello che non si vede dalle altre parti, niente visioni artistiche, niente che vada oltre, ma solo genitali che si incastrano reciprocamente.
È qui che il terreno teorico diventa fertile. Il parallelo tra il cinema “vero” e quello pornografico diventa ficcante data l’intercambiabilità fenomenologica, laddove l’epoca che fa da contenitore al mezzo arte fagocita ogni cosa, e ogni cosa diventa vecchia in un attimo (il discorso sui computer). Uno Jacques qualunque che vecchio lo sta divenendo sul serio e che non trova congruenza tra le sue velleità autoriali e le esigenze del mercato che vogliono tutto e subito, è costretto ad una tragica ritirata in una selva prossima all’oscurità con l’utopica idea di costruire una casa da solo e un’intervista come testamento da lasciare a noi uomini sordi del nuovo millennio.

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