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Monsters University (3D)

Creato il 03 settembre 2013 da Af68 @AntonioFalcone1

iiiiMichael, Mike, Wazowski, mostriciattolo dall’aspetto più buffo che spaventoso (rotondetto, pelle color verde, un solo occhio), sin da bambino ha coltivato il sogno di poter frequentare un giorno la prestigiosa Monsters University, così da laurearsi presso la Facoltà di Spavento e divenire un terribile spaventatore di ruolo presso la centrale elettrica che fornisce energia all’intera cittadina di Mostropoli, sfruttando le urla dei bambini terrorizzati dalla mostruosa incursione notturna nel mondo degli umani, grazie a speciali porte di comunicazione.

campus
Eccolo quindi, ormai diciottenne o giù di lì, far ingresso nel prestigioso ateneo, fortemente determinato ad anteporre lo studio ai tanti divertimenti che il campus comunque offre, tra goliardate e feste organizzate dalle più prestigiose confraternite.
Peccato che il suddetto aspetto “pacioccoso” non sia di valido complemento all’impegno profuso sui libri, tutto il contrario di quanto avviene, invece, per James P.Sullivan, Sulley, gigante dalla folta pelliccia blu e viola, spaventatore doc, vuoi per il fisico, vuoi per essere figlio d’arte: fra i due saranno scintille, tanto che il rettore Tritamarmo annullerà il loro esame d’accesso causa una serie d’incidenti, per cui non resterà loro altro che far fronte comune nel provare ad essere riammessi vincendo un torneo sportivo, le Spaventiadi, entrando a far parte della confraternita Oozma Kappa, non proprio prestigiosa, composta com’è da un colorito melange di nerds, disadattati e losers vari…

Mike

Mike

Prequel del geniale ed innovativo Monsters & Co. (2001), tanto riguardo l’aspetto ludico che quello contenutistico, Monsters University abbandona la regia congiunta (Pete Docter, Lee Unkrich e David Silverman) e si affida al pressoché esordiente Dan Scanlon, anche sceneggiatore insieme a Daniel Gerson e Robert L. Baird, per un risultato finale sicuramente divertente ma che nel contempo, almeno questa è stata la mia sensazione, lascia un po’ d’amaro in bocca.
Il rettore Tritamarmo

Il rettore Tritamarmo

Da un lato, infatti, non si può fare a meno di lodare la capacità del team Disney/Pixar di mettere in scena una vera e propria commedia formato cartoon, con un plot narrativo complessivamente ben strutturato, tra gag (non tutte memorabili) e rimandi cinefili percepibili dagli adulti non accompagnati da minore (da Animal House, ’79, John Landis, a La rivincita dei nerds, Jeff Kanew, ’84, passando per Fame, Alan Parker,’80, ed anche horror quali Carrie, Brian De Palma, ’76, o Venerdì 13, Sean S. Cunningham,’80), accompagnata da una resa visiva affascinante (godibile pienamente anche senza un superfluo 3D), fra ipercromatismi ed una luminosità estremamente reale, veritiera.

Dall’altro, però, risulta dominante la percezione di aver assistito ad una esibizione in gran spolvero, ormai sin troppo abituale, del solito virtuosismo stilistico e creativo, che fa strabuzzare gli occhi ma non sussultare il cuore, senza mai raggiungere un efficace punto d’incontro tra intrattenimento e riflessione. Questi due elementi, entrambi presenti, appaiono rincorrersi fra loro per giungere infine, attraverso un percorso ignoto a noi spettatori ma dal sapore predeterminato, ad una conclusione coincidente con l’inizio del citato Monsters & Co.

Sulley

Sulley

Onore al merito per aver reso Mike protagonista, portatore di un american dream che parte come espressione individuale per poi divenire manifestazione collettiva nell’acquisire valenza e concretezza definitiva, con il simpatico mostro verde al centro di un particolare percorso di crescita, volto alla consapevolezza di sé: quest’ultima viene acquisita solo grazie all’opportuno incontro con i propri simili, fra amicizie in consolidamento e cooperativistico spirito di squadra, mentre la maturità si raggiungerà una volta compreso come si possa egualmente perseguire il proprio obiettivo adattandosi alle sorprese del mondo reale, correggendo la postura delle vele ad ogni soffio di vento, sfruttando le personali caratteristiche a proprio vantaggio, anche quelle che appaiono difetti o comunque non idonee allo scopo.
I componenti dell' Oozma Kappa: Art, Scott

I componenti dell’ Oozma K: Art, Scott “Squishy” Squibbles, Don Carlton, Terri e Terry Perry

Senza indulgere in moralismi, si delinea quindi l’importanza di credere sempre in se stessi, non mollando mai il timone: alla fine si otterrà forse qualcosa di diverso da quanto agognato, ma, probabilmente, sulla distanza, anche di più appagante.
Ecco, concludendo, in virtù di queste tematiche e delle descritte mirabilie visive, Monsters University si conferma un film gradevole, che non verrà certo inserito fra gli annali dell’animazione (anche per l’inevitabile confronto con il celebrato predecessore), pensato soprattutto per la visione familiare (qui entra in gioco la Disney) e talmente calato nel reale da lasciare ben poco spazio all’afflato immaginifico. Proprio tale ultimo assunto permette comunque di dar vita ad una riflessione, espressa a livello personale, ovvero se questo mantenere i piedi ben saldi per terra rispetto ai precedenti voli pindarici, sia una semplice casualità o l’intuizione di un adeguamento ai tempi non proprio sereni che stiamo vivendo, dove anche la fantasia è costretta a fare i conti col quotidiano.
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Una breve considerazione relativa al cortometraggio L’ombrello blu, scritto e diretto da Saschka Unseld, presentato all’ultima edizione del Festival di Berlino, abbinato a Monsters University, di cui precede la proiezione: piuttosto suggestivo e poetico, per quanto non propriamente originale (rimandi cinefili a parte, nei miei ricordi di tenero bimbetto vi è un cartoon Disney piuttosto simile, protagonisti due cappelli, uno da uomo e l’altro da donna, Johnny Fedora & Alice Bluebonnet, ‘46) è la storia dell’incontro, in una metropoli grigia e piovosa, tra un ombrello blu ed un’ombrellina rossa, due macchie di colore fra tanti esseri simili tutti uniformati dalla stesso tinta, in pendant con l’ambiente circostante, e il cui reciproco coup de foudre sarà ostacolato da una serie d’inconvenienti, sino all’intuibile finale.

Prevale anche qui la sensazione di prodigio tecnico, con una fotografia estremamente reale, mitigata però da una regia piuttosto attenta a cogliere la suggestione poetica rappresentata dalla partecipazione di ogni oggetto d’arredamento urbano (dalle grondaie ai cartelli stradali), volta a rendere possibile il coronamento del sogno d’amore, contraltare all’indifferenza degli esseri umani, visualizzati come un informe tutt’uno brulicante fra le arterie cittadine.


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