Magazine Arte

Luca Pietro Nicoletti – Galleria Scoglio di Quarto, Milano: Reale F. FRANGI prima e dopo il Madi

Creato il 04 marzo 2013 da Milanoartexpo @MilanoArteExpo
Milano Expo

galleria Scoglio di Quarto di Milano – opera di REALE F. FRANGI

Luca Pietro Nicoletti – per Milano Arte Expo > La Galleria Scoglio di Quarto di Milano, via Ascanio Sforza 3 (MAPPA), inaugura martedì 5 marzo 2013, dalle ore 18.00 la doppia mostra personale degli artisti del Movimento internazionale MADI: FRANCO CORTESE e REALE F. FRANGI. La mostra, che prosegue sino al 27 marzo, è intitolata IN DUE (due personali) e proporrà al pubblico  una selezione di lavori di Cortese dal titolo Tensione di superficie e una selezione di lavori di Frangi dal titolo Prima e dopo il Madi. .   –   Reale F. Frangi, prima e dopo il Madi, di Luca Pietro NicolettiSi può dire senza esitazione che da sempre Frangi è un artista Madi, molto prima della nascita del gruppo italiano di aderenti al movimento fondato nel 1946, a Buenos Aires, da Carmelo Arden Quin - ideatore e promotore di numerosi periodici d’arte e letterari e di gruppi artistici a Buenos Aires come a Parigi: Sinesis (1938), El Universario (1941), Group Arturo (1943), MADI (1946), Ailleurs (Paris, 1962) - vedi LINK.. D’altra parte, Madi va a collocarsi, non solo per Frangi, in una stagione matura del suo percorso di ricerca artistica, per cui era naturale che il suo approdo nel gruppo, fin dalla sua costituzione nel 1991, fosse lo sbocco naturale di un percorso con radici molto più remote. >>

Se il flusso principale delle sue indagini si è mosso all’interno delle ricerche plastico visive tangenti l’art concret e la pura geometria razionale, l’avvio di Reale F. Frangi ha in realtà una preistoria del tutto insospettabile, o che almeno le ricerche successive hanno completamente obliterato (o sublimato?) fino a non farne in nessun modo indovinare le radici. Gli anni di formazione e le prime esperienze di pittura consapevolmente compiute coincidono con gli sviluppi della Nuova Figurazione.

Ben presto, però, sarebbe avvenuta la svolta nella pura astrazione, per proseguire in una progressiva complicazione dei meccanismi della rappresentazione e, come disse Riccardo Barletta nel 1991, con un particolare «accanimento conoscitivo». La critica è sempre stata consapevole di quanto questo sviluppo fosse importante per una migliore comprensione degli esiti più recenti del suo lavoro. Giorgio di Genova, ad esempio, ha scritto che Frangi, attraverso «una lunga anabasi, per via di assolutizzazioni cromogeometriche, avviate in seguito all’abbandono di prove figurative, giunge a un limpido costruttivismo, in cui dialogano quadrato e triangoli sia in sovrapposizioni in interferenza e tangenzialità». Alberto Veca, invece, parla di un percorso in cui «si alternano momenti complessi e congiunture di più decantata organizzazione, ma disciplinato dalla omogeneità di un metodo, o meglio della logica compositiva in cui risulta determinante la tendenza all’unità delle figure ordinatamente interrelate come disposizione nel campo e come qualità cromatiche».

Fin da subito, infatti, la propensione per la geometria è una scelta di rigore che significa, nella pratica operativa, frenare le passioni in nome del rigore, placare gli impeti istintivi e progettare in modo razionale, come in architettura o nel design, ogni fase del procedimento: eppure, sotto quella patina di apparente freddezza che queste dichiarazioni di poetica potrebbero presagire, si annida una intima poesia di accordi.

Non significa, invece, bandire completamente la presenza umana dal campo dell’opera d’arte. Le prime prove di Frangi in questa direzione, nei secondi anni Sessanta, non mancano infatti mai di includere, dentro una griglia fatta di linee rette e campiture ben delimitate, una sagoma dal contorno curvo che alluda, se non proprio alla figura, almeno a una forma organica: il corpo, in fondo, non è fatto di linee rette e spezzate, ma di andamenti sinuosi che sfuggono continuamente a quell’ambizione al canone normativo. Naturalmente si tratta di un’allusione modulare e simbolica, che vede la sua forma primaria nel piede. Una via di fuga, oltretutto, che Frangi individuava nell’idea della Cellula abitabile, presentata alla galleria Diagramma di Luciano Inga-Pin, a Milano, nel 1969. Non è senza interesse, oltretutto, osservare che queste ricerche andavano di pari passo con la sperimentazione di nuovi materiali che consentissero un effetto di superficie piatto, escludendo qualsiasi possibile cedimento alla sfumatura (e al sentimento): da una parte, l’utilizzo dello smalto contribuiva ad ottenere una superficie compatta e brillante; dall’altra, invece, il discorso diventava ancora più radicale con il ricorso a fogli di plastica sagomati, applicati su tela con gli stessi procedimenti operativi del collage o, meglio ancora, del “papier collées”, cioè del ritaglio di sagome entro un materiale già colorato, componendo poi sul piano tramite l’accostamento di sagome di colore, senza inserti iconici di sorta.

Così, dunque, si approda agli anni Ottanta delle serie dedicate al “doppio”, cioè a una lunga riflessione sui temi della simmetria assiale, con tutte le sue possibili combinazioni e i suoi ribaltamenti sul piano. Di Genova li definisce una «sorta di pagine di un libro aperto sfogliato dall’indice dell’esprit de géometrie». Proprio questo esprit, infatti, costituiva la deroga che Frangi concedeva a un uso troppo rigoroso della regola. Non sono infrequenti, infatti, i casi in cui si ha a che fare in realtà con una simmetria solo apparente: l’artista combina gli elementi, li dispone, appunto, lavorando su tele che paiono dei libri aperti, dando l’impressione di una rigorosa specularità. Ad una osservazione più attenta, poi, ci si renderà conto che Frangi, all’interno di quella struttura regolare, ha invertito la posizione di un singolo elemento, magari ribaltandolo solo parzialmente: solo una meditata osservazione, infatti, ci fa scoprire che le due metà del quadro, se sovrapposte, non sempre combacerebbero perfettamente, e proprio in questa non perfetta rispondenza fra la destra e la sinistra dell’immagine sta quell’elemento di singolarità e di divertimento intellettuale di un lavoro che non rientra mai nei ranghi di una estenuante ripetizione.

Di lì a poco, nel 1991, cade l’anno di fondazione del movimento Madì italiano, cui l’artista aderisce da subito: la svolta verso una definitiva liberazione dell’opera al di fuori di ogni limite e di ogni confine sta per iniziate, e si potrebbe anche vedere potenzialmente presente in queste parole. Ma il catalogo in cui queste poche righe di Frangi vengono pubblicate per la prima volta è ancora legato al quadro in senso tradizionale.

All’interno di questo gioco di simmetrie reali e apparenti, infatti, Frangi inserisce anche un discorso sul positivo e negativo dell’immagine: la specularità, infatti, non è soltanto un fatto di rimandi formali fra punti equidistanti a una distanza esatta rispetto a un punto o a un asse, ma coinvolge il colore. Barletta, però, intuisce (senza ambizioni di preveggenza) un elemento basilare che non farà che rafforzarsi nel prosieguo del lavoro di questo artista: «Il triangolo è l’eroe democratico contro la dittatura del rettangolo». Con il Madi e la liberazione dell’opera dai limiti quadrangolari della cornice, questa spinta libertaria degli spigoli acuti non avrebbe fatto che amplificarsi  e complicarsi ulteriormente.

Expo Milano

REALE F. FRANGI – alla galleria Scoglio di Quarto, Milano mostre

Il punto nodale della ricerca di Frangi, a partire da quel momento, è però un altro, soprattutto dopo la sua adesione al Madì, anzi proprio in ragione di questo: una accentuazione dei problemi relativi al “margine” dell’opera e alla negazione della cornice come finestra rettangolare entro cui l’opera è chiusa e compiuta. Su un piano che non aveva nessuna tentazione di manifestarsi al di fuori della sua concretezza di linguaggio visivo fatto con gli strumenti grammaticali essenziali (forma geometrica, colore timbrico e composizioni di impianto simmetrico bidimensionale) l’opera diventava progetto di costruzione di se stessa, offrendo all’opera una possibilità di libera espansione secondo profili e sagome di volta in volta imprevedibili, ottenuti per sovrapposizione di sagome di forma colore, che non disdegnano, specialmente nelle grandi installazioni pubbliche, di presentare ulteriori articolazioni che indicano molteplici direttrici spaziali. In tal modo, le sue figure geometriche sembrano suggerire un movimento delle forme, come scorressero l’una sull’altra.

Tutto questo potrebbe portare facilmente, nel suo «suggestivo ri-farsi continuo dell’opera» (Galbiati), verso una esasperazione dei bordi frastagliati e un moltiplicarsi degli spigoli, se Frangi non aspirasse, soprattutto nei lavori più recenti, a una rigorosa (ma non austera) semplicità di forme e di profili e a una riduzione della gamma cromatica in pochi timbri, di volta in volta modulati secondo un accordo netto, ma mai aggressivo.

Spesso, a conferma del ruolo fondamentale del colore nell’elaborazione creativa dell’immagine, Frangi colora le proprie sagome di legno prima di assemblarle per realizzare l’opera: il colore è intrinseco alla forma e ne determina l’impatto. Al tempo stesso, però, è un’abitudine che si lega alla pratica di lavorare con le plastiche colorate, che a sua volta, come si è detto, è uno sviluppo dei procedimenti del “papier collé”: non è possibile immaginare la forma se questa non è già colorata.

Bisogna però precisare anche che Frangi arriva all’opera cromoplastica soltanto dopo un’attenta valutazione attraverso il disegno: la realizzazione dell’opera, che, da buon artista Madi, non concede spazio all’emozione istintiva, è un’operazione meccanica, un procedimento artigianale di esecuzione di un oggetto visivo. Ma prima di iniziare a lavorare, Frangi disegna molto. Progetta soluzioni compositive che poi andrà a studiare nella sua pratica fabbricazione tramite progressive messe a punto delle proporzioni, del timbro dei singoli colori, degli accostamenti di sagome e composizioni: Frangi sa bene come questo genere di immagini possa dilatarsi in ampie zone di monocromia, e come tutta la composizione possa tenersi in piedi su un singolo elemento, anche minimale. Eppure, disegnando quelli che saranno i futuri cromoplastici, nei pastelli colorati di Frangi vibra quell’emozione, quella gioia primigenia tipica della scoperta di nuove possibili soluzioni. Il disegno aiuta a pensare, ma racchiude soprattutto il primo momento di qualunque processo creativo, cioè quell’istante di improvvisazione che verrà poi dominato dalle più dure istanze costruttive.

Luca Pietro Nicoletti

-

Perché MADI’ è di costante attualità?

di Carmelo Arden Quin

….prima di tutto si è dedicato a liberarsi della costrizione della dimensione ortogonale dove si inserivano i colori per fare un oggetto di bellezza in pittura.

E’ andare più lontano del rettangoloe segnare così una battuta d’arresto a un supporto più che sorpassato nella sua possibilità. Finito il dominio dei soli quattro angoli.

La seconda grande permanenza di Madì è nel proporre soluzioni ai problemi nei quali si era invischiata l’arte geometrica classica: cioè l’immobilità. L’arte costruttivista, l’arte concreta,ecc, chiuse nel loro rettangolo non si sono mai mosse; non hanno mai conosciuto la bellezza del movimento. Anche in ciò Madì ha liberato la composizionee dando indipendenza e libertà totali ai colori primari, ai colori secondari, ai colori simultanei, al bianco e nero e al monocromo, strutturati in “una forma in sé” invece di diluirsi all’interno del rettangolo.

Si è dedicato a organizzare un sistema di materiali nuovi: la plastica, l’acciaio cromato, il vetro e il plexiglas e come essenza la profusione degli angoli.e il movimento reale in oggetti e “co-planals”; mobilismo e gioco estetico; trasparenze mobili e luminose. Madì deve dare sistema a tutto ciò. Madì è sempre all’inizio del nuovo.

È’ una risoluzione permanente di creazione plastica.

Madì ha la sua “costante”. Questa costante è la poligonalità al di là dei quattro angoli. E’ una cosa semplice e rigorosa nella sua forma e nel suo contenuto.

Madì è Lucidità e Pluralità. Una presenza continua di semplice bellezza. Madì costruisce in continuazione il futuro. E ciò contro tutti gli opportunismi e le comprommissioni di ogni genere.

Madì si pone come movimento estetico del nostro secolo. In verità Madì non ha storia, esso fa in permanenza la storia, fa in permanenza il presente e l’avvenire….

Dal “Premanifesto di Milano” – Parigi, 18 aprile 2002 – pubblicato nel catalogo “arte Madì in Italia” per le edizioni di Arte Struktura – Milano, Light For Paraveno e Bora – Bologna

-

La mostra è accompagnata dal catalogo di Franco Cortese con presentazione di  Matteo Galbiati  e dal catalogo di Reale F. Frangi con testo di  Luca Pietro Nicoletti.

Inaugurazione:  martedì 5 marzo 2013 dalle  ore 18,00  -  Visitabile sino al 27 marzo 2013.

Aperto da martedì a venerdì: dalle ore 17.00 alle 19.30. o per appuntamento

 

Galleria Scoglio di Quarto, via Ascanio Sforza 3, Milano – tel. 3485630381 -0258317556

E – mail: [email protected] – Sito: www.galleriascogliodiquarto.com

-

MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Luca Pietro Nicoletti per il testo e le immagini relative alla mostra alla Galleria Scoglio di Quarto di Milano Reale F. Frangi, prima e dopo il Madi .

Milano Arte Expo

-


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :