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Lo scacchiere elettorale a nord del Rio Delle Amazzoni

Creato il 02 marzo 2012 da Eurasia @eurasiarivista

Messico - Venezuela :::: William Bavone :::: 2 marzo, 2012 :::: Email This Post   Print This Post Lo scacchiere elettorale a nord del Rio Delle Amazzoni

1 Luglio e 7 Ottobre sono le date che in questo 2012 potranno dare delle risposte importanti alla Casa Bianca. Se in Messico il cambiamento sembra ininfluente per il proseguo dell’attuale politica, in Venezuela si vive in funzione dello stato di salute di Chavez e nel mentre Cuba attende il 6 Novembre per conoscere il nuovo volto di chi guiderà la pluridecennale politica anticastrista a stelle e strisce.
 
Il 6 novembre l’attenzione globale sarà concentrata sul verdetto dell’elettorato statunitense che deciderà se dare fiducia a Obama o cambiare timoniere. Infatti negli U.S.A. si tratta di un cambio di rappresentanza, di immagine rappresentativa, ma non della rotta seguita. Decenni di studi della politica statunitense palesano un dirottamento del potere decisionale in altri ambiti: economia, interessi petroliferi, multinazionali. La Storia ben dimostra come la politica statunitense vada ben oltre la democrazia e lo sviluppo economico volto a beneficiare la propria popolazione. Molto spesso l’azione della Casa Bianca in ambito internazionale è stata funzionale alla diramazione di una rete extracontinentale allo scopo di favorire lo sviluppo di aziende o meccanismi economici che hanno ben poco a che vedere con il benessere della nazione intesa come agglomerato di persone che condividono, all’interno di uno spazio comune, un fine generale.

Tale visione sterile delle elezioni statunitensi non può che riguardare la Nazione che con gli U.S.A. condivide non solo i confini, ma anche un rilevantissimo volume di rapporti economici (più o meno leciti): il Messico. Il 1 Luglio 2012 si deciderà se il PAN (Partido Acciòn Nacional) potrà continuare il suo percorso politico o se sarà già il tempo di un “cambio” di guardia con il reinsediamento del PRI (Partido Revolucionario Institucional). Fondamentalmente possiamo affermare che la spunterà il cartello più forte e/o sanguinario e chi riuscirà a sviluppare una migliore rete clientelare. A differenza degli Stati Uniti, in Messico le elezioni sono un affare di droga e a ben poco vale la lotta al narcotraffico ufficialmente portata avanti durante la legislatura. Ogni partito non chiarisce mai – grazie ad un evidente vuoto legislativo in merito – la provenienza dei fondi privati impiegati per sostenere la propria campagna elettorale. Prassi vuole che le guerriglie aumentino in prossimità delle elezioni presidenziali messicane e già oggi, l’azienda leader nella produzione di indumenti antiproiettile – la colombiana Miguel Caballero – ha riscontrato un bum di vendite nel mercato messicano. Tra  PRI e PAN non mancano però le azioni di disturbo del PRD (Partido de la Revoluciòn Democràtica) che dopo la sconfitta sul filo del rasoio nel 2006 – elezioni fortemente contestate in merito alla loro regolarità – presentano come candidato Andrés Manuel Lòpez Obrador. I sondaggi, comunque, sembrano indirizzare la corsa a Los Pinos* ad una sfida a due: da un lato Sara Josefina Vàsquez Mota (PAN) e dall’altro Enrique Peña Nieto (PRI).

La candidatura della Vàsquez sembra un tentativo, da parte del PAN, di cavalcare “l’onda rosa” proveniente dal Brasile e dall’Argentina, per garantirsi il favore della popolazione stanca della sterilità economico-politica dei propri rappresentanti. I sei anni del governo Calderon (PAN) non sono stati propriamente volti allo sviluppo dell’intera popolazione. Il PIL crescente (+4%) non deve trarre in inganno: gli squilibri sociali in Messico sono sempre più evidenti e la gran parte della popolazione vive nella povertà e sotto l’assedio delle guerre sanguinarie tra i cartelli della droga.

Di contro, il PRI torna alla carica dopo una sosta di sei anni del suo monopolio politico (1929-2000). Il giovane candidato Peña Nieto (46 anni) sembra essere il vero favorito delle prossime elezioni, ma i sondaggi sono molto confusionari e molto discordanti tra loro quasi a rientrare tra i mezzi utilizzati in campagna elettorale dai diversi partiti perdendo la loro credibilità statistica. In questi giorni si è messo in evidenza il rapporto tra il PRI ed il cartello “La Familia”, ma allo stato attuale, la poca trasparenza dei vari schieramenti fa pensare che ogni partito abbia il proprio cartello simpatizzante.

Vedremo chi la spunterà solo a Luglio, ma possiamo dire già da ora che tali partiti oltre al nome, hanno ben poco di rivoluzionario e nulla varierà nella politica messicana. La vicinanza con il colosso statunitense sposta gran parte dell’economia al confine nord compresa quella sommersa – traffico di droga, emigrazione clandestina – e un cambiamento politico reale, non suscita grande entusiasmo in chi detiene le redini delle attività più produttive del Messico – tra cui anche chi è ben posizionato nel mercato energetico. Tutto ciò è un grave handicap per un Paese dal grande potenziale ed al quale gioverebbe senz’altro un avvicinamento a quel concetto di Latinoamericanità intrinseco nel progetto CELAC.

In Venezuela invece, le elezioni del 7 ottobre hanno un ben altro peso e valore. Qui si giocherà una partita importante per le future relazioni tra Caracas e resto del Nuovo Continente: dovesse spuntarla Chavez, il Venezuela proseguirebbe nella sua rivoluzione economico-sociale fondata sull’emancipazione dall’influenza nordamericana. Di converso, un cambio di guardia potrebbe aprire – ma non va dato per scontato – un importante spiraglio alle relazioni asimmetriche predilette dalla strategia di Washington.

Il problema principale negli antichavisti, è stato creare un fronte d’opposizione che l’alta frammentazione politica non rendeva possibile. Oggi la Mesa de la Unidad Democràtica raccoglie ben 20 partiti caratterizzati da un’alta eterogeneità, visto che si palesano al suo interno sia compagini di destra che di sinistra. Ardua prova di equilibrio quindi nella sua programmazione elettorale e postelettorale in caso di vittoria. Il primo scoglio è stato comunque superato e le primarie hanno chiaramente indicato (63% di voti) il volto di colui che contenderà Palacio Miraflores** al popolare Chavez: Henrique Capriles Radonski.

Chavez dal canto suo, dopo 12 anni di presidenza, ha dimostrato di fondare la propria politica su due punti chiave: la lotta alla povertà e l’ampliamento dei settori economici sotto il controllo statale – considerevole nazionalizzazione nei settori chiave. Tutto ciò ha però messo in secondo piano altre criticità che oggi rappresentano il cuore della propaganda di Capriles: sviluppo nel settore privato e lotta alla criminalità. Lo stesso Capriles, nelle sue precedenti esperienze istituzionali – prima come sindaco della città di Baruta e poi come (attualmente in carica) governatore dello stato di Miranda – ha dimostrato di riuscire ad ottenere importanti risultati in tali ambiti. Tuttavia, nel curriculum del candidato della MUD, resta da chiarire il ruolo dello stesso nel tentativo di colpo di stato del 2002. Infatti, sembrerebbe che Capriles abbia avuto un ruolo attivo durante l’assedio all’Ambasciata Cubana nella quale cercarono rifugio, durante il golpe, alcune alte cariche governative fedeli a Chavez. A tal proposito va menzionato che, dopo l’archiviazione avvenuta nel 2006, il processo contro Capriles è stato riaperto nel 2008 e non sono da escludere colpi di scena da qui ad Ottobre.

In definitiva le elezioni venezuelane non sono da ritenersi scontate nel loro epilogo:

-   Il MUD ha già vinto le elezioni politiche attenendo la maggioranza dei seggi in Parlamento. D’altra parte va capito se e come, prima del voto e dopo un’eventuale vittoria, il MUD riesca a rimanere unito nei suoi obbiettivi nonostante l’eterogeneità. Al momento basa la sua forza sull’appoggio dei ceti medi e medio-alti, sull’imprenditoria privata – quella del golpe del 2002 per intenderci – e sul favore degli antichavisti.

-  Chavez dal canto suo ha il carisma del capo ed il favore dei ceti meno abbienti – la maggior parte del popolo venezuelano – ma tuttavia ma tuttavia la sua politica avrebbe bisogno di una riduzione dell’assistenzialismo in favore di un aumento dell’occupazione. Nonostante ciò trapela dai sondaggi che solo Chavez può battere Chavez e , nello specifico, solo il suo stato di salute può comprometterne la vittoria. Giorni fa il presidente venezuelano è uscito nuovamente dalla sala operatoria ostentando ottimismo sulla propria salute, ma in concreto c’è una scarsa informazione in merito.
Sottolineando l’incertezza nell’esito finale di queste elezioni, proviamo ad ipotizzare tre possibili scenari nel caso di vittoria del trentanovenne Capriles:

1.   Il MUD riscopre la sua eterogeneità interna ed implode lasciando un governo ed una non più certa, maggioranza parlamentare. Capriles è destinato, in tale contesto, a non lasciare il segno nella storia venezuelana o, per lo meno, punterà ad una ricandidatura nel 2018 con un proprio partito omogeneo ed in grado di raccogliere il consenso popolare.

2.   Capriles spinge per una riduzione della presenza statale nell’economia del Paese e, seguendo il proprio modello politico-economico (il Brasile di Lula), percorre la strada di uno sviluppo reale volto alla crescita dell’intero Paese: liberalizzazione controllata, lotta alla criminalità ed al narcotraffico, diversificazione nella produzione energetica – per ridurre la forte dipendenza economica del Paese dal mercato petrolifero. Si configurerebbe un Venezuela sulla scia del miracolo brasiliano e argentino, pronto a proseguire, con una maggiore diplomazia in ambito internazionale, il proprio cammino verso uno sviluppo in un’America Latina emancipata e libera da vincoli “neo-coloniali” con gli Stati Uniti.

3.   L’insediamento di Capriles attiva un processo inverso alla nazionalizzazione di Chavez. Tale meccanismo riporta i capitali stranieri in terra venezuelana – pronti a comprare vantaggiosi accordi pluridecennali. Il Venezuela intensifica, in collaborazione con la Colombia, la “lotta” al narcotraffico o per lo meno coopera attivamente per dare uno stretto giro di vita alla FARC*** – che non è propriamente la stessa cosa dei cartelli della droga. Il tutto, ovviamente, consentirebbe agli U.S.A. di recuperare un importante tassello tra le zone sotto la propria influenza – almeno fino all’insediamento di un nuovo Comandante dalle idee bolivariane.

Cosa accadrà realmente non è possibile dirlo, ma le sensazioni portano a pensare che, in un’ipotetica vittoria di Capriles, per evitare il primo scenario, debba verificarsi un mix tra la seconda e la terza ipotesi.

Quanto detto sino ad ora sulle presidenziali statunitensi e venezuelane, susciterà se non altro l’interesse cubano. In Ottobre Fidel e Raul Castro scopriranno se potranno contare ancora su un importantissimo alleato come il Venezuela – ricordiamo che attualmente Cuba riceve rifornimenti di petrolio a prezzi vantaggiosissimi proprio dal Venezuela. Chavez si è sempre schierato in difesa dell’isola caraibica e la costituzione del CELAC sembrerebbe creare un’invisibile barriera protettiva per Cuba nei confronti della politica statunitense. In novembre, invece, Cuba conoscerà chi si incaricherà di portare avanti la crociata statunitense contro l’isola. Infatti, mettere all’ordine del giorno la questione cubana nei programmi politici dei candidati alla Casa Bianca, frutta un importante favore elettorale proveniente dalla Florida e più nello specifico da Miami – sede degli esuli anticastristi. Chi dovesse dimostrarsi più ostico nei confronti della rivoluzione cubana, potrebbe garantirsi un vantaggio considerevole nella corsa alle presidenziali del 6 novembre.

 
* Los Pinos è la residenza del Presidente della Repubblica Messicana

** Residenza del Presidente Venezuelano

*** Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombi

William Bavone è laureato in Economia Aziendale (Università degli Studi del Sannio, Benevento)


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