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London burns

Da Aoirghe

London burns

Quarta notte.

Da Mile End il cielo è striato, le sirene trapanano ogni dieci minuti. Questa mattina, nella caffetteria, ti saresti aspettata di scorgere il bagliore di un fuoco appiccato nel cappuccino del trentasettenne che inizia il suo martedì come sempre, completo Blueberry, cravatta, scarpe lucide. Ma non c’era. Normalità. Nella City l’aria è statica, fasulla: nessuno accenna a ciò che è successo, aleggia ma forse non riguarda, non ancora, anche se ognuno se ne va con un giornale sottobraccio, sia il Times, il Dialy Telegraph o Metro. Quarta notte di riots, rivolte. E Londra brucia per davvero, non è l’evocazione di un’immagine tragica, è l’epica furiosa di un McDonald’s distrutto a martellate, di una banca messa a ferro e fuoco, di automobili, autobus e case incendiati. È una rabbia sparpagliata, che colpisce indiscriminatamente, dalla giamaicana Brixton alla benestante e curata Notting Hill: sono le braccia degli incappucciati, gli hoodies, che infrangono vetrine, mentre la notte si disfa di lampeggianti. La polizia accorre, è un sirenare continuo, da e verso parti opposte, ma è una città che si rincorre e, senza fiato, si ritrova a mordersi la coda. A sangue. Perchè that’s London. Non è la prima rivolta della storia di Londra, ma qualcosa, forse, di diverso c’è, perchè questi attacchi non sono più solo lo sfogo di una comunità contro una tragica e discutibile operazione della polizia. C’è dietro dell’altro. Teppisti e criminalità pura, asseriscono Cameron e parlamento. E qualcuno, in effetti, un volta ha detto che una vera insurrezione rivoluzionaria colpisce l’elite corrotta, non i tuoi vicini che lavorano duramente. La paura di perdere tutto: è sgraziata, impotente, in Clapham High Street, oggi pomeriggio, dieci ragazzi indiani sprangavano il ristorante “Golden Curry – fine restaurant cousine” con pannelli di compensato e cartone; una donna, immobile all’uscio accanto, aspettava di fare lo stesso, per proteggere la sua rosticceria “Breads Etcetera”. Perchè è così: non saranno i grandi brand a cadere in rovina per qualche negozio saccheggiato, sarà chi possiede una off licence, una caffetteria, una lavanderia, magari comprata con i risparmi di due intere generazioni. Teppisti, puri e semplici criminali: la politica ha le idee chiare, e parole altrettanto nette. Ma c’è chi parla d’altro: chi ricorda la natura di un malcontento diffuso, il disagio sociale, la disparità economica, in una città che, con i suoi dieci milioni di abitanti, sa essere dura, classista, diseguale. Croydon, Hackney, Bow, Tottenham, Ealing Brodway: il popolo del sobborgo sotto la soglia di povertà, il popolo dei disoccupati, uomini, donne e ragazzini che vivono in stanze affollate e poi, a dieci minuti di metropolitana, si ritrovano sbattuta in faccia la ricchezza dei quartieri alti. E Tesco, McDonald’s, Starbucks, Sony, Foot Locker sono solo i simboli di questa diseguaglianza, totem di una società fondata su compagnie milionarie, standard, minimi salariali, assenza di tutela sindacale. Certo alcuni desideravano solo un paio di scarpe nuove e vestiti gratis, ma Londra non brucia per l’esaltazione di vandali per passatempo. La rabbia era latente. E forse lo sanno pure gli assicuratori e i giovani manager che stamattina, come ogni martedì, sono venuti a fare colazione, senza una piega sulla giacca, senza una sillaba di turbamento: alle spalle l’oscura sagoma della Bank of America, i giardini di St Paul’s, le facce di cristallo degli uffici ai piani alti. Lo sanno: e il loro status – sociale ed economico – rischia di avere il profumo amaro della colpa. Perchè io sì, e perchè loro no. Stasera, a Mile End, le volanti della polizia si sono spostate presto; ci sono in giro poche ombre, qualche bisbiglio al kebabbaro all’angolo. Tensione e attesa. Ovunque, vetrine sprangate. Ritrovo, tra gli ansimi di questa giornata, l’unica immagine confortante: decine e decine di persone, a Clapham Common, armate di scope e palette. Amiamo Clapham e questa città, dicevano, e hanno cominciato a pulire, raccogliendo i cocci dell’ultima notte di guerriglia. Più tardi, una bimba dalla pelle mulatta giocava con il padre e il nonno: il primo di colore, il secondo anziano inglese dalla pelle candida. Erano a Kensington Gardens, saranno state le cinque. Ora è quasi mezzanotte, e Londra aspetta. Di tanto in tanto aleggia un silenzio surreale, appena graffiato dai clacson. Poi ancora sirene. Ci riprendiamo quello che non ci hanno mai dato, ha detto un ragazzo, commentando i saccheggi nei supermercati. La sua rabbia era la saliva, il cranio rasato, le mani piene di carta igienica e pasta. Quarta notte. E domani vorrò vedere il bagliore dei fuochi appiccati in ogni caffè, in ogni sguardo basso, nell’aria indifferente della City.


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