Magazine Cultura

Note sui conflitti

Creato il 05 gennaio 2016 da Antonio

Note sui conflitti

René Magritte, Condizione umana, 1933

Queste note prendono spunto da un articolo di Michele Prospero pubblicato da Il Manifesto il 15 dicembre scorso. Sono note per niente sistematiche e ancor meno esaustive ma avevo bisogno di scriverle per chiarire a me stesso alcuni punti dell'articolo.
Dell'articolo di Prospero condivido l'impianto generale della critica mossa ad una sinistra sempre più "leggera" dei suoi valori fondanti e su questo punto rimando alla lettura del denso articolo. Qui mi soffermerò su un passaggio molto delicato quando Prospero dice che "la sinistra ha dirottato le proprie antenne verso i nuovi diritti a costo zero, verso sensibilità estetico-ambientali-etiche che garantivano una presa in aree secolarizzate, colte, metropolitane dell’elettorato." Affermazione ineccepibile e vera ma che a mio avviso contiene molte insidie che vanno chiarite. L'insidia più rilevante è ventilare un conflitto tra diritti, tra vecchi e nuovi diritti, e in particolare tra i diritti sociali della vecchia sinistra e i diritti civili della "nuova sinistra".
E' pericoloso stabilire una opposizione tra diritti, ed è un pericolo chiaro a Prospero quando afferma che i conflitti sociali sono stati stemperati verso diverse forme di conflitto: "L’agenda politica è stata così modulata sulle esigenze valoriali di un ceto medio riflessivo disposto a forme di mobilitazione civica e un velo è stato steso sui bisogni di fasce di società condannate alla marginalità e lontane dalle attuali forme di partecipazione politica." Tuttavia lo stesso Prospero non sembra sfuggire alla trappola di stabilire un conflitto tra diritti, preludio scivoloso verso un ordine dei diritti. Ordine pragmatico? Certamente sì. Ordine ontologico? Sarebbe un esercizio fallace! Un esercizio che violerebbe l'indivisibilità dei diritti.
Nel momento storico in cui emerge la domanda di riconoscimento di un diritto questo entra nel panorama etico della società e priorità pragmatiche non implicano un ordine di importanza tra diritti. Se è palese che bisogna essere sazi per apprezzare la creatività artistica questo non significa che l'arte ha minore importanza del pane per fare di un uomo l'essere senziente e pensante che ritiene di essere.
Prospero ha però perfettamente ragione quando scrive del dirottamente del conflitto sociale verso "esigenze valoriali di un ceto medio riflessivo disposto a forme di mobilitazione civica". Allora diventa utile capire cosa sia questo "ceto medio riflessivo". E' la cosiddetta classe media. Una chimera, un animale mitologico difficilmente definibile. La perdita di confini tra classi ha messo in crisi il pensiero critico di sinistra che ha abbandonato la critica del capitale. Di questo abbandono non è priva di responsabilità (se non altro passive) la stessa classe media. Processi di inclusione parcellizzata tra diversi strati sociali che si mescolano e confondono hanno portato a quell'esclusione "accolta con l'impotenza dell'attore individuale" di cui parla Prospero. Se prima i proletari non avevano da perdere che le proprie catene, oggi milioni di parvenu hanno tutti qualcosa da perdere. Milioni di penultimi che si rifanno sugli ultimi. Ecco allora che diventa chiaro l'uso strumentale dei "diritti a costo zero" per dirottare l'attenzione dagli emarginati, per creare cuscinetti di inclusione parcellizzata al fine di depotenziare il conflitto sociale tra classi alte e classi basse. Una strategia che ha funzionato da molto tempo persino con l'ausilio degli stessi diritti sociali, come ricorda Howard Zinn in Storia del popolo americano. A questo serve la classe media, questo è la classe media, un cuscinetto per disinnescare i conflitti e il ceto medio riflessivo, che della classe media dovrebbe essere la parte riflessiva appunto, è sempre più privo di riflessione oppure è un minoritario flatus vocis senza massa critica e sostrato su cui agire.
La classe media è un proteo che raccoglie una parte numericamente rilevante del mondo cosiddetto sviluppato, muta continuamente forma e ha cominciato a esistere quando ciascuno poteva "scegliere" la propria auto purché fosse del modello T e di colore nero. La classe media prende la forma degli stimoli che la politica gli fornisce e se la politica è ancella dell'economia allora non c'è speranza per la società che non sia quella del massimo profitto per gli individui. Se invece la società riprenderà in mano il timone del proprio sviluppo attraverso una politica all'altezza delle sfide che possono essere affrontate solo collettivamente, perché globali e a lungo termine, allora non tutto è perduto.
Dopo anni di corsa al successo, di competizione come valore guida, dopo la recrudescenza del neoliberismo selvaggio che Thatcher e Reagan hanno inoculato fin dagli anni ottanta bisognerà ripartire dall'alfabetizzazione emotiva e etica prima di quella politica. Bisognerà ricostruire un linguaggio dimenticato, dare l'opportunità alla cooperazione, innescare meccanismi di socializzazione, iniettare nuclei di condensazione che stimolino la partecipazione per progetti sociali che solo successivamente diventeranno attività politica in senso stretto. Bisognerà risvegliare energie che sono presenti e che si stanno atrofizzando. Il tessuto sociale risponde a dinamiche di contagio. Se somministri un virus si ammala, se somministri un vaccino sviluppa gli anticorpi.
Lo sviluppo sociale si compone di molte dimensioni, per questo motivo il conflitto per i diritti sociali deve procedere di pari passo con quello dei diritti civili. Ben venga chi mette in guardia dall'uso strumentale dei diritti ma attenzione a tracciare surrettizie opposizioni tra istanze etiche che non fanno altro che alimentare conflitti in cui le lotte sociali e civili si smorzano a vicenda. Una conclusione non auspicabile che sembra fomentata da un paio di articoli di Diego Fusaro (questo e questo), il quale, a differenza di Prospero, non merita alcuna attenzione che non sia dettata dallo spirito polemico che è in grado di solleticare con maggiore competenza di quanta ne abbia per sollevare lo spirito critico.
La storia ha mostrato che non è possibile sussumere le dinamiche sociali nel conflitto sociale interclasse ignorando il conflitto intraclasse. Se i diritti sociali del conflitto capitale-lavoro rappresentano il portato di una dialettica tra classi, i diritti civili della parità razziale, di genere e orientamento sessuale rappresentano il portato di una dialettica interna alla classe che la critica di sinistra ha spesso sottovalutato. Tenere separate le due istanze significa fare una graduatoria dei diritti, significa violarne l'indivisibilità. Se i diritti sociali stanno alla base dell'emancipazione che prelude alla conquista dei diritti civili allora la storia, maestra di prassi, non dovrebbe essere avara di esempi ma non è così. Nel tempo delle grandi conquiste sociali le conquiste civili, sebbene non assenti, non sono andate di pari passo, per tacere delle tematiche ambientali che erano praticamente assenti sia per il loro valore in sé sia per tutti i possibili legami con gli stessi diritti dei lavoratori, primo tra tutti quello alla salute. Il movimento femminista denuncia una cultura patriarcale che non accennava a essere scalfita dalle conquiste emergenti dal conflitto tra lavoro e capitale. Il movimento per la parità razziale rivendicava diritti che non erano riconducibili al solo mondo del lavoro, lo stesso dicasi dei movimenti per il riconoscimento dei diritti omosessuali. La prassi che pone il prius dei diritti sociali non si smentisce se i diritti si muovono insieme e non può essere altrimenti perché per i diritti vale la locuzione latina simul stabunt, simul cadent. A tal proposito torna in mente un bell'episodio della recente storia inglese raccontato in un bel film di un anno fa in cui diritti sociali e civili si incontrano in una battaglia comune perché comune è l'esigenza di lottare "non solo per quello che sei, ma per quello che fai", come scrisse Dario Accolla.
E' purtroppo evidente che la richiesta, storicamente cogente, di riconoscimento dei diritti civili subisce un uso strumentale da parte di una sedicente sinistra per sviare l'attenzione dai diritti sociali ormai smobilitati ma l'avvertimento di tale uso strumentale non deve fomentare un conflitto tra diritti che è deleterio alla stessa emancipazione sociale. Serve alleanza tra soggetti che chiedono riconoscimento, non conflitto. Serve che le richieste pur soddisfatte di diritti civili (almeno in paesi dove il Vaticano non è così amorevolmente vicino come in Italia!) non si ritengano totalmente soddisfatte se vengono trascurate le istanze sociali. E' solo così che il ceto medio cesserebbe di essere un cuscinetto anti conflitto al servizio delle classi dominanti per riprendersi la coscienza e la dignità della propria emancipazione. Gioire per un diritto ignorandone un altro è gioire a metà, che è come essere tristi a metà. Se c'è un'accusa che muovo alla classe media, di cui stando alle statistiche faccio parte, è proprio questa: aver consentito che i diritti venissero divisi, averne fatto una inconsapevole graduatoria e per questo restare facile preda dell'uso strumentale dei diritti.
Alla base dell'emancipazione sociale c'è la soluzione del conflitto tra lavoro e capitale, tuttavia tale conflitto non esaurisce tutte le istanze di riconoscimento, non quelle provenienti da una struttura sociale e morale che non si esprime in termini di dialettica tra lavoro e capitale. Non tutta la dialettica tra servo e padrone è sussumibile in quella tra lavoro e capitale, poiché il plusvalore in gioco nelle relazioni sociali non è sempre quantificabile nell'equivalente generale della merce e del denaro. C'è un "plusvalore" morale che la dialettica tra capitale e lavoro ignora. Ancora una volta, serve alleanza tra conflitti, non conflitti tra conflitti.
Bisogna entrare nel dedalo della classe media che si infiltra negli spazi sociali più diversi e neutralizza dialettica e conflitti, omogeneizzando gli spazi. Bisogna comporre i conflitti disseminati in una classe metastatizzata per neutralizzare il corpo sociale. Oggi la classe media è operaia, contadina, professionista, laureata, precaria, diplomata, pensionata, ecc. La classe media ha reso difficile leggere la composizione sociale, impossibile leggerne il conflitto di classe che pure continua a esistere. Oggi dovremmo parlare di conflitti di classe, al plurale. Compito del pensiero di emancipazione (se non vogliamo usare il termine sinistra) è connettere i conflitti, non dividerli. Il vero elemento di distrazione dai conflitti di classe è il conflitto tra conflitti.
Classe popolare è diventato un vezzeggiativo con cui la classe media adora farsi coccolare soprattutto da destra (anche quella mascherata da sinistra) che ha capito che la classe media è diventata classe popolare. In realtà nessuno sembra sapere di cosa stia parlando e la sinistra, per evitare figure imbarazzanti, tace! In questo silenzio emergono politici a mezzo servizio, rivoluzionari digitali e strateghi da anonima bocciofili. Forse con la crisi ambientale e le crisi economiche che diventeranno sempre più frequenti si potrà ricomporre la classe lavoratrice nebulizzata (alienata!) nella divisione dei compiti, perché la cosiddetta classe media retrocede di livello man mano che la ricchezza si concentra sempre più in alto, man mano che le promesse della democrazia diventano sempre più lontani miraggi. Chissà se basterà un progetto comune, un obiettivo da perseguire perché la classe media possa essere distratta dai fantastici sconti che a fine stagione i supermercati offriranno a quanti faranno una spesa minima. La rapida dissoluzione dei recenti movimenti con percentuali sempre più elevate di indignati (addirittura il 99%!) ha lasciato movimenti significativi ma con percentuali più modeste. La palingenesi è lontana ma da qualche parte bisogna iniziare.

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Magazines