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Ma quale dieta mediterranea?

Creato il 05 dicembre 2010 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

images (18) A proposito di Dieta Mediterranea, qualche giorno fa ho conosciuto il professor Giorgio Bergamini, ricercatore, ingegnere meccanico di lunghissimo corso, titolare di oltre cinquanta brevetti internazionali, progettista di barche rigorosamente a vela, catamarani ed ultimamente di un peschereccio innovativo per la pesca sostenibile a trazione ibrida (motore e vela). E’ sensibile verso qualsiasi tematica ambientale e la naturalità dei cibi. E’ considerato un’autorità nella riscoperta dei grani antichi e del loro utilizzo nella panificazione con lievito madre, tanto da meritarsi l’altisonante titolo di “Signore del Pane”. E’ iscritto a Slow Food del quale è anche un componente del Direttivo della Condotta di Bari.

Oggi, con una nuova attenzione alla Dieta Mediterranea, ormai patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO, si pone il problema di rendere visibile e percepibile, anche una potenzialità di tipo dietetico del piatto, valore fino ad oggi ignorato, nel rispetto però di una gradevolezza e possibilmente anche di riferimenti alle tradizioni ed al territorio. Perchè dobbiamo chiederci, quale dieta mediterranea?  E’ difatti necessario ristudiare e correggere il nostro ricchissimo patrimonio gastronomico per rinnovarne la esemplarità in termini di salubrità dietetica, riconducibile a una più corretta interpretazione della Dieta Mediterranea, visto che oggi in Puglia, purtroppo, troviamo il paradosso del 50% in più di obesi, rispetto alla media nazionale e fino al 100% in più per quanto riguarda l’infanzia, allineandoci così al disastro in USA della iniziale Dieta Mediterranea, impropriamente applicata dalla popolazione statunitense. Il professor Bergamini mi ha fatto dono di alcuni suoi scritti, frutto di minuziose ricerche, da lui esposte in occasione dell’evento “La pace si fa a tavola – la Dieta Mediterranea patrimonio culturale per il dialogo fra i popoli del Mare Nostrum”, durante la scorsa edizione della Fiera del Levante, dei quali di seguito, riporto uno stralcio in cui ci dimostra ciò che davvero si può definire “DIETA MEDITERRANEA”.

Un amico esperto di alta cucina, tempo fa’ escludeva che fosse possibile coniugare alta qualità e buona gastronomia con la dietetica. Era evidentemente indissolubile l’associazione della dietetica all’insipido, scondito, noioso, sgradevole, all’opposto della trasgressione, più consona al piacere e all’alta cucina.

In controtendenza a questo tipo di certezze si pone ora il problema di verificare se è invece possibile individuare delle pietanze caratterizzate da gradevolezza, buona presentazione, ricchezza di sapori, riferimenti al territorio e a tradizioni, ma anche rispettose di concetti di sostenibilità e dei principi della Dieta Mediterranea, nella sua accezione più moderna e cioè non riferita al più buono e popolare, ma specificatamente pensata per combattere l’obesità e patologie correlate, con l’obiettivo di assicurare quella longevità che il dr. Ancel Keys trovò nell’alto Cilento nel secondo dopoguerra dove alla fine, si ritirerà a vivere in pensione, arrivando ai 100 anni, come allora molti degli abitanti di quei posti.

A questo proposito bisogna premettere che è lo studioso Ancel Keys, l’inventore della razione K, che, nel secondo dopoguerra, rileva a Creta e nel Cilento il minimo dei decessi per malattie cardiovascolari, rispetto al Nord Europa ed agli Stati Uniti, e definisce come esemplare la dieta di questi siti, molto vicina allora anche a quella di altre Regioni del Sud d’Italia, in contrapposizione alle diete del Nord, ricche di carne, gassi animali, formaggi e povere di carboidrati, frutta e verdura. La propone così come ideale anche per la popolazione degli Stati Uniti , già allora afflitta da obesità e patologie da questa derivanti.

Su quella che in seguito, nel 1992, verrà definita come Dieta Mediterranea va osservato però che nelle zone virtuose, da Keys visitate allora e che lo avevano convinto a mettere pane e pasta alla base della dieta ideale, non era ancora avvenuta la conversione dalle farine integrali alle farine superraffinate, che arrivano con gli aiuti americani.

Negli Stati Uniti, in effetti, la cultura alimentare era basata sulla carne e pochi carboidrati, per cui lo scarto della superaffinazione del macinato, che arrivava lì al 45%, era in realtà il prodotto principale, destinato a mangime per gli animali, mentre la farina era quasi un sottoprodotto, una sovraproduzione, che si poteva così anche regalare.

Il grosso problema, che riguarda anche noi oggi, è che le raccomandazioni di Keys per vari motivi non hanno poi risolto i problemi legati all’alimentazione della popolazione americana che, dopo 20 anni, presentavano percentuali di obesità superiori a quelle iniziali, a causa anche dell’equivoco dell’uso e abuso di carboidrati raffinati, ritenuti erroneamente coerenti con la Dieta Mediterranea, così come fu inizialmente definita.

E’ un altro medico, il Presidente della scuola della medicina della Nutrizione dell’Università di Harvard, Walter Willet, che viene incaricato dalla amministrazione USA di studiare il problema, fornendogli adeguati mezzi per le ricerche multidipliscinari, e fornire raccomandazioni più efficaci di quelle di Keys.

Willet, arriva alla conclusione che i responsabili dell’ingrassamento non sono i grassi, demonizzati da Keys, per i quali il nostro organismo avverte la sazietà, ma i carboidrati raffinati e gli zuccheri, che per di più creano dipendenza, spesso sotto forma di una invincibile e falsa fame impulsiva compulsiva, proprio come l’eroina, aggravata da un meccanismo di assorbimento rapidissimo, poiché il nostro organismo non è geneticamente preparato a farne un uso corretto, con il senso di sazietà ed un assorbimento lento: una evoluzione, afferma, che potrebbe avvenire in futuro solo in centinaia di generazioni.

Nelle sue ricerche, estese allo stato di salute deducibile anche dall’esame degli scheletri umani già dal paleolitico, egli deduce che stavano tanto meglio quanto più grossolana era la loro macinazione dei cerali, con il minimo “indice glicemico”, diremmo oggi.

Lui estrapola così la necessità di un ritorno ai cereali non raffinati come ai primordi dell’umanità, quando non erano disponibili le attuali macchine molitorie, arrivando ad auspicare la preferenza di preparazioni che prevedono l’uso di chicchi interi e mette alla base della piramide alimentare

piramide
Pane e Pasta integrali, ottenuti da farine macinate grossolanamente, mentre pane e pasta bianchi, zuccheri e bevande zuccherate li mette, apriti cielo, in cima alla sua piramide alimentare, scoraggiandone sostanzialmente l’uso. Cita comunque, come essenziale al successo della dieta, anche l’attività fisica.

Dopo aver spiegato scientificamente gli errori e dannosità di diete come la “Low Carb”, oppure la dieta proteica di Atkins, raccomanda invece una dieta dove ben il 55% del fabbisogno calorico sia fornito da carboidrati buoni, cioè non raffinati, il 30% delle calorie, non poco insomma, sotto forma di olio d’oliva (un bel segnale per la nostra olivicoltura, danneggiata tutt’oggi dagli errati consigli, non solo di Keys, ma anche di alcuni attuali soloni, di limitare l’assunzione di olio, perché ingrassa e non è vero), oltre ad oli di altri semi (ottenuti però esclusivamente con estrazione meccanica a freddo) e solo il 15% di proteine, che preferibilmente saranno vegetali, cioè ricavate dai legumi.

Naturalmente questi concetti sono osteggiati in America dalle multinazionali, che usano soprattutto la dipendenza da zuccheri e carboidrati raffinati come principale strategia di marketing, e dagli allevatori, pilastro della dieta carnea, per cui si arriva addirittura a boicottare la diffusione delle raccomandazioni di Willett con azioni legali.

In pratica l’amministrazione USA pubblica alla fine raccomandazioni che si riducono sostanzialmente al consiglio di fare del moto, sfumando gli scomodi precetti di Willett.

Il principale strumento per attuare questi misfatti è il Data Qualità Act (DQA), nato per “assicurare e massimizzare la qualità, l’obiettività, l’utilità e l’integrità dell’informazione”, che, all’atto pratico, viene usato dai gruppi industriali per rallentare o arrestare i tentativi di emanare nuove normative, attaccando la credibilità dei rapporti scientifici, come è noto è successo anche nelle operazioni di screditamento del National Assessmenton ClimateChange, che portano l’America a non aderire al protocollo di Kyoto, oltre a rifiutare le raccomandazioni che provengono dalle ricerche di Willett.

Anche in Italia diffusi fenomeni di conflitti d’interesse hanno, di fatto, rese inaccessibili queste indicazioni, con l’assurdo della pubblicazione, da parte del più grande produttore di pasta italiano, di una guida ad una sana alimentazione, comparsa anche sulla Repubblica, dove si dice che il Pane e la pasta fanno bene, sono la base della Dieta Mediterranea, senza segnalare che per “fare bene” dovrebbero assolutamente essere integrali, ed è grave che non ci siano state reazioni di dissenso a questi consigli.

Gli interessi in gioco ed una malintesa difesa del patrimonio gastronomico italiano hanno condotto al paradosso che un testo di W. Willett, “Eat, Drink, and Be Healthy” una guida alla sana alimentazione della prestigiosa “Scuola Medica di Harvard”, diffuso in decine di milioni di copie, in particolare in Nordeuropea, dove ha contribuito a modificare radicalmente le precedenti abitudini alimentari, non ha trovato in Italia un editore che ne pubblicasse la traduzione, considerandolo in qualche modo un traditore.

Venendo poi a parlare della Puglia, è nel passato che noi troviamo proprio una applicazione ideale dei precetti di Willet, visto che le minestre di grano non macinato interpretano in modo perfetto la raccomandazione al ritorno ai cibi del paleolitico, ed è noto poi come la carne non si vedesse qui quasi mai sulle tavole, egregiamente sostituita da gustose preparazioni di legumi, da tante verdure, l’unico grasso era l’olio d’oliva, mentre la fatica dei campi, il lavoro manuale e il muoversi a piedi completava il quadro della perfezione dietetica.

Se avesse successo questo difficile compito, realizzeremmo anche un’azione dimostrativa del “si può”, visto che si poteva, in contrasto con le difficoltà di Willet in patria, dove le sue raccomandazioni vengono criticate ed osteggiate come teoriche e inapplicabili. Sarebbe così un aiuto anche ad Obama, che sta cercando di correggere le attuali cattive abitudini alimentari ed anche energetiche dei suoi concittadini.

A proposito di abitudini energetiche, possiamo aggiungere alla fine che in Puglia, prima del secondo dopoguerra, le case non erano riscaldate e l’alto metabolismo basale, che caratterizzava la maggioranza della popolazione, grazie alla vera Dieta Mediterranea, consentiva di considerare come benessere temperature, in casa, di 14-16 C°.

Avviene poi che, con il passaggio ai carboidrati raffinati, all’orgia degli zuccheri, alla riduzione della attività fisica ed al fallimentare controllo del peso con la riduzione delle calorie, diminuisce il metabolismo basale e la popolazione diventa sempre più sensibile al freddo, oltre che ingrassare, per cui la temperatura di benessere diventa sempre più alta, avvicinandosi a quella ben poco sostenibile degli Americani, con i loro 25-28 C°.

Come rimediare a questa situazione, riducendo drasticamente i consumi energetici relativi al riscaldamento degli edifici? La cura è ancora la stessa e consiste in un’applicazione ferrea di una corretta Dieta Mediterranea, che ci permetterebbe così, non solo di vivere più a lungo in salute, ma anche di risparmiare oltre due terzi delle spese del riscaldamento invernale.

Questo assunto, poco noto, noi abbiamo cercato di applicarlo in casa nostra, dove, con una dieta corretta ed un po’ di moto, siamo effettivamente riusciti a ridurre, senza soffrire, la nostra temperatura di benessere d’inverno intorno ai 15 C°, pagando solo lo scotto di qualche amico, che, nostro ospite, dopo poco tempo manifestava l’impellente necessità di ritornare a casa propria, perché aveva la sensazione di morire di freddo.

Detto questo, è ora evidente quanto siano interessanti i Pani Antichi, per quanto riguarda le prescrizioni di Willett e la relativa vera interpretazione della Dieta Mediterranea, prima di tutto il pane di Ezechiele, con i chicchi interi germogliati di Cereali e Legumi, assieme al Pane degli Esseni, ancora con i chicchi interi e germogliati, oltre agli altri Pani Integrali riferiti a Matteo, tutti preparati con semi arcaici caratterizzati da ottimi glutini, cioè da proteine altamente salutari, tutto il contrario della attuale moda del “senza glutine”, originata dalle patologie dovute ai glutini dei grani ibridizzati nel dopoguerra con i raggi γ, per ridurne l’altezza ed aumentarne la resa.

In effetti, delle molte forme di allergie, che cominciano ad essere individuate come risultato delle mutazioni genetiche ottenute con i raggi γ, non solo degli steli, come si credeva, ma anche, inavvertitamente dei semi; bisognerebbe quindi cercare di evitare, se è possibile, di mangiare i carboidrati ibridizzati in questo modo, che purtroppo sono tanti, quasi tutta la produzione italiana, non sono noti e non sono in alcun modo riconoscibili.

Si lamenta a questo proposito la mancanza di una legislazione che ne imponga l’indicazione, come i temuti OGM, dei quali non esiste peraltro una casistica scientifica, proveniente da autorevoli fonti nazionali, di comprovata nocività o innocuità, ma solo divieti nazionali derivanti da principi di precauzione. Due pesi e due misure insomma a favore degli ibridi ai raggi γ, la cui dannosità sembrerebbe oggi ben più certa.

Prof. Giorgio Bergamini


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