Magazine Cultura

Mourid al-Barghouthi: “La poesia non è uno svolazzare di farfalle ma passione, sudore, terra”

Creato il 09 settembre 2014 da Chiarac @claire_com_
da sin.: Elena Chiti, Mourid al-Barghouthi, Ramona Ciucani

da sin.: Elena Chiti, Mourid al-Barghouthi, Ramona Ciucani

di Silvia Moresi

Venerdì scorso lo scrittore palestinese Mourid al Barghouthi, ospite del Festivaletteratura di Mantova, ha aperto gli eventi in programma del focus sulla letteratura palestinese. In mattinata, è stato “giudice” divertito, ma decisamente severo, dell’avvincente (per arabisti e non) translation slam su una sua poesia inedita, sulla quale si sono cimentate e sfidate le traduttrici Elena Chiti e Ramona Ciucani. Nel pomeriggio, invece, dialogando con il professor Wasim Dahmash in occasione dell’ evento La poesia della terra, ha dato vita a quello che definirei un meraviglioso incontro poetico sulla poesia.

Conosciuto in Italia solo per il suo romanzo autobiografico Ho visto Ramallah (Illisso 2005), Mourid al-Barghouthi è, in realtà, quasi esclusivamente un poeta, famoso in tutto il mondo arabo per la sua poetica essenziale e snella che trasmette delicatezza arrivando naturalmente al lettore, come affermato da Dahmash.

Il poeta palestinese, come un fiume in piena e quasi in un monologo, ha iniziato una vera e propria lezione sull’arte poetica, seppellendo tutti i clichè e i falsi miti imperanti riguardo i concetti di poesia e di poeta.

Da subito ha chiarito che la poesia non è “lo strumento del romanticismo, non è uno svolazzare di farfalle” ed è la cosa più distante da quello che definiremmo una “atmosfera poetica”. Quei poeti che si ammantano di aurea divina, sono falsi poeti, ha aggiunto, perché la poesia non è ispirazione celeste ma passione e sudore, e non può crescere che dal basso, dalla terra dove si nasce, si lavora e si muore; la poesia è esilio e ghurba.

Il vero poeta, secondo lo scrittore palestinese, è colui che prende in mano una scopa per spazzar via tutto ciò che è stato già detto, e creare una poesia in grado di descrivere la realtà con parole nuove e non banali. Forse è per questo, ha affermato ancora, che i politici non amano i poeti, perché si sforzano di parlare di ciò che vedono senza usare quegli stereotipi tanto cari al linguaggio politico.

La banalità, dunque, non può produrre poesia e se un poeta scrive della propria amata “sei la donna più bella” significa, secondo lo scrittore palestinese, che è un poeta pigro o un poeta in ferie che oltre ad aver detto qualcosa di già ascoltato, ha notato solo ciò che era più evidente. La poesia, al contrario, deve ricercare il dettaglio, il dettaglio di un paesaggio, o il dettaglio nascosto nell’umanità di una persona; i dettagli che sfuggono a quegli sguardi vittime della fretta e della superficialità.

In questa personale e affascinate definizione di al-Barghouthi, la poesia diventa anche metafora dell’amore che è l’estrema attenzione verso una persona. Dire alla propria donna (o al proprio uomo) “non ci ho fatto caso” o “non me ne sono accorto” è, forse, già la fine di quel sentimento.

Dopo aver recitato in arabo una delle sue poesie, tradotta al momento dal preoccupatissimo interprete, il poeta ha risposto ad alcune domande su Gaza e sull’utilità delle immagini dei corpi straziati dalle bombe israeliane. Pur trattando un tema vile come quello della guerra, il linguaggio di al-Barghouthi non si è “sporcato”, e ha descritto la sacralità del corpo, un mantello che porta in giro il nostro spirito che non si ha il diritto di abusare e martorizzare. Le immagini di questi corpi, però, ha continuato, sono l’unica arma in mano ai deboli per condannare una realtà che altri vorrebbero nascondere. Ha affermato, inoltre, che la tragedia di Gaza è ancora troppo viva e bruciante per permettergli di comporre dei versi che descrivano quella sofferenza; la rabbia prenderebbe il sopravvento, e la poesia diventerebbe, forse, solo un banale sfogo.

L’incontro con Mourid al-Barghouthi è stato come assistere ad una continua ed elegante declamazione poetica, che ha reso ancor più incomprensibile la mancanza, in Italia, di traduzioni delle sue poesie.

Spero che l’appuntamento di Mantova sia anche servito ai traduttori, ma soprattutto agli editori italiani, sempre timorosi quando si tratta di poesia, per prendere coraggio e dare la possibilità anche ai lettori che non conoscono l’arabo di godere dei versi di questo grande poeta.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :