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Magnifica presenza: Ozpetek tra Almodòvar e surreale

Creato il 18 marzo 2012 da Emeraldforest @EmeraldForest2

Magnifica presenza: Ozpetek tra Almodòvar e surreale

Pietro (Elio Germano), giovane siciliano omosessuale, si trasferisce in un vecchio appartamento nel quartiere Monteverde di Roma. Con il desiderio di diventare attore, nel frattempo cerca di rimediare ai piccoli acciacchi della casa (che adora), e si mantiene sfornando i cornetti la notte. Nella grande città Pietro appare molto introverso e isolato: l’unica persona con cui sembra scambiare più di due chiacchere è la sua eccentrica cugina Maria (Paola Minaccioni) e il suo passatempo è attaccare figurine dei personaggi storici italiani. Il ragazzo comincia dunque a percepire e poi a vedere delle “magnifiche presenze” di una compagnia teatrale che durante l’ultima guerra mondiale ha trovato rifugio proprio in quella vecchia casa.

Magnifica presenza: Ozpetek tra Almodòvar e surreale

Con una trama a metà tra Sei personaggi in cerca d’autore, Happy family e L’inquilino del terzo piano, il tutto mescolato in salsa palesemente almodovariana (a volte anche un po’ troppo, rasentando il plagio), Magnifica presenza è un film molto curato sul piano visivo della fotografia, della scenografia e della messa in scena generale. Un film godibile e a tratti anche divertente, anche se bisogna ammettere che, dopo un buon inizio, il film risulta essere un po’ lento nella parte centrale. Il cambio di sceneggiatura di Ozpetek si percepisce nettamente (non più il suo storico co-sceneggiatore, ma una nuova collaboratrice, Federica Pontremoli) e, oserei dire, in positivo rispetto ai suoi lavori precedenti. Convincente l’interpretazione di Elio Germano, che si conferma un ottimo attore che farà indubbiamente strada, poiché capace di reggere un film intero, cosa pochi sono in grado di fare.

Magnifica presenza: Ozpetek tra Almodòvar e surreale

Messe le carte in tavola dell’isolamento e del disagio del protagonista, possiamo totalmente escludere l’ipotesi di Magnifica presenza come film “spiritualistico”: sono le sue crisi d’identità e di mancata realizzazione attoriale, oltre alla solitudine, a portare il ragazzo ad avere queste magnifiche visioni d’altri tempi, dato che tra l’altro l’antico lo appassiona molto (figurine storiche, adorazione per la vecchia casa). Il proprio inconscio può essere più potente di qualsiasi spirito perché, come suggerisce la tag-line, c’è bisogno che Pietro creda per vedere. Inoltre il film suggerisce che “L’arte non muore mai”: per quanto si possa cercare di reprimerla e cancellarla, essa rispunterà nuovamente sotto forma di fantasmi. Apprezzabilissima, all’interno del piuttosto scarno e ripetitivo panorama della commedia italiana odierna, la scelta di un soggetto “controcorrente” che unisce reale e surreale. D’altra parte però si “percepisce” la presenza distinta di parti molto kitsch in cui il tocco queer di Ozpetek è fortissimo e altre parti invece dove predomina il gusto teatrale e metafilmico della sceneggiatrice: i due stili e modi di vedere non sembrano perfettamente amalgamati, alternandosi nel corso della pellicola: in particolare i “momenti alla Ozpetek” (apparizione di Platinette, trans picchiato) risultano isolati e non sviluppati, in confronto alle pellicole precedenti. Partendo da questa constatazione, sorge spontanea una domanda: era davvero utile ai fini di questa storia esplicitare e puntare sull’orientamento sessuale del protagonista? Oppure si tratta di una via di mezzo che cerca di conquistare nuovo pubblico ma al tempo stesso di continuare ad accontentare i fan del queer già acquisiti, all’interno di un film che in realtà parla soprattutto d’altro?

Magnifica presenza: Ozpetek tra Almodòvar e surreale



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