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Meno province = meno servizi?

Creato il 29 luglio 2012 da Ilnazionale @ilNazionale

Meno province = meno servizi?29 LUGLIO – “Stiamo lavorando a un riordino che riduca il numero delle province a 50-52, che porti cioè a un sostanziale dimezzamento”, ha detto il Ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi. Ha poi aggiunto: “capisco resistenze e campanilismi ma dobbiamo guardare alle prospettive. Abbiamo assetti amministrativi vecchi di due secoli e cambiarli credo sia una di quelle riforme strutturali di cui il paese ha bisogno”. Così ha parlato il Ministro per rispondere alle critiche avanzate dai sindaci e presidenti delle provincie destinate alla scomparsa. Le manifestazioni in piazza sono state seguite dalla stampa e dal mondo politico. L’accusa avanzata dai governatori locali è che, con questa decisione, il governo riduce notevolmente le possibilità economiche delle provincie e degli enti locali, facendo ricadere il peso delle istituzioni sui cittadini. Alcuni hanno persino accennato al possibile ritardo nell’inizio degli anni scolastici, per la mancanza di risorse alle scuole. Il Ministro dell’Istruzione Profumo ha nettamente confutato una simile ipotesi, dichiarando tali preoccupazioni infondate e, talvolta, strumentalizzate per criticare l’operato del governo. Le manifestazioni dei sindaci e dei membri dell’UPI fanno pensare ad una forma di campanilismo che vuole frenare una serie di riforme necessarie per l’economia del Paese. Tutto questo è in linea con il progetto del Ministro Grilli circa gli immobili e le società pubbliche, che si avviano verso la vendita e la privatizzazione.

Allora, cosa avviene agli enti locali? L’abolizione delle provincie rischia di precludere alcuni servizi? E’ questa la domanda che un po’ tutti gli italiani si pongono. Bisogna però ricordare che le provincie abolite saranno soltanto quelle minori, alcune nate, e questo rappresenta una contraddizioni in termini, molto di recente. Alcuni sindaci si sono mostrati molto favorevoli a questa manovra, come quello di Venezia, il Professor Giorgio Orsoni, che ha detto che “avrebbe abolito tutte le province già anni fa”. Altri, invece, si sono mostrati restii e un’asprissima critica è stata fatta dal senatore di Benevento Pasquale Viespoli, che ha presentato una nota in risposta all’emendamento, dicendo che “qui si è aperto il mercato dei territori con un ricorso alla creatività emendativa per salvare qualche notabilato locale. Meglio abolirle tutte le Province”. Alcune province rientrano a fatica nei parametri imposti dal governo per la loro sopravvivenza (350.000 abitanti e 2.500 km quadrati) e i dibattiti sono ancora aperti. La battaglia si concentra soprattutto sui tribunali minori, trentasette, che dovrebbero sparire, riducendo notevolmente la spesa pubblica. Si nota però che, con il passare del tempo, le polemiche si fanno più insistenti e per talune province e tribunali la discussione è ancora molto forte.

È stato ricordato da alcuni commentatori che il patrimonio di proprietà dello Stato è solamente il 20% di quello pubblico, contro l’80%, detenuto invece da Regioni e Comuni. È chiaro quindi che il patrimonio delle singole Regioni supera di gran lunga quello statale, e che varie operazioni di vendita e privatizzazione potrebbero tranquillamente risolvere questi problemi. Quando i sindaci hanno ricordato i rischi di una simile manovra, il fatto che alcuni servizi sono a rischio, non hanno considerato l’ipotesi di vendere parte del patrimonio per coprire i nuovi deficit di entrate. Lo stesso Ministro Grilli ha più volte sottolineato che il processo di privatizzazione del demanio pubblico è già in corso, e non si capisce per quale ragione esso non possa riguardare anche gli enti locali. Certamente, se invece le provincie non andranno verso la privatizzazione, o addirittura lo smantellamento di alcuni enti, il loro bilancio sarà negativo. Il loro apparato è infatti talmente complesso e vasto che difficilmente si può pensare di mantenerlo in vita nello stato attuale e con l’attuale conformazione. È necessaria una revisione. È una manovra che piace a pochi, anche perché coinvolge gli uffici notabili delle varie regioni e smantella un apparato fortemente radicato sul territorio. In Italia, il senso di appartenenza culturale e politico ad una regione, se non addirittura ad una provincia, è sicuramente maggiore rispetto al senso di appartenenza alla Repubblica Italiana, tanto più negli ultimi anni e infatti, forse, questa è la manovra più ardua del governo Monti.

Enrico Cipriani


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