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Marocco – Essaouira

Da Elettra

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(La strada per il mare non è gioiosa: di tutti i mari che ho visto le strade che vi ci arrivavano avevano sempre un qualcosa di allegro, di leggero. La strada verso Essaouira, l’ultima tappa, è un continuo incontrare officine devastate in insediamenti minuscoli e all’apparenza improvvisati, è un continuo incrociare donne coperte e con le spalle cariche e curve, bambini a piedi nudi, uomini fermi al bar, ancora più fermi delle città, un’immobilità che non so per quale motivo, infastidisce più di altrove. La terra è arida e polverosa e c’è sempre qualcuno che da lontano si avvicina al bus che corre incurante di me e del mio sguardo fisso, dietro a questo vetro, mentre mi chiedo di loro, delle loro case, della loro vita).

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Arriviamo sull’Oceano ad ora di pranzo, non vedo ancora il mare ma gli aquiloni così tesi in cielo non possono che voler dire vento. Il vento è la costante di questa città insieme al freddo sulla pelle che finalmente dà senso al maglione messo in valigia, sai com’è c’è l’escursione termica.
Essaouira è il Marocco che si fa borgo di mare, la Medina sappiamo che è la Medina perché è scritto ovunque ma potrebbe essere un qualsiasi centro storico di un qualsiasi paese affacciato sul mare.
Essaouira è piena di turisti: turisti marocchini a prender fresco sulla spiaggia, turisti occidentali con la Lonely Planet in mano, turisti francesi che si godono lo sbocco a mare dal sapore esotico e giocano a fare i vecchi colonizzatori.
Essaouira è l’oceano e la ricerca costante del mare quando viaggiamo. E’ il vento che mi impasta i capelli e che schiaffeggia forte il corpo dalle feritoie a picco sulle rocce, che per un attimo soltanto dopo il tramonto, un attimo di colori precisi e densi, sembra la Danimarca quando ha di fronte la Svezia.

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Non ho mai visto così tanti gabbiani tutti insieme, sono qui sulle nostre teste mentre egocentrici come siamo crediamo di assistere ad uno spettacolo unico ma in realtà sono solo attirati dagli scarti del pescato lasciato sui muraglioni esterni della medina. Fanno confusione e planano sul cibo e poi sul mare sfruttando la spinta del vento, si lasciano fotografare e ascoltare, si lasciano indicare dalle dita dei bambini.
Quando finisce lo spettacolo dei gabbiani ci pensano i ragazzini di Essaouira ad attirare la nostra attenzione e i nostri obbiettivi: si tuffano con rincorsa dal centro delle strada nell’acqua sporca vicino al porto. Fanno capriole, contorsioni, qualcuno in volo mima Superman, sanno di essere un’attrazione e danno il meglio di loro con le acrobazie: mi divertono tantissimo, esulto per i tuffi riusciti, trattengo il fiato per quelli più pericolosi.

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La gioia che non avevo trovato per strada è tutta concentrata su questo lungomare e aumenta con l’avanzare della marea che sommerge la spiaggia e cancella i passi miei che letteralmente mi fiondo a riva e di tutte le persone che passeggiano tranquille. Le donne coperte che mantengono con le mani i lembi delle loro tuniche, i ragazzini che giocano a racchettoni, i bambini che non hanno mai freddo, gli uomini che fanno il bagno.
Restiamo seduti a terra, immobili contro il vento che alza tutta la sabbia del Marocco e contro il sole che con il vento non sembra così forte, restiamo seduti a terra a guardare come la leggerezza è uguale in tutto il mondo. Poi prendo coraggio, un piede, poi una gamba, poi l’altra, poi l’onda sulla pancia, qualche passo e poi un tuffo e per qualche istante ci sono io e solo l’acqua gelida che mi avvolge. Riemergo e so che di fronte a me non c’è più nulla, solo mare, solo oceano.

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Maghreb perché siamo nella parte più occidentale dell’Africa e il sole tramonta perfettamente dietro la linea dell’orizzonte, tramonta piano per farsi guardare e fotografare, tramonta piano perché i desideri lanciati contro quella linea siano più lunghi ed articolati, tramonta piano perché si possa sentire tutto il freddo del vento freddo che arriva dall’Oceano in cima alla rocca tra i cannoni e le feritoie. Con le guance rosse come il sole rosso che diventa un semicerchio e poi un arco e poi una linea curva.
(L’ultimo ricordo del Marocco è prima dell’alba ad Essoirua solo il rumore del vento, fortissimo, che circola nei vicoli deserti della medina e il rumore dei nostri trolley che mettiamo a terra solo dopo un po’, un po’ per non dare nell’occhio, un po’ per goderci quel suono mai sentito prima).


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