Una mattina il gatto s’è contorto e s’è appiattito, fra la spalla ed il retro dei cassetti s’è infilato in quel luogo atemporale, nell’armadio prigioniero.
Fra suoi strusci e miagolii, quando poi l’ho liberato,
a sera perlustrando quella cella senza luce né giaciglio, senza crepe o infiltrazioni, senza insetti né salnitro, senza muschi né punti cardinali, quella cella s’è mostrata buia e sorda come uno sbadiglio e nemmeno vidi ragnatele sfitte o rimasugli di passati ecosistemi o civiltà; stupisce sempre non trovare vasellame o fecoliti.Quindi mi son contorto e anche poi appiattito, curioso nella sua stessa prigione mi sono accovacciato, attento non ho chiuso alle spalle
maldestro l’uscita e lo spiraglio di luce m’ha mostrato, frastagliate all’orizzonte, creste di magliette, ben piegate, e separate a destra le mutande, seguite da una zona di netti pedalini profumati.
Sospeso fra il nulla ed i calzini, nella zona
il terrore che attanaglia al concepire
un istante vuoto e privo d'universo,
perché, come Pincherle descrisse,
gli oggetti nel buio sono morti,
ad un passo dalla luce inanimati.
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