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Libri di testo, libri di corso (ovvero: Preparare una lezione e difendere la scuola)

Creato il 19 gennaio 2014 da Spaceoddity
[L/D] Preparare una lezione per la scuola è un'operazione che richiede molta cura e dipende in buona parte dal libro usato in adozione. In genere si parte dal presupposto, irreale, di un corpo docente che sceglie i suoi libri secondo un criterio didattico e collegiale, ma è palese che il precariato scolastico fa sì che solo in una percentuale molto ridotta di noi professori usi un libro di testo che ha scelto o contribuito a scegliere, perché spesso il titolare di cattedra, magari fantasma, o un altro supplente ha selezionato il materiale didattico. Si consideri, infine, che la prassi per la scelta di un libro di testo - articolata e non di rado diversa dal protocollo al quale ci si dovrebbe attenere - tendenzialmente spinge un professore precario a confermare la scelta dell'anno in corso, per semplificarsi la vita: l'instabilità dell'organico va vista anche in prospettiva  sono solo le scuole e le sezioni chiave ad avere un piano preciso dei docenti per il successivo anno ascolastico già a maggio.
Libri di testo, libri di corso (ovvero: Preparare una lezione e difendere la scuola)Ma poniamo il caso remoto che tutto si svolga secondo le regole e che io possa davvero iniziare il mio lavoro con il testo scelto da me e convalidato nella sede opportuna, secondo il protocollo consueto. Rimane il fatto che io scelgo il libro pensando a una classe fantasma che, negli anni di passaggio tra un ciclo e l'altro, non so mai come sarà composta. Come mi comporto, dunque, come faccio a operare la mia scelta? Devo optare per un libro di testo, vale a dire un manuale, scolastico e selettivo quanto si vuole, ma in grado di offrire un panorama sistematico d'insieme della disciplina, oppure un libro di corso, un "quaderno delle attività", un piano di lavoro preordinato, nel quale obiettivi, contenuti e momenti di recupero siano fissati e non manchi il quaderno di supporto - cartaceo e/o digitale - con attività integrative? Si noti che, specie per le grammatiche e le discipline classiche, questo secondo tipo di opera ha avuto la meglio sul modello reference book. Sono convinto, infatti, che le numerose e dannosissime resistenze al “metodo Ørberg” nascono ancor oggi proprio da una classe insegnante disorientata al cospetto di una pianificazione diversa della disciplina appresa molti anni prima e con altri criteri e altri ritmi.
Ma ammettiamo di avere davanti un professore motivato e "progressista": la tentazione di mettere "il pilota automatico" (cosa che senz'altro agevola), diciamo così, è molto forte, anche perché consente di dedicare il proprio impegno ad altre attività scolastiche, ma si scontra con la normale esigenza di libertà nel gestire il lavoro e nello stabilire un percorso culturale (esigenza legittima quant'altre mai, questa che prevede il senso di una padronanza della disciplina nel suo insieme, che si basa su una sua precisa articolazione). Inoltre è vero che libertà didattica significa maggiore agio nel governare la classe e nel seguire i singoli alunni, ciascuno con le sue esigenze di crescita. Personalizzare la didattica, ovvero orientarla agli alunni e alle classi, è uno dei privilegi e degli scogli della nostra professione e sembra a molti che solo una libertà "assoluta" - perfino dagli strumenti di lavoro - ce lo consenta. Come si fa a recuperare uno studente (e siamo molto ottimisti) che non segue il tracciato didattico se poi verifiche e schede di approfondimento sono tarate su quel materiale?
In realtà non è così difficile, è solo molto più laborioso (specie al primo anno in cui si cambia metodo): i percorsi preordinati, checché ne pensi l'utenza media, richiedono un impegno di gran lunga maggiore al docente che voglia fare il suo lavoro, per creare quel tessuto connettivo sempre elastico che lasci spazio a tutti e non tradisca nessuno. Ora, si consideri che, dopo altre mode, oggi perfino i libri di storia letteraria sono strutturati come "corsi" e pensiamo un po' come è cambiata la professione insegnante negli ultimi anni. L'idea è che non si può, in questo caso, navigare a vista e con arbitrarietà per intrinseca natura del "libro di corso", ma bisogna sempre aver presente un punto di partenza e un punto di arrivo che, in entrambi i casi, stentiamo a far nostri, perché sono preordinati dal libro di corso secondo criteri didattici suoi propri. Dunque, non nell'obliterazione della fantasia sta il problema dei libri di corso che, negli ultimi due decenni, hanno progressivamente soppiantato il buon vecchio libro di testo a carattere più o meno enciclopedico, quale strumento di consultazione. (Si noti, tra l'altro, che l'ampio apparato di indici prima desueti in questo genere di libri e un lavoro continuo sul loro utilizzo rende fruibilissimo ogni manuale ben fatto.)
Sono dunque altri i problemi che ci dobbiamo porre, uscendo dalle strettoie dell'ora scolastica, in merito all'utilizzo del libro di corso invece di un libro di testo. Intanto, vorrei che ci interrogassimo proprio sull'esigenza enciclopedica che ancora ci tenta. Non solo nel valutare la "bontà" di un professore in sé (quanto sa?, quante "voci" possiede?), bensì anche: quanto deve insegnare agli alunni? quanti e quali sono i link tra una voce e le altre? (ovvero: quanto è eleastico nel suo sapere? è monotematico o ha una solida "cultura generale"?). La conoscenza scolastica, in sé, come si deve intendere? Come contenuto di un database a fondo perduto, come un software più o meno compatibile o come un'app scaricabile (sul modello delle competenze più complesse nella trilogia di Matrix, tipo guidare un dato tipo di elicottero). E in ognuno di questi casi qual è, esattamente, il ruolo del professore? Mirror, provider, server o cos'altro? Credo che la scelta del libro di corso dipenda proprio dall'idea che si ha del professore che fa il suo lavoro e che il professore che fa il suo lavoro ha di sé.
Libri di testo, libri di corso (ovvero: Preparare una lezione e difendere la scuola)E ancora, per inquadrare un po' meglio il problema con i nostri ragazzi: davvero vogliamo che la scuola diventi come un corso? Un corso di qualcosa, un corso di molte cose? Un centro di addestramento? A me sembra che la differenza tra un corso e la scuola non stia nell'assenza di obiettivi quantificabili e soprattutto qualificabili di quest'ultima. Al contrario: la differenza sta, semmai, nell'apertura della scuola a ogni tipo di risultato da parte di ogni alunno, da parte di un docente che è in grado di riconoscere, apprezzare, veicolare in un discorso che coinvolge prima, e necessariamente, il gruppo classe e, in un secondo tempo, l'intera comunità, scolastica e non. Un corso, con le sue strettoie, rischia di preparare delle persone, ma di non consentire un accesso al sapere, al saper fare, all'essere: ti istruisce, ma raramente ti educa. Tra l'altro, sia detto en passant, un corso - e dunque un libro di corso - prevede obiettivi definiti in modo così chirurgico che, se la didattica alle spalle è ben progettata e portata avanti, il lavoro per passare allo step successivo rischia di essere molto più gravoso e scoraggiante.
Il problema non è, qui, tornare al libro di testo vs. libro di corso, grazie al cielo esistono manuali ottimi di ogni disciplina, professori molto in gamba e libertà didattica e su queste basi si può garantire la conoscenza migliore delle discipline a tutti gli alunni. Il problema sta semmai nel tornare a una scuola che sia scuola, non a un reference book e non a un coacervo di reference people (il corpo docente), bensì un per-corso che sia tappa p-referenziale per tutti. Un percorso, si aggiunga qui, nel quale l'idea di togliere un anno di scuola per qualsiasi motivo - mantenendo invariato o addirittura riducendo il monte ore complessivo, e dunque ignorando la necessità del tempo e della collaborazione guidata per il maturare dei contenuti e soprattutto delle persone - è molto più che leggerezza. Lo sottolineo qui, perché i contenuti di un corso si possono sintetizzare, stropicciare per farli entrare in uno spazio più ristretto, o in alternativa si può forzare l'utenza a uno sforzo maggiore nel tempo per apprendere tutto quanto sia necessario; l'ambizione della scuola ha invece bisogno del massimo sostegno da parte di tutta la comunità perché il momento in cui si conosce - e le ragioni per le quali si accede alla conoscenza - siano il momento centrale del nostro essere comunità orientata al futuro e al mondo.

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