Credo che sarebbe stato estremamente faticoso apprezzare questo film se lo avessi visto doppiato in italiano. Mi è bastato ascoltare il trailer italiano per provare fastidio di fronte alle scelte di doppiaggio.
Per fortuna però sono andata a vedere questo film al Nuovo Olimpia e così oggi sono qui a dirvi che si tratta di un ottimo film che vale certamente la pena di essere visto. aLa sua originalità sta certamente nell’unità di tempo e di luogo che il regista sceglie per narrare la storia.
Ivan Locke (il bravo Tom Hardy) esce dal lavoro, sale sulla sua auto e al semaforo improvvisamente decide di girare a destra anziché a sinistra. Da questo momento in poi siamo con lui nell’abitacolo della sua vettura per circa un’ora e mezza, ossia il tempo che – come dice lui, traffico permettendo - lo farà arrivare alla sua destinazione, ossia una clinica di Londra.
Durante questo tempo, Ivan Locke è impegnato in una serie di telefonate quasi senza soluzione di continuità. Quelle con Bethan, che sta per partorire nella clinica londinese, con sua moglie e i suoi figli che lo aspettavano a casa per cenare e vedere insieme una partita, con il suo capo che non può capacitarsi del fatto che l’indomani Locke non sarà al lavoro a presiedere alla più grande colata di cemento che si sia mai vista in Europa, e infine con Donal, l’operaio a cui Ivan fornirà tutte le indicazioni per gestire e coordinare il lavoro del giorno dopo.
Ivan Locke ha anche un ultimo interlocutore muto nell’abitacolo della sua automobile: il padre che – a quanto pare – alla sua nascita non lo ha riconosciuto ed è fuggito, un padre già morto da tempo ma con cui Ivan ha un conto in sospeso.
Ivan Locke è un uomo come molti altri: ha una bella famiglia, un lavoro che gli piace e non è certamente un eroe. In questa ora e mezza in cui lo guardiamo in una situazione in cui la vita potrebbe mettere chiunque impariamo a conoscerlo e ne condividiamo i momenti di disperazione, la forza d’animo, il coraggio della sincerità, il tentativo di essere coerente con se stesso e con il proprio passato.
Durante questo tempo in cui non succede praticamente nulla – e nulla vedremo di quello che accadrà dopo – il cerchio della sceneggiatura si stringe intorno al proprio personaggio che mai tradisce la propria normalità, eppure alla fine ci appare quasi come un eroe dei nostri tempi, nel suo tentativo di non scendere a compromessi con la vita, di affrontarla a testa alta e di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità.
La colonna sonora certamente contribuisce a innescare un crescendo che pure non può appoggiarsi su alcun avvenimento eclatante.
A parte qualche piccolo difetto di montaggio, mi pare che il regista Steven Knight abbia fatto davvero un ottimo lavoro.
A dimostrazione del fatto che nel cinema i soldi sono importanti, ma le idee lo sono molto di più.
Voto: 3,5/5