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Nuove tecniche di allenamento e lotta al doping

Creato il 06 agosto 2010 da Italianjet
Soglia anaerobicaMarco Bonarrigo - Aldo Sassi - dal libro"Dalla parte del ciclismo Etica dello sport
Il concetto di «soglia» ha poco più di quarant'anni. Nel 1959 al Third Pan-American Congress of Sport Physicians,tenutosi a Chicago, il fisiologo tedesco Wildor Hollmann, commentando l'andamento di alcuni parametri fisiologiciin uno sforzo condotto a carichi crescenti al cicloergometro, introdusse l'idea che al di sopra di certe intensità diesercizio la richiesta energetica potesse essere coperta dal metabolismo anaerobico, in aggiunta a quello aerobico.Come sappiamo, il metabolismo aerobico è quella via metabolica attraverso la quale il nostro organismo brucia glialimenti assunti combinandoli con l'ossigeno respirato, producendo in questo modo energia utile alla contrazionemuscolare. A riposo, consumiamo poco ossigeno, perché ci serve poca energia e, dunque, bruciamo pochi alimenti.Man mano che l'intensità della nostra attività fisica cresce, aumenta la quantità di energia necessaria per sostenerlae con essa la velocità con la quale gli alimenti (che sono la nostra benzina) vengono bruciati con l'ossigeno inspirato(ciò, di conseguenza, fa sì che aumenti anche la quantità d'aria respirata ogni minuto). L'intensità massima dellosforzo che possiamo compiere avvalendoci prevalente mente dell'energia fornita da questo sistema - che, essendobasato sull'utilizzazione dell'ossigeno presente nell'aria, viene appunto detto aerobico - è grossomodo pari a quellache siamo in grado di sviluppare per non più di 5 minuti circa: in sforzi massimali di questa durata, il consumo diossigeno può raggiungere il 100 per cento rispetto alle capacità del soggetto, cioè il cosiddetto massimo consumo diossigeno (solitamente indicato dalla sigla VO2max): intorno a 3 litri al minuto in un sedentario, circa il doppio in uncampione del ciclismo. Correndo o pedalando, passando da uno sforzo blando a uno via via più intenso, crescerà inmaniera quasi proporzionale la necessità di energia, dunque quella di ossigeno e, con essa, la frequenza cardiaca,espressione del crescente lavoro compiuto dal cuore per pompare sempre più sangue arricchito di ossigeno daipolmoni ai nostri muscoli. Succede però che l'aumento di queste variabili non sia lineare (cioè non sia costante) finoal raggiungimento del massimo consumo di ossigeno: superati i 2/3 circa di questa intensità massima, in uno sforzoa carichi crescenti si osserva una più repentina accelerazione della ventilazione e anche del l'accumulo di acidolattico nel sangue.Quando dobbiamo produrre moltissima energia in pochissimi secondi - come in uno sprint dell'atletica leggera o delciclismo, oppure in conseguenza di un rapido passaggio da un'attività blanda a una più intensa - il nostro organismonon è in grado di far fronte al repentino aumento della richiesta di energia solamente accelerando i processi dicombustione degli alimenti con l'ossigeno inspirato (accelerazione che richiede tempi dell'ordine delle decine disecondi, e che può comunque non essere sufficiente a coprire completamente le accresciute richieste energetiche).Così questo surplus di energia viene in buona parte prodotto degradando gli zuccheri senza bruciarli con l'ossigeno,attraverso una via metabolica che viene pertanto detta «anaerobica», senza ossigeno, e che porta alla formazione delcosiddetto acido lattico (quello che fa percepire bruciore ai muscoli dopo una rampa di scale fatta di corsa, perintenderci).La formazione dell'acido lattico, dunque, è espressione dell'attivazione del metabolismo anaerobico: proprio questoaveva fatto notare Hollmann in quel congresso del 1959, introducendo l'idea che al di sopra di determinate intensitàdi esercizio la copertura delle necessità energetiche fosse garantita non solo dal metabolismo aerobico (alimentibruciati con l'ossigeno), ma anche da quello anaerobico (zuccheri degradati senza consumo di ossigeno, conformazione di acido lattico). Ed è questo, in sostanza, ciò che il concetto di soglia anaerobica significa ancora oggi,dopo oltre quarant'anni: l'intensità metabolica alla quale il metabolismo energetico da totalmente aerobico divieneparzialmente anaerobico.Il termine vero e proprio di «soglia anaerobica» venne introdotto nel 1964 da Wasserman e McIlory, per definire - intest condotti a carichi progressivamente crescenti - l'intensità alla quale una «impennata» della ventilazione e dialtri parametri riflette il passaggio tra le due condizioni citate: quella completamente aerobica e quella parzialmenteanaerobica. Essendo basata sull'analisi dell'andamento di parametri ventilatori, la soglia determinata con lemetodiche successivamente codificate da Wasserman viene appunto detta «ventilatoria». Le ricerche che seguironotendevano a mettere in relazione l'intensità dello sforzo alla quale si verifica l'impennata della ventilazione con laconcomitante accelerazione dell'accumulo dell'acido lattico nel sangue. Ma erano sperimentazioni condotte sempresu test incrementali, ossia protocolli nei quali la potenza viene aumentata di poche decine di watt ogni 30-60secondi (aumentando l'inerzia della bici stazionaria su cui pedala l'atleta), fino a raggiungere valori tanto elevati dadeterminare l'esaurimento del soggetto, cioè la sua incapacità di proseguire l'esercizio (cosa che, in simili situazioni,avviene dopo 10-15 minuti di lavoro a intensità crescente). In sostanza, dunque, si andava ad analizzare - come si fatuttora con protocolli di questo genere - ciò che avviene in condizioni definite «transienti» da un punto di vistafisiologico, nelle quali, cioè, sono in atto degli adattamenti (aumento della frequenza cardiaca, della ventilazioneeccetera) che nelle poche decine di secondi di intervallo tra ciascun carico e il successivo non consentonoall'organismo di «mettersi in equilibrio» (e quindi di assestarsi) rispetto al livello della richiesta energetica che ilcarico raggiunto comporta. Il corpo, in pratica, non fa in tempo ad adeguarsi completamente alla nuova situazione,che già gli viene imposto di sostenerne una più impegnativa.Tenuto conto di questo fatto, restava da osservare cosa succede invece in condizioni «di equilibrio», quelle cioè chesi possono ottenere dopo che si sta lavorando per alcuni minuti (non meno di una decina) a una stessa intensità.Uno dei primi gruppi di ricerca a effettuare questo tipo di verifica fu, nel 1981, quello dì Liegi, composto da Scheen,Juchems e Cession-Fossion, che esaminarono l'andamento dell'acido lattico e di altri parametri durante prove acarico costante, ciascuna della durata di 20 minuti. Osservarono che a intensità di lavoro pari al 40-50 per centocirca del VO2max la concentrazione ematica dell'acido lattico si elevava nei primi minuti di esercizio, per poi iniziarea calare molto lentamente nel prosieguo dello stesso, pur continuando a rimanere al di sopra dei livelli basali ancheal ventesimo minuto (la maggior elevazione transitoria iniziale è dovuta all'inerzia di regolazione del metabolismoaerobico, che, come già detto, richiede diverse decine di secondi prima di raggiungere una con dizione di equilibrio;ciò comporta, nella fase iniziale dello sforzo, un'attivazione di un certo rilievo del metabolismo anaerobico,evidenziata dal conseguente accumulo di acido lattico nel sangue, che poi viene in parte progressivamente rimosso).Per carichi di intensità superiore al 60 per cento circa del VO2max notarono invece che l'aumento dellaconcentrazione di acido lattico nel sangue era costante, fino al momento della cessazione della prova. Per carichiintermedi - tra il 50 e il 60 per cento circa del VO2max - il lattato ematico aumentava nei primi 10 minuti dellosforzo, per poi attestarsi su un valore costante fino al termine dell'esercizio (ventesimo minuto), I tre studiosidefinirono questa condizione «steady-state Iactate threshold», cioè «soglia del lattato costante» e, cosa non di pococonto, evidenziarono che durante carichi costanti (a differenza di quelli incrementali) questa soglia anaerobica«lattacida» non coincide come intensità lavorativa con quella «ventilatoria» rilevabile secondo le deduzioni diWasserman.Nel contempo, con pubblicazioni del 1981 e del 1982, il gruppo tedesco di Stegmann e Kindermann precisò ilconcetto di soglia anaerobica, identificandola con il cosiddetto «massimo lattato in steady-state» (abbreviato inMLSS), che rappresenta la massima intensità lavorativa individuale alla quale si verifica una condizione di lattatocostante, cioè la massima intensità alla quale esiste un equilibrio tra lattato (prodotto dai muscoli) che entra incircolo e lattato che viene rimosso dal sangue (quest'ultimo lo cede ad altri organi, come cuore e fegato, in grado diutilizzarlo).Riassumendo e cercando di semplificare, il concetto di soglia anaerobica è riconducibile al seguente fenomenofisiologico: a blande intensità di lavoro, i muscoli producono lentamente acido lattico che va nel sangue, ma che altempo stesso il sangue rimuove cedendolo ad altri organi e tessuti (muscoli non coinvolti intensamentenell'esercizio). Ciò avviene a una velocità tale da tenere il passo con la produzione, così da non far aumentaresensibilmente il livello assoluto della presenza di lattato nel sangue. Aumentando l'intensità dello sforzo, la velocitàdi produzione e di entrata dell'acido lattico nel circolo sanguigno aumenta, e con essa cresce parimenti la velocità dirimozione, che permette di mantenere una condizione di relativo equilibrio tra le due fa si. Ma aumentandoulteriormente l'intensità dello sforzo, raggiunto un certo limite, la capacità di rimozione raggiungerebbe il suo livellomassimo, cioè un tetto. Il più alto livello di sforzo fisico al quale la capacità di rimozione del lattato è comunque taleda contrastare la produzione di lattato stesso, corrisponde al MLSS, cioè alla vera e propria soglia anaerobica.Andando oltre, la velocità di produzione supera inesorabilmente quella di rimozione, determinando un progressivoaccumulo di acido lattico nel sangue. Quest'ultima condizione è quella a cui un atleta si riferisce quando dice: «sonofuori soglia» o «sono in acido», lasciando intendere che di lì a poco quel continuo crescere dell'acido lattico nelsangue - espressione dell'intensa produzione muscolare - gli «intossicherà» le gambe, disturbando la contrazionemuscolare stessa (per effetto degli ioni idrogeno che lo compongono) e, conseguentemente, obbligandolo adiminuire l'intensità dello sforzo.Questa, dunque, è la concezione più diffusa del concetto di soglia anaerobica intesa come massimo lattato in steadystate;ma è una concezione del fenomeno abbastanza grossolana e imprecisa. Un tempo si era portati a ritenere chein uno sforzo prolungato a carico costante la concentrazione di acido lattico nel sangue riflettesse quella presente neimuscoli, arrivando progressivamente a un equilibrio tra questi due comparti: si considerava infatti che il lattatopassasse dalla cellula muscolare al sangue quasi esclusivamente per semplice diffusione. Oggi, grazie al lavoro dinumerosi autori - tra i quali vale la pena citare Brooks e Gladden - sappiamo che mentre alcuni muscoli produconoacido lattico, ve ne sono altri che lo utilizzano; che gli equilibri del lattato tra cellula e sangue sono regolati dameccanismi assai complessi, risultanti dall'interazione di sistemi attivi di trasporto - le proteine di trasportomonossilate, dette MCT - con i meccanismi di diffusione; che il funzionamento di questi ultimi è condizionato dalladiversa concentrazione di ioni idrogeno (H+) che si viene a determinare tra l'interno e l'esterno della cellula; e che -fatto assai importante - in definitiva l'acido lattico non può più essere considerato un mero prodotto terminale, unoscarto, un semplice rifiuto risultante dalla degradazione anaerobica degli zuccheri, ma deve essere preso inconsiderazione nel suo più complesso ruolo di regolatore biochimico e di mediatore dei processi energetici nel lorocomplesso. Quanto appena detto può risultare nebuloso per chi non abbia un minimo di dimestichezza con questiargomenti, ma in sostanza il messaggio è questo: l'acido lattico non è da considerarsi solo come un veleno per inostri muscoli, come molti ciclisti sono portati a pensare.Per ritornare all'evoluzione del concetto di soglia anaerobica, si può dire che il MLSS è divenuto poi il «goldstandard» della soglia stessa, cioè il criterio di riferimento, sia da un punto di vista teorico (massimo equilibriopossibile tra produzione e rimozione del lattato), sia dal punto di vista della misura; tant'è che a oggi la più semplicemodalità diretta per determinare la soglia anaerobica si basa sull'esecuzione di un protocollo simile a quello delcitato lavoro di Scheen e collaboratori: far fare a un soggetto tante prove a carico costante, ciascuna della durata di20-30 minuti e in giornate differenti, per far sì che l'affaticamento di una prova non influisca sul risultato dellasuccessiva.È evidente come questo metodo richieda molte sessioni di test per arrivare, attraverso vari tentativi, a individuare ilMLSS: un protocollo di fatto improponibile per un ciclista che voglia eseguire delle valutazioni di routine. Per questomotivo i metodi indiretti - come il test di Conconi, o il metodo ventilatorio di Wasserman, o altri ancora - hannoavuto ben più ampia diffusione tra gli sportivi.Sul finire degli anni Settanta, alcuni autori tedeschi, tra i quali Heck e Mader, avevano notato che la sogliaanaerobica corrisponde mediamente a una concentrazione di 4 mmol/l (millimoli per litro) di lattato ematico.Questo valore ha assunto con il tempo un'importanza emblematica, al punto da essere utilizzato in termini pratici -spesso con eccessiva disinvoltura scientifica - per individuare la soglia anaerobica non solo nei test incrementali, maanche in quelli a carico costante e negli esercizi sportivi di qualsiasi genere (dalla gara in bicicletta alla partita dicalcio...), il che ha generato non poca confusione e sovente grossolani errori interpretativi.Vi sono tre punti da tenere sempre ben presenti a questo riguardo: il primo è che il valore di 4 mmol/l individuamediamente la concentrazione di lattato alla soglia anaerobica, ma la variazione tra un soggetto e l'altro può essereanche di 1 mmol/l in più o in meno (approssimativamente un terzo degli atleti ha meno di 3,3 mmol/l o più 4,7mmol/l!). Il secondo è che la concentrazione di lattato (per esempio, le 2 o le 4 mmol/l) corrispondente a una certaintensità lavorativa, quando è rilevata in un test incrementale non corrisponde a quella che si riscontra poi - a pariintensità - in uno sforzo costante prolungato per decine di minuti. lì terzo è che la concentrazione di 4 mmol/l èespressione di sforzi fisici ed equilibri interni estremamente diversi quando sia riscontrata in una partita di tennis odi calcio piuttosto che al cicloergometro, e si deve stare dunque attenti a non cadere in interpretazioni errate del suosignificato, assimilandolo a quello che assume in esercizi a carico costante o incrementale.A questo punto possiamo o dobbiamo toccare il concetto che ti è più caro, quello della «non esistenza» della soglia.Io penso semplicemente che, soprattutto da un punto di vista pratico, la soglia non abbia il significato econseguentemente la rilevanza basilare che comunemente le vengono attribuiti. I lavori scientifici prodotti negliultimi quarant'anni tendono, nel complesso, a far sì che questo fenomeno venga inteso e percepito come un limiteben definito nell'intensità dell'esercizio, una barriera: se la si supera, la produzione di acido lattico sovrastainesorabilmente la capacità dell'organismo di smaltirlo e, conseguentemente, si viene a determinare una condizionedi costante accumulo che obbliga dopo alcuni minuti a diminuire drasticamente l'intensità dello sforzo. Se invece siresta sotto la soglia anaerobica, si può continuare l'attività a lungo e i limiti alla durata divengono solo quellirappresentati dal progressivo esaurimento delle riserve energetiche, dall' aumento della temperatura corporea odalla disidratazione, ma non dall'intensità dello sforzo in sé per sé.È un concetto chiaro, facilmente acquisibile e percepibile quando si fa attività fisica.Il punto è che, a mio avviso, questa barriera non esiste, o perlomeno non può essere considerata tale. Io ritengo chela soglia anaerobica, quella identificata dal MLSS, sia tutto sommato una convenzione, così come in un testincrementale la soglia può essere identificata a una certa potenza piuttosto che a un'altra (in funzione delladefinizione che le viene data e del protocollo di esecuzione della prova). Persino la condizione stessa di MLSS èfortemente dipendente dal protocollo del test. Del resto Beneke, uno dei ricercatori che maggiormente si sonodedicati negli ultimi anni allo studio del MLSS, ritiene che: 1) il MLSS non corrisponde esattamente a unacondizione di massimo equilibrio tra produzione e rimozione dell'acido lattico; 2) la concentrazione alla qualemediamente corrisponde il MLSS non è sempre attorno alle fatidiche 4 mmol/l, risultando più elevata nei gestisportivi che coinvolgono poche masse muscolari e più bassa in quelli che invece implicano il coinvolgimento di unmaggior numero di muscoli.Puoi spiegare più precisamente le ragioni oggettive per le quali metti in dubbio il concetto di soglia?Le mie perplessità sono sostanzialmente riconducibili a quattro considerazioni principali.Vediamo la prima.In generale si è sempre ritenuto che, al di sopra di determinate intensità lavorative, l'intervento del metabolismoenergetico anaerobico - e il conseguente accumulo di acido lattico - fosse sostanzialmente dovuto all'incapacità delsistema aerobico di far fronte da solo alle richieste energetiche. Come abbiamo visto, questa è tuttora ritenuta lacausa principale delle variazioni del processo di produzione e rimozione del lattato, che danno luogo al fenomenodella soglia anaerobica. Prescindendo dalla considerazione che il nostro organismo produce e smaltisce acido latticoanche a riposo (anche quando ce ne stiamo in poltrona), in realtà, come ribadisce Gladden, sembra invece che ilmuscolo sia adeguatamente ossigenato anche ai carichi sub-massimali (80-90 per cento del VO2max) ai quali siverifica un significativo incremento della produzione dell'acido lattico. Inoltre, a mio parere non può passareinosservato il fatto che - contrariamente a quanto molti ritengono - quando tali intensità sub-massimali vengonosostenute a carico costante per alcuni minuti, il consumo di ossigeno supera i valori che ci si aspetterebbe dallaproiezione della crescita sostanzialmente lineare rispetto all'intensità dello sforzo che invece si verifica fino ai 2/3del VO2max. In parole più semplici, a questi livelli sub-massimali, per un certo aumento della potenza sviluppatadall'organismo, il consumo di ossigeno aumenta in maniera più che proporzionale. Quest'ultimo fenomeno nonpotrebbe avvenire se la capacità di ossigenazione fosse già al massimo, come solitamente si è portati a ritenere.La seconda?Da un punto di vista teorico, alcuni lavori scientifici hanno ipotizzato che il MLSS venga causato innanzitutto dalraggiungimento della massima capacità di smaltimento del lattato ematico e, dunque, dall'incapacità di far fronte aun ulteriore aumento della sua produzione, accelerando la rimozione così da evitarne il progressivo accumulo neitessuti e nel sangue. Se effettivamente il MLSS corrispondesse alla massima capacità di smaltimento del lattato,elevando la concentrazione di quest'ultimo fino a 7-10 mmol/l mediante sforzi particolarmente intensi, l'immediatasuccessiva riduzione dello sforzoUn carico di lavoro costante (esemplificato dal rettangolo nella parte inferiore della figura), tale da far aumentarepiù di 1 mmol/l la concentrazione del lattato ematico tra il 10° e il 30° minuto (linea inferiore nel grafico, segnalata acerchietti), viene considerato al di sopra del MISS: a questo livello di sforzo, teoricamente, la capacità dismaltimento del lattato dovrebbe già aver raggiunto il suo massimo. La sperimentazione condotta nel laboratorioMapei Sport mostra che, in realtà, se nei primi 5 minuti di esercizio il carico viene aumentato ulteriormente (inquesto caso di 50 watt), così da far salire maggiormente il lattato ematico (come indicato dalla linea superiore,identificata da triangolini), una volta tornati al carico originale (quello che precedentemente dava luogo a unaumento costante del lattato), il lattato inizia ugualmente a scendere: ciò è possibile solo grazie a una capacità dirimozione del lattato stesso aumentata rispetto a quanto avveniva in precedenza. Questo risultato evidenzia che ilMISS non corrisponde alla massima capacità di rimozione del lattato dal sangue.all'intensità corrispondente al MLSS non dovrebbe consentire una riduzione del livello di lattato precedentementeraggiunto nel sangue, essendo la capacità di rimozione già massima in coincidenza del MLSS e appena sufficiente acontrobilanciare quello prodotto istante per istante in tali condizioni. Una nostra sperimentazione, presentata nel2003 al convegno del l'European College of Sport Science, dimostra che in realtà le cose non stanno proprio così,scardinando uno degli elementi basilari della teoria della soglia anaerobica. Se nel sangue (e nei tessuti) è presenteuna concentrazione di lattato sensibilmente superiore a quella tipica del MLSS del soggetto, il limite della capacitàdi rimozione che solitamente caratterizza il MLSS stesso viene «forzato» al punto da causare una riduzionesignificativa e relativamente rapida del lattato ematico, anche se l'organismo è impegnato al carico di soglia oleggermente al di sopra.La terza?Alle incongruenze teoriche sommariamente descritte nei punti precedenti fanno riscontro alcune considerazionipratiche. Una su tutte: se la soglia anaerobica rappresentasse una barriera netta tra fase di non accumulo del lattato(condizione teoricamente tale da consentire di protrarre a lungo l'esercizio) e fase di accumulo (che dovrebbeportare rapida mente all'esaurimento), analizzando la relazione tra i valori di intensità (potenza o velocità) e ladurata di competizioni che vanno tipicamente da una decina di minuti a molte decine di minuti, si dovrebbe notareun «salto» di continuità fra quelle sotto la soglia e quelle sopra di essa. L'analisi dei primati mondiali o delle miglioriprestazioni ottenute da podisti che abbiano corso in una singola stagione gare come i 10.000 metri, l'Ora in pista e lamaratona non evidenzia invece alcuna discontinuità nella relazione potenza-tempo tra gare corse al di sopra e garecorse al di sotto della soglia anaerobica. Fu proprio questa constatazione che mi spinse, alcuni anni fa, adapprofondire il reale significato pratico della soglia anaerobica, fino a metterne in discussione l'esistenza stessacome vera e propria «barriera». Queste osservazioni concordano peraltro con quanto pubblicato nel 1989 daPéronnet e Thibault, secondo i quali la curva che interpola le migliori prestazioni su varie distanze di un singoloatleta può essere chiaramente descritta da una funzione che consideri la sua capacità anaerobica, dal suo VO2max eda un fattore che dia conto della caduta di quest'ultimo in funzione del logaritmo della durata della prova: dunque,senza scomodare alcuna soglia anaerobica, e con una funzione lineare che in qualche modo nega la «discontinuità»rappresentata dalla soglia stessa.Veniamo al quarto punto.La difficoltà di individuare la soglia anaerobica con un punto, una precisa intensità lavorativa, era stata evidenziatada Mader, che aveva sottolineato come essa, al pari di ogni altro processo biologico, rappresenti un passaggiograduale e non un salto vero e proprio. Proprio a causa della conseguente difficoltà metodologica di individuazione,nel 1986 Heck e collaboratori definirono così i parametri per la sua identificazione pratica nei test: l'intensitàmassima alla quale l'andamento del lattato ematico si mantiene costante o aumenta meno di 1 mmol/l dal decimo altrentesimo minuto di esercizio a carico costante. Da qui si capisce quanto questa definizione sia sostanzialmente unaconvenzione, tant'è che qualche autore la identifica invece con la potenza alla quale il massimo aumento di lattato in20 minuti è di 0,5 mmol/l. Si badi che la differenza di potenza che in un soggetto si può riscontrare tra l'ultimocarico effettivamente caratterizzato dalla costanza del lattato ematico e quello in cui esso aumenta di 1 mmol/l in 20minuti è di un ordine di grandezza pari a quello che si può riscontrare tra la potenza massima sviluppata in una garadi 20 minuti o di un'ora! Questo ci fa capire quanto anche il MLSS individui, tutto sommato, un ambito di potenzaabbastanza ampio da un punto di vista delle ricadute nelle prestazioni: non certo una soglia da intendersi come«gradino» o come «barriera» vera e propria, secondo un' idea - tutto sommato sin qui avallata dalla letteraturascientifica - che medici sportivi, allenatori e atleti hanno poi fatto propria, ma che non riflette la realtà del fenomenofisiologico.È una «demolizione» rigorosa e complessa. Adesso prova a portarla sul piano delle decine di migliaia di amatori(ciclisti, podisti, sciatori di fondo...) che ogni giorno si allenano con il frequenzimetro al polso, facendo i conti con leloro soglie, e prova a trame qualche considerazione utile (e comprensibile) anche per loro.È chiaro che questa revisione del concetto di soglia anaerobica implica quantomeno la possibilità - se non proprio lanecessità - di sviluppare una nuova metodologia di approccio all'allenamento delle discipline aerobiche. È quello chestiamo cercando di fare a Castellanza. I primi riscontri sono incoraggianti, ma siamo comunque ancora abbastanzalontani dall'obiettivo, anche se le linee generali di questa metodologia si vanno delineando chiaramente e su alcuniciclisti di elevato livello abbiamo già cominciato ad applicarle. Questo non significa assolutamente che il ricorso alriferimento della frequenza cardiaca di soglia in uso attualmente sia da accantonare: ho già ampiamente sottolineatola sua importanza per il miglioramento della qualità dell'allenamento di endurance. Il concetto più importante perchi lavora e continuerà a lavorare su questa strada - come del resto in parte faremo anche noi - è quello di nonintendere la soglia come un muro: non pensare che l'acido lattico sia «veleno» e che «andare in acido» sia semprecontroproducente negli sport di endurance, come di fatto molti sono portati ancora a credere. Di conseguenza, ciòdeve portare a esplorare - soprattutto da parte degli atleti evoluti - quegli ambiti di intensità di allenamento chesono anche al di sopra della frequenza o della potenza o della velocità di soglia. In altre parole, è sufficiente che larevisione del concetto di soglia porti ad accantonare l'idea - che mi capita di sentire da sportivi di ogni livello - che«la soglia non deve essere superata, né in allenamento, né in gara, altrimenti... » Il problema di fondo è che pertenere sotto controllo l'intensità dell'esercizio al di sopra della soglia (ritenuta come l'intensità sostenibile almassimo per 45-60 minuti), il cardiofrequenzimetro da solo spesso non basta, perché il rapporto tra frequenzacardiaca e carico di lavoro diviene oltremodo instabile a questi ritmi: occorre dunque fare contemporaneamente (enon in alternativa, lo sottolineo) affidamento sul cronometro (nel caso della corsa a piedi) o sui sistemi dimisurazione della potenza (nel caso del ciclismo), oltre che su eventuali misure di lattato. Soprattutto, anche inquesto ambito è necessario sviluppare la propria capacità di fare riferimento alle sensazioni soggettive di fatica. Delresto, l'utilità e la validità di queste ultime nel controllo dell' allenamento sono ampiamente dimostrate dallaletteratura scientifica internazionale.La misurazione dei valori di sogliaL'importanza della soglia non è legata soltanto all' ampio dibattito scientifico e parascientifico che si è creato attornoal la sua definizione, ma anche, dal punto di vista pratico, al fatto che su questo valore e sulla sua misura vengonoimpostati i piani di allenamento di decine di migliaia di atleti, dilettanti e professionisti.La misurazione della soglia sembra ormai essere patrimonio di tutti: medici, allenatori, palestre... Quanto sonoaccurati questi test? Quali gli errori più comuni? A quali conseguenze possono portare gli errori, per esempioquando la soglia viene sovrastimata? Come può un praticante valutare se un test è stato eseguito bene?La risposta sta in buona sostanza in quanto già detto: ciò che si misura è un'intensità che più o meno si avvicina alMLSS. Per la valutazione delle modificazioni delle condizioni di forma non è comunque tanto importante quanto siaprecisa la determinazione della soglia anaerobica con il metodo prescelto: conta assai più quanto essa sia ripetibile,cioè quanto sia in grado di produrre lo stesso risultato in eguali condizioni di forma del soggetto. I fattori dai qualidipende la ripetibilità sono molteplici. È importante la perizia di chi fa eseguire il test: il ricercatore deve conoscerebene il protocollo applicato e avere adeguata esperienza nell'interpretazione dei risultati. Deve inoltre saper gestire ifattori dai quali dipende la ripetibilità stessa: quelli che riguardano le condizioni nelle quali il soggetto si sottoponeal test (orario, temperatura ambientale, riscaldamento dell'atleta, alimentazione prima della prova eccetera) e quellistrumentali. Il buon funzionamento degli ergometri (le bici stazionarie su cui si esegue il test) è fondamenta le, ed èfortemente dipendente dalla qualità dello strumento e dall'accuratezza con la quale viene verificata la suacalibratura. La ripetibilità dei dati rilevati da alcune apparecchiature, come il misuratore di consumo di ossigeno,dipende sensibilmente dalla manualità dell'operatore e dalle procedure di calibratura. A prescindere da ciò, essa ècomunque condizionata da importanti limiti tecnologici insiti nei sistemi di misura dei gas respiratori.Quanto possono contare gli errori nelle varie procedure sul risultato finale?In alcuni test, l'insieme degli errori di misura può essere persino tale da superare le variazioni indotte daicambiamenti delle condizioni di forma, specialmente quando si confrontano tra loro prove eseguite nella faseagonistica. Non è facile, soprattutto per l'utente finale, capire se un test è eseguito bene oppure no . In genere, ai finidella personalizzazione dell'allenamento, il parametro di riferimento che si estrapola da questi test è la frequenzacardiaca corrispondente alla potenza (o alla velocità) della soglia anaerobica: sulla base della nostra esperienza, inun soggetto allenato essa ricade tra il 90 e il 94 per cento della frequenza cardiaca massima (quella reale delsoggetto, non quella teorica, cioè il classico 220 - età). Se questo dato viene sovrastimato, è ovvio che l' allenamento,specie quello «alla soglia», può risultare troppo intenso. In ogni caso, gli ambiti di frequenza cardiaca di riferimentodei vari mezzi di lavoro vanno considerati con raziocinio nell' allenamento, anche tenendo conto del fatto che, aparità di potenza sviluppata, la frequenza cardiaca si modifica sia con il passare dei minuti all'interno della singolaseduta di allenamento, sia da un giorno all'altro, subendo sbalzi significativi (anche di una ventina di battiti!) inconseguenza del lavoro svolto nelle giornate precedenti, della qualità del recupero e di eventuali malattie.I test più sofisticati fanno riferimento all'acido lattico e, più recentemente, alla potenza.Quando il riferimento diviene la concentrazione di acido lattico o la potenza sviluppata, gli errori di valutazionepossono risultare, a mio avviso, ancora più insidiosi. Può esserci una discrepanza tra i diversi sistemi di misurazionedella potenza (nel nostro laboratorio, per ovviare a questo inconveniente, ci siamo dotati di un calibratore dinamico,con il quale controlliamo periodicamente la taratura sia dei nostri ergometri, sia dei sistemi di misura della potenzautilizzati dai nostri atleti). Oppure, gli errori possono derivare dal fatto che la potenza rilevata durante un testincrementale in corrispondenza della soglia non può essere poi trasferita come riferimento per uno sforzoprolungato. Una situazione analoga si verifica per il lattato: se per esempio si individua il carico di lavoro (velocità opotenza) corrispondente alle 4 mmol/l mediante un test incrementale, quanto più gli step (cioè gli incrementi dicarico che l'atleta deve affrontare in successione) sono brevi e comportano un elevato aumento del carico, tanto piùil lattato aumenterà rapidamente oltre le 4 mmol/l durante un allenamento a carico costante svolto a quella stessapotenza, e l'esaurimento potrà anche arrivare in pochi minuti.Ma in quale misura una rilevazione errata della soglia può rendere inutile un allenamento che si basi su queiparametri?Ai fini dell'efficacia dell'allenamento è difficile dire quanto sia importante la precisa identificazione della sogliaanaerobica: dopo la divulgazione verso la base di questo concetto si era fatta largo la convinzione che per migliorarlasi dovesse lavorare il più possibile intorno alla sua stessa intensità, ovvero né troppo sotto né troppo sopra.L'insieme degli studi al riguardo - molto interessante tra questi la metanalisi pubblicata nel 1987 da Londeree -dimostra che in generale, per migliorare la soglia anaerobica, serve sì allenarsi intorno a essa, ma anche che soggettinon particolarmente allenati traggono altrettanto giovamento anche da intensità leggermente inferiori. Mentrequelle superiori sembrano essere indispensabili, o comunque utili, per indurre adattamenti negli atleti evoluti. Inogni caso, da questo punto di vista i principali adattamenti si realizzano nelle prime 8-12 settimane di lavorospecifico.Nell'allenamento dei maratoneti ha un'importanza fondamentale il concetto di soglia aerobica, sia a livello teorico,sia per predire la prestazione. Nel ciclismo non se ne parla mai. Perché?Bisogna innanzitutto chiarire che, analogamente a quanto avviene per il concetto di soglia anaerobica, anche quellodi soglia aerobica può sottintendere ambiti di intensità leggermente diversi tra loro, a seconda della definizione chesi attribuisce al termine. In un protocollo incrementale, dal punto di vista della ventilazione la soglia aerobica vieneidentificata con l'intensità alla quale si verifica un primo incremento del l'equivalente ventilatorio dell'ossigeno (cioèdel rapporto tra quantità d'aria ventilata e ossigeno che da essa viene estratto per essere consumato dall'organismo).Dal punto di vista dell'andamento dell'acido lattico, invece, il termine soglia aerobica si usa più comunemente perindicare l'intensità alla quale la concentrazione del lattato ematico raggiunge le 2 mmol/l (contro le 4 che, comeabbiamo detto, esemplificano l'individuazione della soglia anaerobica). Nella corsa a piedi l'importanza di questasoglia lattacida di 2 mmol/l - che, ancor più dell' altra, può essere considerata una convenzione - deriva soprattuttodal fatto che essa, se ricavata attraverso un test incrementale effettuato con step abbastanza prolungati (per esempiocon incrementi di 1 km/h della velocità ogni 5 minuti) corrisponde con buona approssimazione all'andatura che l'atleta, se adeguatamente allenato, può mantenere nella maratona. Tant'è che rappresenta uno dei modi perimpostare o verificare la tabella del ritmo di gara, come usualmente facciamo anche nel nostro laboratorio. Da unpunto di vista fisiologicoAndamento del lattato ematico in un esercizio al cicloergometro nel quale i carichi vengono aumentati a distanza dialcuni minuti (solitamente da 3 a 8, in funzione del protocollo adottato). Possono essere identificati diversi valori disoglia, secondo le definizioni formulate dai diversi autori: l'OBLA (onset of blood Iactate accumulation) indical'intensità alla quale mediamente ha inizio l'accumulo del lattato ematico nei carichi costanti, e viene identificatacon il raggiungimento delle 4 mmol/l, valore comunemente preso come riferimento per la soglia anaerobica. Laconcentrazione di 2 mmol/l viene invece solitamente definita come «soglia aerobica». Esistono poi altre soglie,come la LT (Iactate threshold) che - secondo i diversi autori - può essere contraddistinta dall'intensità alla quale illattato ematico inizia ad aumentare rispetto ai valori basali, o quella in cui esso si eleva di 1 mmol/l al di sopra deivalori basali.sembra essere abbastanza vicina alla cosiddetta massima potenza aerobica lipidica, un concetto sulla cui importanzaEnrico Arcelli ha insistito molto negli ultimi anni.Di che cosa si tratta?La massima potenza aerobica lipidica - della quale a livello di letteratura scientifica internazionale si sta occupandosoprattutto Asker Jeukendrup - rappresenta l'intensità alla quale il consumo di grassi raggiunge la sua massimaportata e con esso l'attivazione delle vie metaboliche che lo rendono possibile. Da qui la potenziale utilità -perlomeno teorica - di svolgere allenamenti specifici a questa intensità di esercizio. Nel ciclismo non si parla moltodi soglia aerobica, ma di fatto gli atleti svolgono quantità relativamente elevate di lavoro intorno a questa intensità:essa grossomodo corrisponde più o meno al cosiddetto «ritmo medio», quando questo è identificato (come nellaclassificazione dei mezzi che personalmente suggerisco) una ventina di pulsazioni al di sotto di quelle chegrossomodo identificano la soglia anaerobica. Va detto, infine, che il senso attribuito al termine soglia anaerobica avolte è talmente ampio da contenere nel suo ambito persino quella che qui abbiamo definito soglia aerobica. Comeho già ricordato, nei primi lavori pubblicati su Atletica Leggera lo stesso Conconi sottolineava una certa coincidenzatra la velocità di deflessione della frequenza cardiaca nel suo test e la fase di elevazione del lattato al di sopra deilivelli basali, ben più prossima alle 2 che alle 4 mmol/l.La scienza dell'allenamento è una materia complessa e pluridisciplinare, che negli ultimi vent'anni ha avutoun'enorme evoluzione. Ma il ciclista resta un uomo che pedala. Come possiamo sintetizzare i nuovi «strumenti» dilavoro che la ricerca gli ha messo a disposizione?Nel corso degli ultimi vent' anni la bici per le gare su strada non ha subito stravolgimenti, ma si è comunque evoluta:una piccola rivoluzione si è verificata per quanto riguarda i materiali, soprattutto grazie alla sempre maggiorediffusione del carbonio. Per quanto riguarda invece gli aspetti più legati alla fisiologia e all'allenamento(tralasciando la farmacologia, ovviamente), lo strumento che ha influito maggiormente sul lavoro quotidiano delciclista è stato indubbiamente il frequenzimetro - comparso sulla scena alla fine degli anni Settanta - che haimplementato le sue potenzialità grazie all'estensione del suo utilizzo integrato con il computer. Un altro strumentosicuramente destinato a influire sulle future abitudini di lavoro del ciclista sarà il misuratore di potenza, comparsosul mercato negli anni Novanta, a mio parere ancora lontano dall' ottimizzazione delle sue possibilità di utilizzo inallenamento.Nonostante la loro crescente diffusione, non considero invece importanti gli elettrostimolatori, per l'uso improprioo del tutto ingiustificato che nel ciclismo spesso ne viene fatto. Mentre meriterebbero un certo approfondimento isistemi per l' allenamento o per il pernottamento in condizioni acute di ipossia, le classiche camere ipobaricheipossiche, la cui utilità è abbastanza fondata dal punto di vista scientifico, per quanto inferiore a quella suppostadalla maggior parte degli utilizzatori. E comunque fanno parte di un corollario a mio avviso giustifica bile solo peratleti professionisti.

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