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Memorie libiche: spazio e tempo...

Da Suster
Mi è difficile riprendere in mano i miei appunti e cercare di restituire loro l'ordine che mi ero originariamente proposta. Nel frattempo è passato tempo, son sfiorite impressioni e allontanata l'immediatezza del ricordo.
Fortuna che ho sempre il quaderno, perché invece il desiderio di fissare i pensieri c'è sempre, anche se l'essere finalmente tornata tutta di qua, pure con la mente, cosa che mi ha richiesto un bel po' di tempo, ora che primavera si affaccia radiosa su paesaggi a me più familiari, mi rende quei ricordi a tratti faticosi...
Ma andrò avanti seguendo l'ordine enciclopedico stabilito inizialmente, che mi aiuta e mi dà modo di mostrare qualche veduta di quella che è stata per un mese la realtà spaziale entro cui mi sono mossa, e i soliti pensieri annotati...


Natura.
Questo Paese non è certo ridondante di offerte naturalistiche, pullulante di delizie paesistiche, lussureggiante di tesori ambientali. Beh, il Paese ha pure le sue bellezze, basterebbe andarle a trovare. Il nostro rimanere circoscritti all'area cittadina di Misurata ha ridotto però le nostre occasioni di esplorazione.
La natura elargisce qui i suoi doni con parsimonia e direi quasi col contagocce.
Ma si avverte un rapporto molto immediato dell'uomo con la terra, gli animali, il lavoro, i frutti. Difficile trovare in giro per alimentari prodotti fuori stagione, e questo in inverno limita la scelta ortofrutticola a un ristretto ventaglio di tuberi , banane e agrumi.
Questa però è anche per loro la stagione più verde, in che dà da pensare a come dev'essere il resto dell'anno, ché se non ci fossi già stata non l'immaginerei, così rossa la vidi arrivando dall'alto, in aereo, e senza il più piccolo quadrato di verde, ma nemmeno di giallo paglierino: solo terra rossa e polvere, chiazze di palmeti dai rami grigio-argentei.
Ah! E poi gli uliveti! Ci sono anche gli ulivi, aggrappati tenacemente a quella terra dura, a produrre ombra, fruscio di fronde e ristoro all'occhio desolato dall'estrema piattezza di un orizzonte sempre troppo spoglio.
Campagne e coste sempre un po' selvatiche, pascoli un po' troppo brulli, greggi di pecore e capre e mucche solitarie che vagano a brucare i radi ciuffi d'erba.
Nel giardino della casa Mimi si è divertita ad inseguire papere e galline, a veder volare i piccioni a ogni battito di mani dei bambini più grandi, a osservare le galoppate brade della cavallina e a scoprire che il mulo fa "Ooh-ih-ooh" come l'asino, ma anche "Hihihihihi!", come il cavallo.
Niente di diverso da una qualsiasi campagna nostrana, in fondo. Solo tutto un po' più "approssimativo", apparentemente lasciato a se stesso, molto alla libica insomma.
Un mare selvatico più che mai abbatte le sue onde su coste scoscese e poco frequentate, sacchi di spazzatura si ammassano a ridosso delle dune sormontate ancora una volta da file di palme, cani randagi e uccelli ne fanno pastura. L'ambiente non è ancora sentito come un patrimonio comune da preservare e tutelare, il rapporto dell'uomo con esso è ancora condotto ad un livello prettamente utilitaristico e poco incline a cadute sentimentali e deliqui estatici.
Parlare di raccolta differenziata quaggiù sarebbe fantascienza, se già solo raccogliere e incenerire i rifiuti è prassi non ancora ben consolidata, e comunque  vien sbrigata per iniziativa di privati cittadini, non provvedendovi le istituzioni pubbliche.
Gli avanzi dei pasti, invece, finiscono alle bestie di cortile, ché ogni casa ha i suoi, com'era forse un tempo da noi, almeno nei piccoli centri: cani, gatti, asini e galline si affollano alla rinfusa intorno a quel che resta del pranzo e della cena, che anche per questa ragione, vengono preparati sempre in abbondanza, in previsione di un avanzo certo mai sprecato.
Un'economia domestica in parte autosufficiente alla cui gestione collaborano anche i più piccoli di casa, incaricati di radunare e riportare al chiuso le pecore alla sera, indaffarati a cercare e raccogliere uova deposte da galline razzolanti negli anfratti della vasta campagna di famiglia.
Orari.
La vita qui scorre su binari più rallentati: parlare di orari non è cosa propriamente conveniente quando si tratta di traffici, incontri o semplici programmi per la giornata.
Gli orologi sono pezzi ornamentali, e comunque non si usano poi troppo, non se ne vedono esposti da nessuna parte. Io ne soffro, un certo senso di smarrimento e perdita delle coordinate, ma a quanto pare solo io.
Quando è pronto da mangiare, si mangia; quando ci si sveglia, ci si alza; quando si è stanchi, si va a letto. Se poi avanza sonno, si recupera nella giornata.
Ho visto negozianti apparecchiarsi un giaciglio sul pavimento del proprio negozio e stendersi per una pennica lasciando aperta la bottega nella pausa pranzo.
Se poi arriva un cliente, poco male: ci si alza e lo si serve, poi ci si torna a coricare.
Detta così sembra il paradiso del relax e della vita  senza pensieri. Hakuna matata insomma. In realtà una gran rottura di maroni: impossibile fare dei programmi, impensabile prendere dei ritmi, capire come regolarti anche solo in relazione alle funzioni base della vita, mangiare, dormire. Con una bambina piccola dietro questo disagio è stato amplificato. Diciamo che se avessi continuato a impuntarmi perché la pupa mantenesse gli orari dei sonnellini e dei pasti che con fatica ero riuscita a regolarizzarle, sarei impazzita. Ma con grande lungimiranza, sin dal secondo giorno ho capito che su questo punto dovevo mostrarmi laggiù un poco flessibile, in fondo eravamo in vacanza, niente di male a sbragarci un po'.
Quel che non ti spieghi è come riuscire a vivere così 265 giorni l'anno. Bambini che gironzolavano arzilli come grilli fino a tarda ora della notte, che vedevi emergere dal loro sonno notturno a mattinata inoltrata barcollanti come zombie, e che consumavano una colazione di pane fritto e latte condensato saltellando per il giardino con una scarpa sì e una no, mentre la madre sbraitava per chiamarli in casa e vestirli, che ci inseguivano fermandoci quando stavamo per uscire in macchina chiedendoci di accompagnarli a scuola, ché ancora non si erano organizzati per capire chi avrebbe dovuto accompagnarli. E poi aspetta ancora per mezz'ora a motore acceso l'ultima che sta pettinandosi i capelli e non esce ancora di casa...
- Ma è l'una e mezza: a che ora entrano a scuola?
Chiedo sbalordita.
- Entrano all'una... Infatti sono in ritardo.
- !!!
Che poi ti chiedi anche che razza di orario è per un bambino, andare a scuola all'una, quando si sa che sono le ore immediatamente seguenti al risveglio quelle in cui il cervello carbura di più. Ma è che lì le scuole fanno i turni: alcuni bambini frequentano la mattina, e altri il pomeriggio.
Solo ora riesco davvero a capire fino in fondo  il motivo dell'incapacità cronica del beduino ad avere degli orari decenti, e il suo concetto assai vago e vasto di puntualità...
Spazio.
E' un paese molto orizzontale la Libia, e in generale assai poco vario, in paesaggi e conformazione del suolo. Ché ti si impigrisce pure l'occhio alla fine, dall'esser poco stimolato dal cambiamento, dalla varietà. E perdi pure il senso della profondità, della distanza, ché non hai punti di riferimento intermedi e tanti spazi liberi, su cui lo sguardo dilaga, ma senza realmente annotare nulla di notevole, ché i pochi particolari sono talmente diluiti in quella vastità davanti a te da sparire o perdere rilevanza, e non hai chiare le coordinate della tua posizione né di quella del luogo in cui intendi arrivare, perché magari in mezzo c'è solo strada piatta, e il ripetersi cadenzato e ossessivo di elementi sempre piuttosto identici ai precedenti, ché ti passa pure la voglia di prender nota, e memorizzare.
Poche tracce dell'attività umana, nelle campagne, un paesaggio rilassato, che ti invita a fare altrettanto.
Tempo.
Thomas Mann scrive: "Laddove c'è tanto spazio, c'è anche tanto tempo".
Ecco che la Libia mi conferma in maniera inconfutabile questo assioma.
C'è spazio, tanto. C'è tempo, pare che nessuna delle due cose rappresenti una preoccupazione per i suoi abitanti, assai poco abituati a doverne fare economia.
Di spazio, di tempo, che importa? Ce n'è in abbondanza.
Scandita dalle cinque preghiere prescritte dall'Islam, ogni giornata fila liscia come una ruota ben oliata e non si ha mai l'impressione che il tempo non basti.
Ma ti basterebbe scorrere l'occhio su questi paesaggi sonnolenti, rallentati, sempre uguali a se stessi, per capire davvero il reale valore di quell'affermazione. Il tempo è in quello spazio che non può certo dirsi a misura d'uomo: è l'uomo che vi si adegua, che vi si adagia pigramente, senza affannarsi a coprirne le distanze, o a riempirne gli spazi vuoti, a metterlo tutto a frutto, proprio come la campagna chiazzata di terra polverosa, da cui prendi quel che si può. E ciò che non si può far oggi, si farà domani.
Memorie libiche: spazio e tempo...
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