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MASTODON – Once More ‘Round the Sun (Reprise)

Creato il 23 luglio 2014 da Cicciorusso

5a3161c0Mi sono sempre tenuto a distanza dai Mastodon per motivi che non ho mai avuto voglia di approfondire più di tanto. Fino ad ora, ovvero fino all’uscita di Once More ‘Round the Sun, che, al momento, è top album di quest’anno. E allora mi trovo costretto (e credetemi, non ne avevo la minima voglia) a rivedere daccapo il giudizio nei confronti degli americani sorbettandomi di sana pianta la discografia, al fine di recuperare quei due/tre capitoli della loro carriera che avevo scansato per semplice accidia e rinfrescarmi la memoria sui rimanenti. Non nego la portata storica di un album come Remission, che all’epoca non mi annoverava, però, tra i sostenitori della prima ora ma che resta imparagonabile da ogni punto di vista a ciò che è oggi questo gruppo. Per il resto mi trovo costretto a confermare il pensiero che ho sempre istintivamente appoggiato, quello, cioè, di avere a che fare con una band che ha campato di una rendita di posizione che forse è giunto il momento venga un attimo ridimensionata, soprattutto alla luce del suddetto Once More ‘Round the Sun.

Ci sarà sicuramente molta gente che li sente particolarmente vicini ai propri gusti e starà saltando sulla sedia (e qui ragazzi, davvero dai, fate attenzione che alla fine del tunnel masturbatorio in cui vi siete cacciati c’è solo lo djent); personalmente amo il prog ma non quando in suo nome vengono incensati dischi noiosi e non ho più la pazienza per fare l’abitudine a niente che non mi dica nulla dopo due ascolti al massimo. Per dire, il tanto osannato Leviathan non mi piacque all’epoca come non mi piace oggi, anche se nel complesso, a voler essere oggettivi, della prima metà non si può dir male. Blood Mountain è un disco che spreca i suoi aspetti positivi perdendosi nella confusione del virtuosismo a tutti i costi e in una sintomatica mancanza di carattere ed omogeneità, cosa che lo rende tutt’altro che memorabile. E anche in Crack the Skye – con il virtuosismo elevato a potenza e a inconcludenza che, nonostante ciò (o forse proprio per questo motivo), non posso che apprezzare filosoficamente – alcuni pezzi meritano davvero di spellarsi i palmi dagli applausi, però stai lì, li ascolti mentre i quattro si tirano vicendevolmente questi grossi rasponi a due mani e ti poni sempre la stessa domanda: sul serio, dove vogliamo andare a parare?

The Hunter, invece, lasciava intravedere qualche singolone che ti faceva venire la voglia di riascoltarlo un’altra volta, quindi posso anche capire chi ne ha parlato bene; comunque mi lasciava in testa l’immagine del blob ancora privo di una forma definita e, fondamentalmente, la sensazione della proverbiale presa per il culo era sempre in agguato. Mi verrebbe da pensare che questi hanno fatto delle influenze progressive più cervellotiche un amo per far abboccare gente che magari il prog lo ha frequentato poco e male nel corso della sua vita, confondendo le idee a chi era abituato al fatto che a uno stile preciso corrispondesse un determinato suono e che, vistosi nella difficoltà di elaborare la novità, ha risolto l’incongruenza con la faciloneria di chi è solito tirare in ballo la vituperata parola, abusatissima in casi come questi: genio.

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Per fortuna questo tritamento di maroni è finito, cari amici del post-metal, perché siamo all’anno zero dei Mastodon. Per me la loro carriera potrebbe anche iniziare qui, con Once More ‘Round the Sun, che spero rappresenti la loro nuova forma per un bel po’. Entriamo nel dettaglio? Guardate, è molto, molto semplice: basterebbe dire che quei vizi di cui sopra qui non ci sono. La facciamo ancora più semplice? I Mastodon ora funzionano, girano e rigirano nello stereo senza tregua (unico indice oggettivo di gradimento, per quanto mi riguarda). O basterebbe dire che qui finalmente ci sono i pezzi, un suono ancora muscoloso come da marchio di fabbrica e il groove settantiano, le melodie vocali e l’influenza progressiva in quel modo intesa. L’anno zero dei Mastodon significa principalmente stoner, psichedelia, hard rock ma suonati da dio, da gente che ha – come ha sempre avuto – l’arte nelle mani e che attinge con maggior coraggio alla propria tradizione musicale sudista. Finalmente oggi trova senso e giusto contesto quella particolare alternanza di timbri vocali e cori. E finalmente, infine, la sezione ritmica di quel mostro di Brann Dailor rende onore a sé stessa più per ciò che potenzialmente sarebbe ancora in grado di fare che per gli arzigogoli jazzati che prima ficcava a destra e manca pur di coprire ogni millisecondo di spazio. Non sento più quei passaggi ossessivi e malati che rischiavano di appesantire l’umore di un ascoltatore già gravato da tutta l’abbondanza e la ridondanza. Al contrario, l’atmosfera è più leggera e questo ti rende partecipe di qualcosa di genuinamente fico, piuttosto che la cavia degli scleri di quattro tizi di Atlanta. Vogliamo scommettere che adesso risulteranno più efficaci e magari anche divertenti dal vivo? (Charles)



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