Magazine Diario personale

Ninuccia e le scarpe degli Angeli( terzo capitolo).

Da Gattolona1964

Ninuccia e Rosina.

Quando avrebbe avuto la forza di lasciarlo? Quando avrebbe ripreso in mano la sua vita lontano da lui? E lontano da una madre psicotica, che le diceva sempre che era una buona a nulla, che non ce l’avrebbe di certo fatta da sola a crescere le sue figlie. Ninuccia sapeva non solo cucire e assemblare scarpe, ma Dio le aveva regalato anche il dono della scrittura. Ogni notte, da quando era bambina e quando le gemelle dormivano, Ninuccia scriveva i suoi appunti sui cartamodelli delle scarpe. Scriveva sulle strisce di cuoio che avanzavano, sui pannolini di cotone leggero delle bambine, che lavava e inamidava per farli sembrare fogli di quaderno. Ninuccia Ercolani scriveva ovunque ci fosse una superficie che potesse ospitare le sue parole. Erano gli unici momenti della giornata nei quali era serena e si sentiva una persona. I suoi scritti, terminavano sempre con la frase di rito”Affinché nessun bambino al mondo debba subire violenze, punizioni e ricatti.”Questa era la dedica finale dei suoi libri, questo era ciò che lei avrebbe desiderato insegnare, traendo spunto dalle sue personali esperienze di vita. Spiegava passo dopo passo, con lentezza e precisione maniacale, senza mai stancarsi come comportarsi con i figli, di conseguenza come i figli avrebbero dovuto comportarsi nei confronti dei genitori. Insegnava ai genitori a non essere violenti, a non forzare mai i figli nel loro cammino di crescita. Studiò ed attinse importanti notizie in merito a queste tecniche dolci, da alcuni libri che don Gaudenzio le aveva permesso di prendere in prestito, prelevandoli dalla biblioteca della canonica. Ogni bambino è diverso da un suo simile, occorre educarlo ed accudirlo con amore e dedizione totali. Tra i bimbi, o meglio tra alcuni genitori sciocchi e presuntuosi, non devono esistere gare per esaltare quel figlio che arriva per primo a togliere il pannolone, a pronunciare le prime paroline o a camminare. Scriveva come solo una mamma innamorata dei propri figli saprebbe fare, accompagnando le parole con la struggente malinconia di chi aveva subito violenze inaudite: per questo motivo riusciva a catturare l’attenzione di numerosi lettori. Anche a costo di essere ripetitiva non si stancava di scrivere concetti che potevano apparire, agli occhi di chi la leggeva scontati o banali. Il suo vastissimo pubblico di lettori/genitori conoscendo lo stile inconfondibile di Ninuccia, comperavano ogni saggio o manuale che Ninuccia pubblicasse, dimostrandole grande rispetto ed ammirazione per ciò che riusciva a trasmettere loro. Questo per lei era il migliore di tutti i regali che poteva ricevere: la testimonianza tangibile che ciò che faceva era utile a qualcuno. Non vi erano soldi o beni materiali che potessero ripagarla allo stesso modo. Le sue tesi partivano da un presupposto ben preciso: i genitori e gli adulti che si occupano della crescita di un bambino, non devono mai e poi mai criticare e sgridare il piccolo, in modo diretto per un comportamento o azione sbagliata che egli compie. Devono correggere l’azione, il gesto, ma non redarguirlo in modo diretto, facendolo così sentire in colpa e peggio ancora, non devono mai umiliarlo! Ninuccia sosteneva anche che non è necessario ammonire il piccolo in presenza di altre persone. Le critiche e le osservazioni mosse al bambino devono essere fatte esclusivamente in modo costruttivo per farlo arrivare ad un miglioramento, non devono essere distruttive cioè non devono essere dirette a lui personalmente. Altro che fallimento come madre! Questo era il parere che le aveva inculcato Angelica e quello che era riuscita a far credere a suo padre Biagio, eterno sottomesso di Angelica. Ninuccia era tutt’altro che un disastro come madre, non aveva avuto ancora la possibilità di dimostrarlo. Ma lo avrebbe fatto presto, almeno attraverso i libri. Cercava di insegnare l’amore per i bambini, il rispetto e la dedizione completa rivolti ad ogni piccolo essere umano che noi decidiamo di far venire al mondo. Ora rimaneva il passo più importante da compiere: come fare per contattare a Roma o al Nord, in particolar modo a Bologna un editore serio ed affidabile, che le pubblicasse i libri?
Credeva fortemente che quella sarebbe stata la sua strada ed il suo futuro e che con i primi guadagni avrebbe potuto permettersi una vita assai diversa. Voleva andarsene da Castrolibero per sempre, non ne poteva più di quel posto dove ogni angolo del paese le ricordava l’orrore e la morte.“Per andarmene ho bisogno di soldi, molti soldi devo pubblicare i miei libri, solo così sarò indipendente ed avrò la forza economica per farmi rispettare e per crescere con dignità le mie figlie” Solo così potrò rinascere agli occhi della gente e guardarmi allo specchio senza paura. In quell’istante preciso si ricordò di Mafaldo Tirotta, quello che martellava tutto il santo giorno sulle suole, quello che sapeva usare bene la tinagliozza. Era una vita che amava Ninuccia, fin da quando erano bambini. Per lei, Mafaldo si sarebbe buttato nel fuoco, si sarebbe fatto tagliare le gambe pur di piacerle anche solo un briciolo. Sapeva perfettamente che lui una volta al mese andava a Roma per portare i resoconti delle vendite e chiedere i finanziamenti a certe persone, per poter fare andare avanti la fabbrica. Non bastava fermarsi a Cosenza in Regione, bisognava andare più su, da quelli che contavano veramente: gli amici fidati di Mastro Raffaele. In cambio di favori personali ed importanti, dei quali le tonache nere non potevano fare a meno per continuare ad esistere, erano disposti ad elargire danaro affinché la Fabbrica delle Scarpe potesse dare lavoro a  Castrolibero senza dover chiudere i battenti. “Mi servirò di lui e gli darò i miei plichi da portare all‘Editore Sangalli, in cambio mi basterà andare a ballare per il Patrono del paese, facendomi vedere ben abbracciata a lui. Così non lo prenderanno più per i fondelli, smetteranno di chiamarlo “Mafaldo lo storpio” per via di quella gamba più corta. Farò proprio così. Di lui mi fido ciecamente, gli affiderò i miei tesori.”Rosina ovunque andasse non l’avrebbe mai abbandonata, si chiedeva però che cosa aspettava a divorziare.“Che cosa dirà la gente?” le chiedeva con disprezzo e schifo sua madre Angelica”Che figura ci farai, tu donna, divorziata e con due figlie da crescere? Disonorata saresti!  Chi comprerà i tuoi orripilanti libri, se sarai sola con le tue bambine, tu che scribacchi fingendo di essere una buona madre? Con tutte quelle raccomandazioni ai genitori, agli insegnanti, ai preti, agli adulti ma chi ti credi di essere, Ninuccia indisponente? Tu che non dovevi nascere, tu che sei il mio errore per eccellenza, ti metti a predicare come fa don Gaudenzio in Chiesa la domenica e spieghi agli altri come fare il genitore, cioè il bravo genitore? Vergognati! Mi fai ribrezzo!” Queste parole ed altre ancora più crudeli, erano le carezze che sua madre Angelica le faceva con la voce, quando voleva farla desistere dal divorziare, anche se causa quell’ictus, le pronunciava male ed in modo sbiascicato. Questi erano i lavaggi del cervello ai quali era ancora sottoposta ogni giorno Ninuccia. Stava per rimettere ancora, le sembrava che il soffitto ed il lampadario le cadessero addosso, voleva tagliarsi le vene, strapparsi i capelli cortissimi, ma la voce piangente per il dolore che aveva la povera Rosina in quel momento, la fecero desistere da questi insani propositi.(continua…..)



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