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Masterpiece: non sarà un capolavoro, ma non è nemmeno l’armageddon

Creato il 19 novembre 2013 da Frailibri

masterpiece-rai3Ma non è che forse in Italia si legge poco (anche) perché esiste un’aristocrazia letteraria che, chiusa in una sua roccaforte giudica e boccia le cose un po’ più pop, e si riempie la bocca con nomi altisonanti di cui magari non ha mai letto un libro?
Io dico, che male c’è a parlare di scrittori, scrittura, processo creativo in televisione? Perché criticare a priori? Perché non sempre le critiche sono a ragion veduta. Già quando l’unica cosa che si sapeva di Masterpiece era che fosse un talent per scrittori si gridava allo scempio. A prescindere. Magari perché non si sarebbe parlato di libri e scrittura in un salotto con le poltrone damascate o nei luoghi “ufficiali”.
Che poi, se ripenso alla serata di premiazione dello Strega o del Campiello, dico che non prenderei più un libro in vita mia se non per metterlo sotto la gamba di un tavolo che balla.

Diciamo che io mi sono divertita e incuriosita e come me tantissimi lettori, giornalisti, opinionisti, cantanti (Jovanotti ha scritto un lapidario Masterpiece ha l’x-factor) e “passanti” che lo hanno commentato in diretta su twitter.

Mi aspettavo (e auspicavo) una sorta di editing scoperto, per cui speravo di sentire dai giudici perché un pezzo o un romanzo non “avrebbero passato il turno”, perché non sarebbero stati all’altezza della situazione, perché non avessero alcuna speranza di aggiudicarsi il premio finale e quindi di pubblicare. E in parte questo l’ho avuto, ne sono soddisfatta e spero che le prossime puntate trattino un po’ di più e meglio questo aspetto.

Anche per quanto mi riguarda, ovviamente, ci sono scelte che ho apprezzato, altre meno. Se avete voglia di continuare ve li dico, ditemi quali sono i vostri se vi va.

L’orario. Ci sono alcuni programmi Rai che sembrano i figli ripudiati. Li metti al mondo, dai loro tutte le cure e le attenzioni del caso, li presenti a tutti… e poi li sbatti nello stanzino quando hai ospiti a casa. Posizionare un programma “nuovo, innovativo, la scommessa della Rai” alle 22.50 di domenica sera e poi farlo slittare a dopo le 23.00 è una crudeltà. Come una mancanza di rispetto. Per altro, dopo un tg regionale di tutto rispetto ma con notizie in chiusura che non avrebbero cambiato il corso della nottata a nessuno.

I giudici. Come immaginavo, Giancarlo De Cataldo è il più “in parte” di tutti. Ironico, caustico e molto diretto, mi sembra anche il più preparato all’ascolto di un libro e a trarre quanto di buono ci sia in uno scrittore, senza farsi incantare da agenti esterni. E poi è leggero, non ha quella cappa pesante e fumosa da scrittore che molti si portano sulle spalle. Lui è la pancia del trio, un misto fra ragione e sentimento, giudizio tecnico e “di pelle”. Andrea De Carlo è la testa, il più razionale di tutti, posato, riflessivo a costo da sembrare un po’ impalato, poco sciolto; a volte cigola, come un ingranaggio non oliato. Dice tante, tantissime cose sensate sulla scrittura, sui temi, sulla tecnica, ma la sua presenza scenica e presenza di spirito è nettamente inferiore a quella del suo antagonista. Magari deve solo ambientarsi meglio. Taye Selasi è il cuore, quella che si emoziona, si commuove davanti alle storie degli scrittori e alla loro vita personale, ma non ha il linguaggio del giudice; spesso la motivazione dei suoi sì e dei suoi no sfugge, arriva solo la spinta emotiva attraverso un discorso abbozzato.

Il coach. Troppo poco spazio a Massimo Coppola in un contesto che sembra completamente diverso da quello della trasmissione. Anche il ritmo, lo stile, il background dei suoi interventi sembra proprio di un’altra trasmissione. Lui dovrebbe essere il coach, l’allenatore, quello che da scrittore, editor, editore (ISBN è una sua creatura di tutto rispetto) dà consigli, aiuta gli scrittori a raggiungere l’obiettivo (in questo caso superare le prove di scrittura in modo convincente). E invece appare come un accompagnatore, un presentatore anche lui nello stanzino. Più che un Mika, sembra un Simone Annicchiarico che butta sul palco i concorrenti di Italia’s got talent. Peccato. Speriamo che nelle dirette possa avere il ruolo che merita.

I concorrenti. Dai cinquemila (CINQUEMILA! Non è un caso che si dica che in Italia ci sono più scrittori che lettori) romanzi ricevuti sono stati selezionati circa trenta scrittori che in parte abbiamo visto – e vedremo – nelle serate dei provini. Solo quattro hanno accesso allo step successivo, la prova di scrittura che decreterà un finalista per ogni puntata.

I quattro di domenica scorsa erano tutti casi umani (la definizione più twittata in assoluto), come se chi scrive debba per forza aver avuto esperienze estreme (per citare Selvaggia Lucarelli: Sì, ma dite a quelli di #Masterpiece che la scrittura non è necessariamente un’alternativa al suicidio. C’è pure gente felice che scrive). Un ex galeotto che sulle prime era sembrato molto convincente e chiamato invece alla prova di scrittura ha prodotto un compitino da scuola elementare (De Carlo ha detto media, l’ha promosso); un’ex anoressica un po’ troppo autoreferenziale; un’operaia inghiottita dalla crisi, che non scriveva neanche male; l’alter ego di Lady Oscar, un ragazzo con un – improbabile – nome da donna “perché la mamma voleva una femmina”. Ovviamente passerà lui, scrittore maledetto, che ha vissuto per strada e – dicono – ricorda Céline, Svevo, Fante (che si sta rivoltando nella tomba nonostante gli manchino le gambe).

Le prove e gli ospiti. Ok, i quattro sono stati selezionati perché i romanzi che hanno inviato erano degni di passare allo step successivo al provino. Però devono essere messi alla prova. Idea bella (che ha tanti precedenti fra cui questo, che risale a sette anni fa) e che serve anche a dare dinamicità alla trasmissione è il portare gli scrittori in contesti particolari (una comunità per persone in difficoltà e una balera) da cui tirare fuori la traccia per un racconto da scrivere in 30 minuti. Ecco, il risultato dei quattro è stato penoso. E qui mi chiedo: uno scrittore che ancora non è completamente “formato”, non governa il suo stile, ha bisogno di un talent per imparare, è in grado di scrivere in così poco tempo e in una situazione di tensione? Magari l’intenzione è proprio di tirare fuori il talento dalla estemporaneità. O magari il pezzo lo scrivono con calma dietro le quinte… sempre in mezz’ora ma in un ambiente più friendly.
Passata poi la prova, i due rimasti hanno avuto cinquantanove secondi per raccontare il loro romanzo, nello spazio angusto e di per sé imbarazzante, di un ascensore alla direttrice editoriale di Bompiani (casa editrice che pubblicherà in centomila copie il romanzo del vincitore) Elisabetta Sgarbi, che alla fine ha contribuito a mandare in finale il più motivato e talentuoso.
La Sgarbi è un’altra delle grandi sacrificate di questa prima puntata. Poco spazio, giudizi e ragionamenti “tagliati” con l’accetta, tante idee ottime per questioni sicuramente televisive poco approfondite. Ci vorrebbe lo spin off della Sgarbi!

Programma chiuso con pillole di saggezza degli scrittori che hanno avuto successo, che fanno auguri e sensate raccomandazioni, fra le quali non compiacersi del parere degli amici. Geniale Brizzi che tira in ballo l’io-luismo di tanti scrittori, ossia il rischio di creare un personaggio che rispecchi la propria biografia, solo più figo.

La prima puntata è finita così, con la pancia piena ma non ancora sazi. Io direi di aspettare prima di capire cosa succederà in futuro, vedere come andranno le dirette, magari gli spazi per ogni aspetto, ospite, prova saranno meno stretti e si potrà parlare di libri e di scrittura con un respiro più ampio, avendo il tempo di approfondire. Ma non mi sembra, finora, che Masterpiece sia l’armageddon.

Insomma, dopo l’esordio, grandi speranze.



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