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Noriko's Dinner Table

Creato il 15 settembre 2011 da Eraserhead
Noriko's Dinner TableEd eccoci al secondo tassello del mosaico ideato da Sion Sono denominato trilogia del suicidio, anche se il suddetto argomento non rappresenta, al pari delle altre due opere, il nocciolo fondamentale della questione ma piuttosto la conseguenza di processi umanamente deleteri.
Se in Suicide Club (2002) veniva raccontata fra le (molte) altre cose l’alienazione derivante dall’uso delle nuove tecnologie, in Noriko’s Dinner Table (2005) veniamo a conoscenza di un fatto pensabile ma ugualmente accattivante: che le famiglie giapponesi non sono per niente felici.
Questo secondo capitolo rappresenta l’azzardo più pronunciato da parte di Sono vista la durata complessiva (più di 2 ore e mezza) e la scelta registica di non affondare il coltello nell’estetica esplosiva che ad esempio caratterizzerà il successivo Strange Circus (2005), opera, quest’ultima, decisamente slegata alle altre due e che ritengo di gran lunga la migliore del lotto.
Tornando ai patemi di Noriko, diciamo che stupisce la compostezza che il regista dà alla pellicola per buona parte della sua lunghezza. Già la suddivisione aritmetica in 5 capitoli definisce nettamente la struttura narrativa, in più la narrazione vera e propria avviene costantemente attraverso la voce extradiegetica dei vari protagonisti che saranno anche diversi e diversificati ma che alla fine della fiera danno vita ad un’interrotta cascata di parole che per 160 minuti confluisce nelle vostre orecchie con l’aggravante del fatto che non esistendo una versione doppiata dovrete sfoggiare tutte le vostre diottrie nella lettura dei sottotitoli. In sostanza la combo durata + racconto in prima persona non agevola la disponibilità dei contenuti.
E i contenuti ad ogni modo ci sono, come d’altronde anche nelle altre due parti del trittico. Tuttavia la questione del family rental (famiglia in affitto), geniale allegoria della modernità, è troppo diluita all’interno delle divagazioni ad personam fornite da Sono. Se l’opera si fosse concentrata maggiormente sul tema principale – d’altronde nelle fittizie reunion tutto funziona alla grande – ne avrebbe giovato complessivamente visto che le varie digressioni tendono a distrarre lo spettatore.
Manca quell’appeal estetico capace di far stropicciare gli occhi, e tenuto conto del messaggio di fondo non ci sono visioni in grado di tradurlo e potenziarlo ma solo “cose” da vedere.

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