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Le voci di Istanbul, di Orhan Pamuk

Creato il 09 giugno 2011 da Dallenebbiemantovane

...essere uno scrittore significa scoprire pazientemente, con il passare degli anni, la seconda persona, nascosta, che vive in noi, e il mondo che emana la nostra seconda vita: la scrittura mi evoca in primo luogo non i romanzi, la poesia, la tradizione letteraria, ma l'uomo che, chiuso in una stanza, si chiude in se stesso, solo con le sue parole, e getta, facendo ciò, le fondamenta di un nuovo mondo.

Bosforo, mia foto

Conoscere la Turchia è qualcosa di diverso dal conoscere l'Oriente come lo intendevano Flaubert e i viaggiatori europei dell'Ottocento. Pamuk lascia intendere molto bene di detestare lo sguardo occidentale estetizzante, sempre venato di decadentismo o di romanticismo, del visitatore occidentale.

Eppure tutti coloro che vi sono passati, hanno sentito fortissimo il fascino di questo impero multiculturale, ormai dissolto, e della sua capitale Istanbul. Pensiamo solo a quella definizione per antonomasia, "la Sublime Porta", che dalla diplomazia si estende ad altri ambiti e sta a indicare l'impero ottomano.
Una porta, un confine; il punto in cui finisce qualcosa e qualcos'altro inizia.

La Turchia non è mai stata araba (se non, fino alla riforma grafica di Ataturk, nella scrittura), è musulmana, ma prima ancora i suoi abitanti furono pagani (hittiti, greci, poi romani).
Quando l'impero romano si divise e si convertì al Cristianesimo, Costantinopoli divenne cristiana e bizantina, per poi subire a più riprese le scorribande sia arabe che turche (andatevi a vedere le città sotterranee dove gli abitanti della Cappadocia si rifugiavano).
Il colpo di grazia non le fu inferto però da est, ma da ovest, dalla rapacità dei Crociati, che indebolirono l'impero rivale, fino all'inevitabile conquista turca del 1453. E la cultura turca è molto più Altra dell'Islam: è animista, viene dalle steppe mongole, prevede il cavallo, il rispetto della donna, il nomadismo, un'arte astratta e facilmente trasportabile (tappeti e gioielli).
Infine la Turchia è dissoluzione, un impero troppo debole di fronte al potente richiamo dei nazionalismi inventati dall'800: fino al governo dei Giovani Turchi e poi alla fondamentale figura di Ataturk, il visionario che credeva nell'Occidente e la trascinò in Europa, troppo in fretta, ritiene Pamuk.

Cosa sia la Turchia oggi è difficile dirlo: un Paese giovane, laico, sempre più alfabetizzato, culturalmente vivace, con un Pil robusto mosso non solo dal turismo, un Paese che stava per entrare nella UE.
Ed è anche un Paese con una minoranza fondamentalista molto aggressiva, un Paese che nega il genocidio degli armeni e nega l'esistenza di un problema curdo. Un Paese sul confine, borderline, come al solito.
Siamo alla vigilia di nuove elezioni, se Erdogan vincerà (grazie a una soglia minima del 10% per entrare in Parlamento, pratica già condannata dalla UE, e probabilmente anche grazie a brogli e alla ormai classica tecnica internazionale dell'avvelenamento del pozzo), potrebbe ritrovarsi con una maggioranza schiacciante e allontanare ancor di più il Paese dalla possibilità di entrare in Europa (un ingresso che darebbe nuova linfa a noi e avvicinerebbe la Turchia alla democrazia e al rispetto dei diritti civili della donna e delle minoranze).

Tutto questo e molto altro mi è tornato in mente leggendo questo agile libretto, composto di interviste da parte della stampa svedese, spagnola e italiana a Orhan Pamuk all'indomani del Nobel del 2006.
Lo scrittore ne esce come un coacervo di contraddizioni: malinconico e allegro, orgoglioso della sua cultura e stizzoso (si veda il battibecco con la giornalista che osa rammentargli di avere scritto che il limite della Turchia è non aver avuto un Rinascimento).

Utilissimo per prepararsi alla lettura dei suoi romanzi, che purtroppo non ho ancora affrontato ma dovrebbero essere letture abbastanza impegnative. 
Le voci di Istanbul. Scritti e interviste.
d
i Orhan Pamuk
Datanews 2007


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