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Non hai mai capito niente – Non c’era altro da fare

Da Marcofre

Altro estratto, come ogni lunedì, dalla mia raccolta di racconti “Non hai mai capito niente.

Buona lettura.


Il vecchio si chiamava Bartolomeo Scanavino e negli ultimi tempi aveva delle valide ragioni per essere di cattivo umore.

Verso le quattro del pomeriggio avevano bussato alla porta di casa; non c’era campanello. Era andato ad aprire e si era trovato sull’uscio la nipote e il suo ragazzo, entrambi sui quindici anni. Da quel giorno erano trascorse tre settimane, maggio volgeva al termine e giugno incombeva; quei due erano ancora in casa sua. Non sembravano intenzionati ad andarsene. Nemmeno a combinare qualcosa, una qualunque: studiare non studiavano, lavorare non lavoravano, aiutare non aiutavano.

Pensava che a ottantacinque anni ci si potesse riposare; mettere sotto chiave pensieri e preoccupazioni. E invece, si trovava a girare per casa come se fosse stato lui l’intruso. Gli sembrava tanto inverosimile che, per non diventare matto, dopo pranzo usciva per qualche minuto. Scendeva i gradini irregolari appoggiandosi alla parete, un passo alla volta. Il corrimano c’era solo sulla prima rampa.

Al rientro avrebbe trovato i piatti, i bicchieri e le posate nel lavandino, da lavare.

Sedeva su una panchina, e passava in rassegna gli avvenimenti degli ultimi tempi, ma in modo sommario per non farsi il sangue cattivo.

La panchina era appoggiata al muro di una casa di pietra, davanti un’altra casa di pietra; accanto scorreva la provinciale del Sassello.

Allungava le gambe su un passaggio di cemento che digradava verso un gruppo di altri edifici e a un paio di rimesse col tetto in lamiera e pareti di mattoni a vista. Venti anni prima erano stie per i polli; adesso con una sistemata all’impiantito, offrivano riparo ai Suv. Ma di rado, perché figli o nipoti non avevano voglia per abitare quelle case senza riscaldamento, o condizionatore.

Sotto, c’era il greto del torrente; d’estate era nascosto da canne, alberi e vegetazione. D’inverno, con le piogge, soffiava come un animale pronto a balzare sulle case. In quella contrada c’era nato. Da bambino era terrorizzato dal mugghiare dell’acqua; immaginava che prima o poi lui e i suoi genitori si sarebbero svegliati in mezzo al mare. Temeva che sarebbero affogati non appena avessero messo i piedi fuori dal letto.

Da tre anni era rimasto da solo a combattere contro quel mondo alla rovescia: la moglie era morta per una brutta polmonite. Di lei restavano le foto in bianco e nero dentro alcune cornici d’argento sul comò nella camera da letto. Poi quelle del matrimonio, dei momenti sereni, in un paio di album dagli angoli consunti; i vestiti chiusi nell’armadio con la naftalina in un tovagliolo di carta. E il vuoto nel letto, a tavola, alla finestra del salotto quando verso la mezza, si affacciava e lo chiamava perché era l’ora di mangiare. Lui alzava la mano, girava lo sguardo al terreno, posava gli attrezzi e rientrava.


Non hai mai capito niente. 12+1 racconti di Marco Freccero

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Prima la storia, poi il lettore.


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