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Non potrei!

Creato il 17 marzo 2011 da Nonzittitelarte

gianluca floris tenoreNON POTREI ESSERE DIRETTORE ARTISTICO CON DI BENEDETTO

Da più parti vedo e leggo che sarei uno dei candidati alla direzione artistica del Lirico di Cagliari. Desidero smentire questa possibilità. I motivi per i quali non potrei mai accettare di lavorare per la Fondazione del sovrintendente Di Benedetto sono fondamentalmente due.

Il primo motivo è di carattere squisitamente personale: da quando è stato nominato, il dottor Di Benedetto ha preso spunto dalla mia ipotesi di stagione di rilancio del tatro lirico di Cagliari (pubblicata da novembre scorso) e, senza comunicarmi nulla, ha “motu proprio” contattato due dei registi che avevano accettato di collaborare con me (Alfonso Antoniozzi e Davide Livermore) proponendo di scritturarli con altre loro produzioni già pronte. Certamente il Dottor Di Benedetto ha la facoltà di fare quello che ha fatto, ma sicuramente la ritengo una mossa non corretta nei miei confronti, oltreché imbarazzante nei confronti dei due artisti in oggetto.
Io non posso avere certo la presunzione di pensare che tutti debbano avere lo stesso mio concetto di “correttezza”, ma senza dubbio io non potrei mai collaborare con chi ha una concezione della correttezza diversa dalla mia.

Il secondo motivo per il quale non potrei mai collaborare con il dottor Di Benedetto è che non condivido assolutamente la sua idea di intervento per risollevare il teatro dai mesi difficili che ha passato. Il Dottor Di Benedetto ha infatti deciso di inaugurare la stagione del teatro lirico di Cagliari prendendo una Traviata del teatro Comunale di Bologna. Un bellissimo allestimento per la regia di Alfonso Antoniozzi il quale (da sensibile artista quale è) ha intercesso presso il sovrintendente di Bologna Ernani per ottenere il noleggio da Bologna a “costo zero”.
Oltre al fatto che questo “costo zero” costerà al Lirico di Cagliari comunque qualche decina di migliaia di euro (spedizioni, aggiustature scenografiche e di costumi, calzature, parrucche, ecc. ecc.), c’è da considerare il fatto che acquisire noleggi di produzioni da altri teatri non permetterà al Lirico di Cagliari di dotarsi (come prevedeva il mio piano) di sue proprie produzioni da utilizzare anche negli anni futuri riducendo di anno in anno le spese di produzione aumentanto parallelamente il numero delle recite.

Il Lirico di Cagliari ha laboratorio di produzione di scenografie, di attrezzeria, di costumi e avrebbe potuto rilanciarsi proprio utilizzando questa sua enorme possibilità, dimostrata ampiamente negli anni scorsi. Il mio piano permetteva con spese minime (50mila euro per Turandot ad esempio) di allestire nel primo anno quattro nuove produzioni originali di proprietà del Lirico di Cagliari: Turandot, Rigoletto, Traviata e Butterfly che avrebbero potuto entrare a far parte del primo repertorio autentico del teatro della mia città e avrebbero potuto rappresentare un valido inizio di offerta sul mercato delle stesse.

Il Dottor Di Benedetto invece preferisce la vecchia e logora logica di acquistare all’esterno produzioni già fatte, di non creare un vero patrimonio produttivo per il Teatro, di non far lavorare le maestranze professionali presenti sul territorio e di non permettere, quindi, che il Lirico di Cagliari proclami con forza il suo essere fabbrica di cultura a pieno titolo. Da quello che si evince dalle prime mosse del dottor Di Benedetto, il teatro di Cagliari non si differenzierà poi tanto da un teatro stagionale di tradizione come tanti ce n’è in Italia. Da Savona a Salerno, da Chieti a Sassari, da Cosenza a Rovigo. Cagliari quindi non sarà più un teatro che produce ma solamente un teatro che “mette in scena”.

Questo fatto, unitamente al suo comportamento nei miei confronti, mi rende veramente poco interessante e nei fatti impossibile anche solo il dover pensare di accettare una qualsiasi carica di tipo artistico dal dottor Di Benedetto.

I teatri lirici italiani sono in difficoltà e per sopravvivere hanno bisogno di nuove idee manageriali e produttive. Non certo delle solite vecchie logiche.

E forse ci sarebbe anche bisogno di una nuova etica della correttezza. Ma la correttezza è come il coraggio di Don Abbondio.

Gianluca Floris

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