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Mirafiori: ritorno al passato

Creato il 27 dicembre 2010 da Animabella
Negli ultimi decenni (in particolare a partire dagli anni 80 del secolo scorso) è circolata una leggenda metropolitana secondo la quale gli operai non esistono più: con le nuove tecnologie e la diffusione dei lavori ‘cognitivi’, il lavoro alla catena di montaggio è stato dipinto come un vecchio quadro in bianco e nero di un’Italia che fu. È stata una rappresentazione potente, in grado di condizionare l’immaginario collettivo, probabilmente anche quello degli stessi operai, convinti di essere gli ultimi rappresentanti di una specie in via d’estinzione (e forse questa autopercezione frammentata ha condizionato non poco i flussi elettorali degli operai, ma questa è un’altra storia). Oggi scopriamo che non è così.
Gli accordi di Pomigliano prima e di Mirafiori poi sono stati giudicati da tutti – sostenitori e detrattori – come uno spartiacque, con una portata definita da qualcuno addirittura storica. E come potrebbe essere storico un accordo se riguardasse quattro gatti senza peso destinati a sparire? È evidente che non è così: gli operai non solo esistono, ma costituiscono ancora oggi una fetta fondamentale dii lavoratori sulla quale si sperimentano nuovi rapporti padronali e si testa la capacità della società di assorbire certi cambiamenti o di rifiutarli. Pomigliano e Mirafiori hanno dimostrato soprattutto questo: che se gli operai esistono eccome, la classe operaia, in quanto classe con una precisa coscienza di sé come tale, forse no. La sensazione infatti è stata quella di una resa al ricatto di Marchionne determinata dalla somma dei bisogni individuali di ciascuno: si accettano riduzioni delle pause, aumento delle ore di lavoro ordinario e straordinario e addirittura azzeramento della democrazia sindacale in cambio della possibilità di arrivare alla fine del mese, di riuscire a pagare il mutuo o le rate della macchina (possibilità peraltro illusoria come spiega bene Cremaschi su www.micromega.net).
Prevedo già la critica: facile parlare e sputare sentenze stando al caldo davanti a un computer e senza mutui da pagare. Questa fin troppo facile obiezione – che mi è stata rivolta anche a proposito della mia posizione sulle violenze di piazza del 14 dicembre scorso – ha innanzitutto la presunzione di conoscere le condizioni di vita di chi scrive, ma soprattutto è la spia di una concezione oggi molto diffusa, che è allo stesso tempo effetto e causa di questo stato di cose: l’idea che il ragionamento, la riflessione, lo sguardo di lungo periodo, il pensiero critico, l’elaborazione culturale sia (debba essere) appannaggio esclusivo di un ceto benestante lontano «dai bisogni della gente», come se chi ha un mutuo da pagare non sia in grado di osservare e analizzare la situazione con il giusto distacco.
Quello che più colpisce dell’accordo di Mirafiori è il suo significato simbolico: dalle prime lotte operaie dell’800 fino agli anni ‘70 del ‘900 le ore di lavoro quotidiano sono sempre diminuite e le condizioni di lavoro degli operai in generale migliorate. Con questo accordo non solo non si procede lungo questa direzione, ma addirittura si inverte la tendenza. Il mio carissimo professore di Storia e filosofia del liceo, alla prima lezione di storia rappresentò su un grafico l’andamento del progresso civile nella storia: non disegnò una retta sempre crescente, ma una curva con degli alti e bassi che però, nel complesso, aveva una tendenza a crescere. Speriamo che questi accordi rappresentino solo un momento di rinculo e non un’inversione di tendenza definitiva.

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