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Non solo Ilva: il tribolato rapporto tra ambiente, popolazione e industrializzazione

Creato il 09 agosto 2012 da Oblioilblog @oblioilblog

Non solo Ilva: il tribolato rapporto tra ambiente, popolazione e industrializzazione

Il caso Ilva ha riportato agli onori della cronaca una questione annosa nel nostro paese: l’industrializzazione selvaggia e sregolata. Un capitalismo senza freni che spesso non ha guardato in faccia né alla gente né al territorio, sacrificati all’altare della produttività e del risparmio.

L’Ilva è stata sequestrata e sarà giustamente costretta a bonificare i propri impianti a causa dei quali tutta Taranto è coperta da una patina rossastra, invasa dagli scarafaggi e dove i tumori negli ultimi anni sono aumentati del 600%. Il diritto al lavoro è sacro, ma quello alla vita di più e purtroppo solo gli interventi eclatanti della magistratura possono costringere gli imprenditori a rimettersi in regola.

Il caso Ilva è solo l’ultimo del decennale scontro tra industria e ambiente. La popolazione è una variabile a parte: a volte si schiera compatta a favore della fabbrica, a volte in difesa della propria salute e della propria terra.

Nel luglio del 2005 le proteste battendo sulle casseruole delle mamme di Cornigliano convinse l’industriale Emilio Riva ad abbattere l’altoforno dell’Italsider: ora si occupa solo di laminati a freddo. Sono stati invece i sindaci, con Massimo Cacciari in testa, a spingere e a finanziare, con 5 miliardi pubblici e privati, la riconversione dell’immensa area industriale di Porto Marghera.

È sotto accusa lo storico petrolchimico di Gela voluto da Enrico Matteri in cui lavorano dueila persone. Venti persone su settantacinque del reparto Clorosoda, chiuso nel 1994, sono morti per timore, altrettanti hanno il sistema immunitario distrutto dal mercurio. Nel 2006 ci sono state denunce da parte di 100 famiglie contro l’Eni e nel 2008 è stata aperta un’inchiesta. 

A Brindisi sono stati rinviati a giudizio a inizio settimana tredici dirigenti della centrale a carbone dell’Enel: secondo il GIP le polveri del nastro trasportatore hanno avvelenato 400 ettari di terreni agricoli.

Centrale a carbone chiacchierata anche a Civitavecchia: il sindaco PD Pietro Tidei la vuole chiudere perché i fanghi vengono essiccati senza essere depurati e la città è avvolta da una costante nebbia gialla, a causa delle polveri. L’Enel però fa orecchie da mercante.

Polveroni rossi hanno investito anche l’isola di Carloforte, in Sardegna, a causa dei fanghi prodotti dall’Alcoa di Portovesme. Sempre sulla costa nel Sulcis il GIP ha contestato all’Eurallumina il reato di disastro ambientale doloso con inquinamento delle acque di falda.

Fluoruri, boro e arsenico nelle acque e nell’aria hanno portato al rinvio a giudizio degli ultimi tre amministratori delegati della centrale Enel di Porto Tolle in provincia di Rovigo. Seimila operai della Carnia si sono invece opposti alla chiusura delle cartiere di Burgo di Tolmezzo a causa degli scarichi irregolari.

La gente si è invece comportata in modo opposto altrove. Nel processo contro l’Acciaieria Valsugana di Borgo per l’emissione di diossine e monossidi si sono costituite parte civile 554 persone i cui terreni erano stati distrutti e il valore delle case crollato.

A Bottegone-Badia-Agliana nel Pistoiese, i cittadini hanno sottoposto i candidati sindaci a un pre-referendum contro il progetto Repower, un turbogas. Tutti tranne uno si sono espressi come voleva la gente: niente centrale.

Industrializzazione e ambiente, un rapporto di rose e spine, con la gente a fare da giudice.

 

Fonte: Repubblica


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