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Monumenti: cogliere l’occasione

Creato il 30 gennaio 2011 da Gadilu

di Francesco Palermo

Negli anni ’70 Indro Montanelli invitava gli italiani a turarsi il naso e a votare DC. Col senno di poi, e visto quel che è venuto dopo, la corrotta DC di allora appare come un modello di buona amministrazione e senso delle istituzioni. Oggi agli italiani dell’Alto Adige conviene turarsi il naso e farsi piacere l’accordo tra la SVP e il governo nazionale sulla questione dei monumenti di epoca fascista. Perché fra trent’anni potremmo rimpiangerlo. Puzza, come puzzava la DC di allora, ma è il meno peggio tra quanto disponibile sulla piazza.

La delusione di chi vede questioni delicatissime come i simboli in un territorio ipersensibile come questo svendute per una banale sfiducia ad un banale ministro e risolte con banale e cinico semplicismo anziché col dialogo è comprensibile e condivisibile. Ma se proviamo ad alzare lo sguardo dalle miserie della politica politicante forse ci rendiamo conto che è (anche) un colpo di fortuna. Che conviene sfruttare fino in fondo.

Sono molti i motivi che dovrebbero indurre gli italiani dell’Alto Adige a non stracciarsi le vesti per questo accordo. Il primo è di natura pratica. Qualcuno ha tolto agli altoatesini le castagne dal fuoco facendo il lavoro sporco che nessuno, localmente, avrebbe avuto il coraggio di fare: la destra per la sua eredità ideologica, la sinistra per non essere accusata di calare le braghe davanti alla Volkspartei. Tanto che sono decenni che si discute di percorso condiviso, si compiono passi timidi (e talvolta goffi, vedi il referendum su Piazza Vittoria), si cerca il dialogo, ma non si arriva a nulla. Il problema non è della SVP, ma dei rappresentanti italiani. La SVP ha sempre coerentemente perseguito una strada, sbagliata ma chiara: eliminare e, dove questo è impossibile, storicizzare. Da parte italiana cosa è emerso? Tante parole, nessun progetto condiviso e l’irritante cul de sac ideologico in cui ci si è fatti spingere, per cui identità italiana, monumenti fascisti, ideologia fascista finivano tutti nello stesso indifferenziato calderone. Al punto che l’identità italiana diventava sinonimo di nostalgia fascista. Un’equazione sbagliata, sgradevole e perdente. Ora, sia pure in modo brutale, qualcuno ha strappato il cerotto. Fa male, ma molto meno che strapparlo lentamente, soffrendo ad ogni millimetro di superficie che si stacca.

Il secondo motivo è di natura procedurale e di metodo. Ciò che fa arrabbiare dell’accordo, più del suo contenuto, è il fatto di essere stato raggiunto sopra la testa degli italiani dell’Alto Adige, indipendentemente dal colore politico, con uno dei tanti blitz romani della SVP. Giusto rammaricarsi che non si sia seguito un percorso più cooperativo – anche se questo avrebbe significato finire alle calende greche. Ma non si può dimenticare che la competenza in materia di (quei) monumenti è dello Stato. Con chi altri avrebbe dovuto trattare la SVP (meglio se l’avesse fatto la Provincia, ma da tempo si sa che partito e istituzione sono purtroppo la stessa cosa) se non con il Governo? Certo, presentare un accordo condiviso localmente sarebbe stato preferibile, ma alla fine la trattativa non poteva che essere bilaterale, ed escludere chi non aveva alcuna competenza. Ciò che è politicamente meschino non sempre è giuridicamente scorretto. Il problema su cui riflettere, semmai, è quello della rappresentanza. E anche qui c’è molto da pensare per gli italiani: la sindrome da maggioranza trasformata in minoranza ha sempre fatto guardare con troppe aspettative al rapporto privilegiato con i livelli di governo in cui gli italiani sono maggioranza: in primis il governo romano, e fino a qualche tempo fa anche la Regione (ora finalmente perfino i trentini sembrano aver capito che devono arrangiarsi da soli). Ma il governo romano si è sempre comportato come Bondi. Magari con più dignità, ma la sostanza è sempre stata quella. Anche quando governava la sinistra. Anche prima quando c’erano i democristiani. Non possiamo sopravvalutare il peso di poco più di centomila italofoni dell’Alto Adige rispetto alle dinamiche nazionali, non possiamo pensare di essere l’ombelico del mondo. E soprattutto non possiamo illuderci che a Roma la rappresentanza sia vista in un’ottica sofisticata di pluralismo: se Roma tratta, tratta con la Provincia e/o con la Volkspartei. Cioè con le maggioranze. Esattamente come fa la SVP. Esattamente come fanno i trentini, che se ne strafregano degli italiani dell’Alto Adige. Perché non sono loro che comandano. Punto. Come ha scritto ottimamente Paolo Campostrini su questo giornale, “ora sappiamo di essere soli (…) E’ finito il tempo delle urla, anche perché nessuno ci ascolta”.

Ed ecco il terzo motivo. Se questo accordo ci aiuterà a capire e interiorizzare questa grande verità, forse saremo capaci di trarne le conseguenze pratiche. Smettendo di fare dei (presunti) rapporti privilegiati con Roma un elemento della campagna elettorale, come ha fatto il PDL ma anche, quando toccava a loro, il PD. Questo darebbe spessore alla rappresentanza e alla capacità politica degli italiani dell’Alto Adige. Sapere che se affoghi nessuno ti salva aiuta ad imparare a nuotare. E questa comunità ne ha disperatamente bisogno.

Il quarto motivo è nuovamente di carattere procedurale – e come si sa, la procedura è sostanza. Il contenuto dell’accordo, pur nella sua genericità, sembra voler trasferire le decisioni in tema di monumenti alla Provincia. Resta da vedere come il flaccido linguaggio della lettera del Ministro si tradurrà in solide norme giuridiche, ma se questo è il senso, allora si apre finalmente uno spiraglio per gli italiani di qui. Perché avrebbero finalmente, come parte sia pur minoritaria di questa Provincia, una competenza o almeno una voce in capitolo che prima non avevano perché la materia si riduceva al dialogo tra Provincia (SVP) e Stato. Insomma, da dialogo paritario tra Provincia e Stato si passa al dialogo (non più paritario) tra le componenti etnico-linguistiche della Provincia. Dove c’è pur sempre il comune maggiore e più direttamente interessato che è a maggioranza italiana, ma dove si spera che si possa iniziare a ragionare al di fuori di ottiche strettamente numeriche. Altrimenti si finisce – nella migliore delle ipotesi – come con Piazza della Vittoria. Nella peggiore come in Bosnia. Insomma, adesso che lo Stato si spoglierà della materia, finalmente gli italiani dell’Alto Adige potranno essere coinvolti. E’ adesso il banco di prova del dialogo, non prima.

Infine, questo accordo pone davanti a un bivio. Si può ricadere nel nazionalismo da entrambe le parti, con una spirale che non conviene a nessuno (nemmeno alla SVP oggi apparentemente trionfante). Oppure si può inaugurare la stagione della complessità, alla quale anche i politici devono abituarsi, smettendola con gli slogan e le banalità per accontentare le pance dei cittadini (di entrambi i gruppi linguistici) e aiutando anzi la società a vivere gioiosamente la sua complessità. Che è sinonimo di pace e prosperità, mentre i messaggi semplici portano sempre alla rovina. Insomma, siamo di fronte a un regalo inatteso, anche se certo non richiesto. I partiti italiani ne approfittino. Forse chi ha più da preoccuparsi in tutta questa storia sono coloro che sono rappresentati dalla SVP per il cinismo dei loro esponenti. Un cinismo per ora vincente, ma che ne fa un partito italianissimo. Come la DC degli anni ’70.

Alto Adige, 30 gennaio 2011



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