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Mani Calde di Giovanna Zucca: un legame che ridona la vita

Creato il 26 ottobre 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
Una formidabile coppia di protagonisti per un sorprendente romanzo d’esordio
Mani Calde di Giovanna Zucca: un legame che ridona la vitaAutore: Giovanna Zucca
Titolo: Mani calde
Casa Editrice: Fazi Data pubblicazione: 23 Settembre 2011
Pagine 256
Prezzo € 16,50
Trama: Davide ha nove anni e proprio non ne vuole sapere di andare a comprare le cose per la scuola, la mamma insiste e quel banale tragitto tra l’abitazione e il negozio si rivelerà fatale. In coma, tra il sonno e la veglia in cui è costretto, Davide sente e “vede” le persone distraendosi con le storie degli altri: storie di ospedale, di chiacchiere in corsia, di infermiere e lotte fra medici, come quel “dottore antipatico” che tenterà l’impossibile per salvarlo. Un legame speciale fatto di empatia e sensazioni destinate a durare si formerà fra il medico e il ragazzino: eppure il primo è un uomo schivo, scorbutico, un dio nel proprio lavoro ma incapace di gestire ogni genere di rapporti umani; l’altro è pieno di vita ma immobile su un letto. Una storia intensa e commovente con la più positiva delle morali: “chi guarisce il prossimo guarisce sé stesso”.
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RECENSIONE
Mi chiamo Davide, ho nove anni e per un po’ di giorni sono morto. Tutti dicono che è stato Padre Pio a guarirmi, ma io lo so che è stato il dottore antipatico.[…]Dicono che sono antipatico: vero.Che sono malvagio: forse è vero.Che sono pieno di me: anche qui devo assentire, di cos’altro dovrei essere pieno?Dicono che sono algido ed anaffettivo: giusto.Che non ho amici: anche qui hanno ragione.Tutto ciò che dicono è vero: che vivo per il lavoro e che, al di fuori di questo, non ho niente. Certo, non ho mai voluto niente.
Due protagonisti: un bambino di nove anni, Davide, con un nome che è un simbolo: il piccolo Davide che sconfigge il gigante Golia, quel terribile gigante che nessuno è riuscito a sconfiggere, la Morte; e un dottore, il primario di neurochirurgia, che tutti chiamano il cafone, o addirittura peggio, una persona scorbutica, intollerante, sola, ma un vero genio nel suo lavoro. Per il primo dei due protagonisti si conosce già il lieto fine: il libro si apre con gli ultimi giorni della sua degenza in ospedale, con la madre Paola, che finalmente sorride, dopo essersi liberata dai sensi di colpa per l’incidente stradale che ha fatto entrare in coma suo figlio, quando invece Davide neanche voleva uscire con lei per andare a comprare lo zaino nuovo! 
Dunque è per conoscere l’evoluzione delle vicende del secondo protagonista, quello che il bambino chiama il dottore antipatico – che però ha le mani calde –, ma soprattutto per vedere il legame che si crea fra il piccolo paziente speciale, che arriva in ospedale quando è ormai in fondo al buco nero, e l’uomo che lo tira per i capelli e lo riporta da questa parte del tunnel. La narrazione non segue un ritmo regolare, per cui dobbiamo ricostruire la storia attraverso i frammenti sparsi che Giovanna Zucca mette sul nostro percorso di lettura.
È un bambino intelligentissimo, Davide, intuitivo: gli basta sentire il tono della voce degli infermieri e dei dottori per leggere loro dentro. Ed il suo fiuto infallibile gli suggerisce che se una persona ha le mani calde, quella persona non può essere cattiva, tutt’al più far finta di esserlo.
Cioè, lui è bravo… ma a forza di far finta di essere cattivo si è dimenticato che è tutto finto e non si ricorda più come era prima. Prima di fare finta. […] Aveva le mani calde. Era il primo ad avere le mani calde. Lui era nudo sotto i teli e Pino lo ha subito coperto, anche se tutti ormai lo davano per morto e credevano che non sentisse niente, né freddo, né caldo né male… Però lui sentiva. E le mani fredde erano un tormento.
Il piccolo Pier Luigi ha vissuto un’infanzia solitaria sul Lago di Garda. Suo padre era uno studioso e non si occupava né di lui né di sua madre, la quale, quando il bambino aveva solo quattro anni, si è suicidata buttandosi nel lago. Per questo motivo quel bambino, che poi è diventato un dottore, ha innalzato attorno a sé un muro altissimo: non gli importa di nessuno, solo in questo modo non potrà mai sentirsi rifiutato o abbandonato. Persino della figlia Susan, che ha avuto da una relazione occasionale tredici anni prima, non gli è mai importato niente. Ma il piccolo Davide, che è in coma, e riesce a comunicare con lui attraverso un legame forte fatto di pensieri e di mani calde, riesce a scalfire quel muro, aprendosi un piccolo varco, che farà vedere a tutti quel Pligi che inizialmente solo lui riusciva a scorgere.
Vuole essere libero, non dipendere da nessuno e che nessuno dipenda da lui… Davide però dipende da lui eccome, non solo dal punto di vista medico. Ispido come un istrice, ha fatto barriera intorno a sé ma quel moccioso è andato oltre la barriera e si è insinuato nella sua vita.“Come è potuto succedere? Quando? Dov’ero mentre questa cosa accadeva?”
In Cina dicono che se salvi la vita a qualcuno, la vita di quella persona ti appartiene e ne sei per sempre responsabile. Pier Luigi Bozzi, inconsciamente, si sente responsabile per la vita di quel piccolo paziente che ha strappato dalle braccia della morte. Il legame fra salvatore e salvato, nato come un’inspiegabile fascinazione, diventa sempre più forte.
Forse hanno ragione… in parte, si dice Bozzi. Forse mi sono innamorato. Già… mica ci si innamora solo di una donna… ci si può innamorare anche di una città, di un lavoro, di un libro e anche di un bambino sconosciuto che un giorno incontri per caso, e questo bambino non ha nulla di diverso dagli altri, è uno come tanti, e tu lo devi operare… e lui una notte ti stringe la mano. E questo non dovrebbe succedere. Dovrebbe essere immobile perché è in coma da trauma cranico grave, non dovrebbe muovere un dito, figuriamoci stringerti la mano. Eppure te la stringe e la cosa non ha alcuna spiegazione logica. E poi, quando la cosa non dovrebbe succedere perché è troppo presto, lui apre un occhio e ti guarda. E neanche questo ha una spiegazione logica.
Questo legame segnerà una svolta nella vita del chirurgo, che si alternerà con il piccolo Davide nel ruolo di salvatore.
Un romanzo emozionante dalla prima all’ultima pagina, che in un primo momento richiama alla mente un ritratto di Picasso: non tutte le parti sembrano essere al posto giusto, ma l’effetto è assolutamente coinvolgenteIl cambio repentino dalla prima alla terza persona da un paragrafo all’altro, con decine di punti di vista differenti, ricostruisce un mosaico in cui le tessere sembrano essere montate a caso, ma che invece dà un quadro terribilmente realistico della confusione di un reparto di terapia intensiva di un ospedale. Il risultato è travolgente e le tessere che sembravano fuori posto creano delle deviazioni della luce che dirottano il nostro sguardo verso angoli della composizione, che altrimenti sarebbero rimasti nascosti.
Davide nella sua semplicità di narratore di nove anni è di una profondità e di una schiettezza disarmanti, un essere meraviglioso, un piccolo angelo. Bellissimo l’epilogo personalizzato per ogni personaggio del racconto: come al cinema, quando un film parla di una storia realmente accaduta, ed alla fine c’è un breve resoconto del “dopo”. Nonostante si sappia fin dalle prime pagine che per Davide ci sarà il lieto fine, l’evolversi della storia, ogni piccola parola, pronunziata o espressa con la mente, ogni minimo gesto, ci fanno provare un caleidoscopio di emozioni che non vi lasceranno mai con gli occhi completamente asciutti.
L'AUTRICE:
Giovanna Zucca piemontese di nascita ma veneta d’adozione, presta servizio come infermiera strumentista e aiuto-anestesia in sala operatoria. Fra un turno e l’altro, si è laureata in Filosofia, una disciplina che coltiva con grande interesse e passione.

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