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Oh Boy, un caffè a Berlino: la recensione

Creato il 23 ottobre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

23 ottobre 2013 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •

Il giudizio di Elisabetta Bartucca

Summary:

Oh Boy, un caffè a Berlino: la recensione

“Hai presente quella sensazione che ti prende quando le persone intorno a te sembrano comportarsi in modo strano? E più ci pensi, più ti rendi conto che non sono le altre persone ad essere strane, ma tu stesso?”. È la domanda che si fa Niko Fisher, protagonista poco più che ventenne di questo curioso e autoironico diario in bianco e nero, “Oh Boy, un caffè a Berlino” (distribuito in sala dal 24 ottobre dalla Academy2) .

Così l’esordiente Jan Ole Gerster ha deciso di raccontare Berlino: con un ritratto sospeso a mezz’aria tra gli echi della Nouvelle Vague e le note di una partitura jazz, le stesse che accompagneranno per tutto il film Tom Schilling (Niko) nel suo perduto vagabondare per le strade della capitale teutonica.

Film Oh Boy, un caffè a Berlino

Immagine di Oh Boy, un caffè a Berlino

Un peregrinare fisico e metaforico, ventiquattro lunghe ore nel corso delle quali Niko dovrà fare i conti con le conseguenze della sua inerzia e prima ancora con la fine della sua relazione, con la sospensione della patente per guida in stato di ebbrezza, con la decisione del padre di non passargli più soldi per aver abbandonato gli studi universitari ma soprattutto con il desiderio – inesaudibile nel corso di questa stralunata e bizzarra giornata – di una tazza di caffè decente!

Ciò che colpisce di “Oh Boy, un caffè a Berlino”, trionfatore all’ultimo German Film Prize con ben  sei Premi Lola (miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura, miglior attore, miglior attore non protagonista e miglior colonna sonora) è l’approccio straniante e malinconico con cui Gerster porge al pubblico il suo personaggio, non senza concedersi però quel contrappunto comico che gli permetterà di stemperare le tonalità più drammatiche del film.

La leggerezza e l’ironia sono le chiavi che permetteranno a Gerster di prendersi gioco, in maniera  neanche troppo velata, di certo teatro avanguardista dell’underground berlinese, o di quel cinema tedesco  rimasto ancorato agli spettri del passato e schiavo di una forma di riscatto morale dalla quale ancora oggi sembra difficile liberarsi. La forza di “Oh Boy” sta tutta nella scrittura: forte, solida e compatta al punto da permettere a questa surreale tragicommedia di rivelarsi lentamente e dichiarare i suoi intenti scena dopo scena.

Come del resto capita allo stesso protagonista che si lascia definire dagli incontri con gli altri personaggi, dalle grottesche disavventure che gli capiteranno nel corso della giornata e dagli angoli di una Berlino che è metropoli e Storia allo stesso tempo, solitudine moderna e memoria, sferragliare di tram e ricettacolo di un passato doloroso.­ Niko diventa così emblema di uno stato d’animo, di una generazione, di una città, di un senso di smarrimento che oltre il bianco e il nero scopre le sue infinite sfumature ‘jazz’…

di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net

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