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Muffa: il Dolore di un Padre

Creato il 03 aprile 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Matteo Vergani 3 aprile 2013 Muffa: il Dolore di un Padre

L’assenza. La persistenza del ricordo. L’ostinazione in una speranza inestinguibile che muove ogni azione e che dà senso alla vita stessa. Questi sono i pensieri e le priorità di un uomo, un padre, il cui unico scopo è quello di ritrovare il proprio figlio scomparso diciotto anni prima. Un vecchio che passa la propria vita a percorrere chilometri e chilometri di linee ferroviarie, che piova o che faccia bello, per controllare che i treni possano circolare regolarmente. Un lavoro monotono e ripetitivo compiuto nella più estrema solitudine, che lascia però tempo per riflettere e rimuginare sul passato. Un passato, quello della Turchia, dove il governo si preoccupa di arrestare e di far sparire nel nulla tutti coloro che non la pensano in maniera “corretta” e che costituiscono una possibile minaccia per il paese. Così come le madri e le mogli dei desaparecidos cileni, anche le donne turche scendono in piazza, ogni sabato mattina, per piangere i loro cari svaniti nel nulla, e per questo la storia le ha etichettate come “Le madri del sabato”. Ma cosa succede quando la disperazione, la speranza e il dolore vengono da un padre? Come può un uomo continuare ad inviare per anni e anni, instancabilmente ed ostinatamente lettere al governo per chiedere notizie del proprio figlio, venendo lui stesso arrestato e torturato? Cosa spinge un genitore, un padre, un marito a proseguire ostinatamente verso il proprio fine? L’amore? L’odio? La speranza? Queste ed altre domande costituiscono il fulcro profondo di Muffa (Küf), pellicola del regista esordiente Ali Aydin che ha vinto il premio “Luigi De Laurentiis” come migliore opera prima alla 69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Muffa: il Dolore di un Padre

Un film struggente e fortemente introspettivo, in cui sono i silenzi, gli sguardi e l’immobilità a fare da protagonisti, ad indicare materialmente l’assenza e la mancanza. Basri, il vecchio padre, è un uomo solitario e di poche parole, che compie un lavoro monotono e che piange segretamente la scomparsa del figlio Seyfi avvenuta diciotto anni prima durante una protesta studentesca contro il governo turco. L’uomo pare non rassegnarsi e continua a inviare lettere per chiedere notizie del suo ragazzo, mosso da una incrollabile ostinazione tipica solo di un genitore. L’incontro con l’ambiguo commissario di polizia Cemil rischia più volte di far crollare il suo castello di speranze, ma l’uomo non si arrende, forte interiormente seppur debole in apparenza. Le frequenti crisi epilettiche di cui soffre dimostrano la sua precaria condizione terrena, detronizzando la figura del superuomo e dell’eroe idealizzato. La controparte di Basri è invece l’amico ubriacone Murat, uomo viscido e senza morale che ricatta il vecchio padre per poi finire ucciso proprio per un mancato intervento di quest’ultimo. Il senso di colpa per la morte del giovane si aggiunge al dolore per la scomparsa del figlio, e Basri si trova in una situazione a circolo chiuso e senza soluzione di continuità. Dolore si somma a dolore, la disperazione è un’ardua prova da sostenere. La muffa del titolo, simbolo per eccellenza della corrosione e del passare del tempo, finisce per ricoprire i cuori e le menti dei personaggi di una spessa coltre di marciume e di ossidazione, dimostrando come il tempo stesso finisca per essere pericolosamente debilitante verso la speranza e la certezza. La stessa muffa poi dilata insostenibilmente il tempo reale del film, ponendo l’attenzione proprio sui lunghi piani sequenza e le inquadrature vuote con cui Aydin decide di raccontare gli eventi, coniugando tra loro il concetto di inquadratura e di scena.

Muffa: il Dolore di un Padre

Il regista abolisce infatti qualunque movimento di macchina, preferendo visioni statiche da teatro filmato o da videoarte, dimostrando le sue influenze e contaminazioni stilistico-narrative provenienti dal trascorso sperimentale. Ercan Kesal, apprezzatissimo attore turco già protagonista di C’era una volta in Anatolia (2011), incarna una struggente figura di padre che fa della determinazione la sua arma contro lo strapotere e l’oppressione, ponendosi come unico scopo quello di avere notizie del figlio. A nulla servono le torture, gli scoraggiamenti e i ricatti; l’uomo prosegue diritto per la propria strada, incurante dell’assurdità della propria ostinazione, aggrappandosi disperatamente ad un unico barlume di speranza. Muhammet Uzuner impersona Murat, l’amico ubriacone di Basri, dando prova di una camaleontica capacità attoriale che lo porta a creare un personaggio viscido, detestabile, archetipo del male del mondo e delle sue debolezze. Tansu Biçer invece crea la figura di un ispettore di polizia dalle mille sorprese, impenetrabile ed indecifrabile nelle sue intenzioni e incapace di provare empatia, seppur disposto indirettamente ad aiutare il vecchio padre. Lodevole la fotografia cruda e realistica di Murat Tuncel, la quale concretizza su pellicola il dolore e la desolazione del cuore del protagonista. La mastodontica sceneggiatura di Aydin, che ha richiesto una gestazione durata più di sette anni, purtroppo non può però mascherare tutti gli inevitabili difetti di un’opera prima, come l’estrema saturazione di tematiche e la capacità registica ancora evidentemente acerba. Inoltre Aydin ci dimostra come la cinematografia turca sia purtroppo ancora in una fase embrionale, seppur molto promettente. Muffa è un film su coloro che restano e che convivono con la mancanza di chi purtroppo non c’è più. Profondamente esistenzialista ed emotivamente toccante, Muffa segna un’ulteriore tappa verso una più ampia documentazione circa gli orrori che i sistemi oppressivi e totalitari hanno fatto e fanno tutt’ora per limitare la libertà dell’uomo.

Muffa: il Dolore di un Padre

 


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