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Mina: “Non volevo che morisse, ma l’ho lasciato andare”

Creato il 17 luglio 2012 da Tipitosti @cinziaficco1

Uno sguardo dolce. E tanta serenità. Quella che spesso ti deriva da una profonda sofferenza. Dice di non sentirsi tosta, ma solo tanto normale. Eppure, Mina Welby, nata a San Candido, in provincia di Bolzano nel ‘37, di coraggio ne ha avuto tanto. Il 20 dicembre del 2006 ha perso suo marito Piergiorgio, affetto da distrofia muscolare, da quando aveva 16 anni. Quel giorno, suo marito è morto, aiutato da un medico anestesista che, dopo averlo sedato, gli ha staccato il respiratore.Mina: “Non volevo che morisse, ma l’ho lasciato andare”

Ho avuto il piacere di incontrare questa donna a Putignano, nel Barese. Abbiamo fatto una chiacchierata, che vi propongo.

Guardandola e ascoltandola, balza, senza alcuna retorica, tanta tranquillità. Come ha fatto a ritrovare equilibrio, a non sprofondare nella disperazione, dopo quel dicembre di sei anni fa?

Credo che alla mia età sia giusto che abbia trovato il senso della vita. Fin da piccola avevo avuto l’esempio dei miei genitori su come affrontare malattia, dispiaceri e la perdita di chi si ama. Cose che vediamo fanno tutti. Non sono una eccezione.

Cosa è successo in questi sei anni e quale è stato il periodo più difficile?

Fin dall’inizio ho cercato di indovinare, come già avevo fatto durante la nostra vita insieme, cosa avrebbe fatto piacere a Piergiorgio in tutti gli istanti, che sono seguiti a quel dicembre. Molto difficile è stato vedere cambiare in modo totale la giornata, che prima era scandita da precisi orari, in cui si facevano determinate cose. Parlo anche della notte. Non sentire più lo sbuffo del ventilatore polmonare disturbava il mio sonno. La cosa che mi fa soffrire ancora è una.

Quale?

Tante persone con carica istituzionale non hanno compreso la scelta di Piergiorgio  di interrompere la terapia ventilatoria, bollata come eutanasia. Tanti ce l’hanno con i Radicali, bollati come coloro che hanno strumentalizzato la sua causa. Vorrei chiarire che siamo stati Piero e io insieme a chiedere ai Radicali, in particolare a Marco Pannella e Marco Cappato di darci voce. E l’abbiamo fatto non solo per noi, ma per tutti quelli che volevano condurre una battaglia per un diritto. Quello  di potere liberamente scegliere le terapie e rifiutarle, come prevede l’articolo 32 della Costituzione Italiana, al comma 2. Che recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

Come ha affrontato questi sei anni? A chi si è appoggiata, chi l’ha aiutata?

I primi due anni vivevo ancora con la mamma di Piero, che si era ammalata soprattutto perché la salma del figlio le era stata portata via in un sacco bianco per l’autopsia. Era finita all’Istituto di Medicina Legale, ed è rimasta per sei mesi nel frigorifero del cimitero. E, invece, lei aspettava una sepoltura dignitosa. E’ morta due anni dopo,  al secondo anniversario della sua morte, il 20 dicembre 2008. Quando è deceduta lei,  con più tenacia mi sono impegnata a rispondere alle richieste di partecipazione ai convegni, che mi sono arrivate da associazioni e Comuni di tutta Italia. Lo faccio anche ora come militante radicale. Dal 2003 sono membro dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e dall’ottobre 2011 sono co-presidente di questa associazione. Ho ottimi rapporti con mia cognata Carla, sorella di Piero e mi sento amata e stimata dai
compagni radicali tutti.

Chi, invece, l’ha delusa profondamente?  Forse la Chiesa, che non ha voluto per suo marito un rito religioso? Ha in qualche modo giustificato l’atteggiamento della Chiesa o pensa che in quell’ambito ci sia tanta ipocrisia e si usino due pesi e due misure?

Non posso dire che qualcuno mi abbia deluso. Sapevo che anche nell’ambito della Chiesa ci sono le debolezze umane come dappertutto. Che siano state le gerarchie della Chiesa a infierire contro chi era rimasto, in particolare la mamma, mi ha fatto pensare che fosse una scelta politica, per punire i Radicali.

Come è stato l’atteggiamento dei media sul vostro caso?

I media, come al solito, coglievano il sensazionale, che sempre distorce la verità.

Immagino non sia credente. Cosa ha rappresentato la sua forza? Forse i ricordi di una vita insieme?

Io sono credente. I dubbi per chi crede sono anche i miei, ma non sono aumentati per la nostra vicenda. Credo di fare una battaglia giusta per la legalità e la trasparenza nella politica e nella vita pubblica per tutti i cittadini.

C’è una frase, un episodio che ricorda dei tempi più felici con suo marito?

Mina: “Non volevo che morisse, ma l’ho lasciato andare”

Ce ne sono tanti e spesso dipende dalle situazioni, che tornano ricordi o parole.

C’è un posto, a cui è legata e in cui andavate qualche volta insieme?

Ci sono molti posti, da cui ogni giorno passo o altri, dove andavamo per battute di pesca.

Ha mai provato sensi di colpa?

Perché dovrei averne?

La reazione immediata che ha avuto quando suo marito le ha parlato del suo
desiderio di farla finita?

Terribile paura di perderlo. Non volevo che morisse.

Non è mai stata egoista, non ha mai contrastato suo marito?

Quando si sa che la malattia ti fa perdere qualcuno, non pensi alla sua sofferenza e l’egoismo è lì.

Mina: “Non volevo che morisse, ma l’ho lasciato andare”
Cosa significa vivere in modo dignitoso?

Per ogni persona può essere differente. Per molti è umiliante farsi accudire da mani estranee. La qualità di vita dà il senso di dignità.

Cos’è una morte dignitosa?

Anche questo fa parte della percezione molto personale di ognuno. Tutti sappiamo che morire non è un divertimento e vorremmo che rimanessero accanto le persone che ci amano e con le quali abbiamo vissuto.

Quando la vita non è più degna di essere vissuta? E’ molto difficile stabilire un
parametro universale, non crede?

Chi cura malati e anziani lo faccia con grande rispetto e amore per dare loro la sensazione e la certezza che sono amati e importanti e non di peso. Qui non c’è altro parametro universale che il rispetto e, se c’è, l’affetto. Queste chiavi le osservino  anche quelli che assistono per professione o perché remunerati!

Cosa risponde a chi dice che l’uomo non ha il diritto di rinunciare alla vita, qualunque essa sia e che tocchi a Dio decidere quando far morire una persona? 

Questa è una considerazione personale e tale rimanga. A chi la pensa diversamente si porti rispetto. In fondo nessuno vuole rifiutare la vita o rinunciarvi. Si rifiuta una sofferenza insopportabile, che di vita ha ben poco. Per ognuno, certo, è differente.

Ha paura della morte?

Non so se la sensazione che provo, pensandoci, sia paura.

Testamento biologico: Perché non se ne parla a sufficienza? Colpa della Chiesa o siamo noi che abbiamo troppa paura di affrontare questi argomenti?

Parlare di testamento biologico vorrebbe dire parlare delle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari, prevedendo l’ incapacità della persona di  decidere per se stessa su
tali trattamenti. La morte è un tabù ancora forte e nessuno ha voglia di parlarne. Ne parlano più facilmente le persone che hanno già accompagnato nel fine vita parenti o amici. È un fatto culturale e con il tempo tutto cambierà. Noi Radicali con l’Associazione Luca Coscioni lavoriamo su dei progetti di legge relativi a  queste tematiche e abbiamo sul sito  http://testamentobiologicoonline.it/ le spiegazioni sui contenuti e su come agire. Appoggiamo queste scelte e chiediamo ai sindaci di tutto il Paese di essere vicini ai loro cittadini. Il testamento biologico è una scrittura privata e come tale legittima.  Molti medici ne sono favorevoli, perché saprebbero come curare un paziente in massima difficoltà, che non può esprimersi.

Quale consiglio sente di dare a chi si trova nella situazione in cui vi siete trovati
lei e suo marito?

Non si possono dare consigli per situazioni che sono per ognuno differenti. Le persone hanno sicuramente bisogno di sapere che c’è chi cerca di capire e sta accanto, anche se non può far nulla di concreto. Se so che ci sono dei presidi che possono essere utili, lo comunico. Poi tocca agli altri decidere.

Come trascorre le sue giornate?

Difficile elencare le molte cose differenti, che ogni giorno porta. Gli impegni sono tanti e faccio prima a dire di dare un’occhiata al nostro sito www.associazionelucacoscioni.it

Si sente una tipa tosta?

Mi sento molto normale.

   Cinzia Ficco


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