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Ospedale.

Creato il 18 aprile 2011 da Enricobo2
L'ospedale è un non luogo. Per definizione come un carcere, più ambiente di sofferenza che di redenzione. Anche la sua forma fisica, gli interminabili corridoi, le volte alte dai rimbombi inquieti, gli odori negativi che ci respiri, le attese inerminabili, contribuiscono a costruire una intelaiatura che respinge, anche se tecnicamente dovresti sentirti come dal meccanico dove vai per rendere qualcosa nuovamente in grado di funzionare in modo egregio. L'ospedale non è neppure un tempo, perchè qui l'orologio si ferma e non si riesce ad apprezzare fisicamente lo scorrere delle ore. Ti senti come sospeso in un limbo privo di riferimenti che prevede solo attese, sia che tu ti trovi al di qua o anche al di là della barriera del letto. Al carrozziere chiedi tra quanti giorni potrai andare a ritirare il mezzo, qui aspetti. Aspetti che la cura faccia il suo effetto qualunque esso debba essere. I reparti geriatrici poi, sono l'esasperazione di questo concetto. Limbo nebuloso dove i corpi spesso privi di specificità individuabili, stanno lì stimolati variamente, con tentativi di dosaggi da calibrare di volta in volta in attesa di reazioni spontanee di organi, che la natura aveva progettato per tempistiche diverse e che l'intelligenza dell'uomo riesce ad adattare a funzionalità più lunghe.
Anche da qui capisci come la nostra specie si è imposta sul pianeta. E' la volontà di forzare comunque la natura a nostro vantaggio, di sfruttare comunque il più a lungo possibile questa opportunità che abbiamo avuto e che in teoria tutti vorrebbero prolungare all'infinito. Però anche se non c'è scelta si sta male in ospedale. Nonostante tutto. Anche se sei circondato da persone che si prodigano per farti sentire meglio. Anche se in mezzo a difficoltà continue, ci mettono tanto del loro, perché la com-passione, il soffrire insieme, ti aiuta a stare meglio ed è comunque consolatorio e utile ad abbreviare il non-tempo di attesa. Tante persone che danno il meglio di sé nei giorni scuri e nelle lunghissime notti, continuando a lavarti, a nutrirti, a curarti, ad aiutarti a svolgere tutte quelle funzioni che credevi legate ad una intimità solo tua, a cercare di metterti in grado di tornare serenemente alla tua casa. Che lavoro difficile e duro.
Che ammirazione per questo esercito di soldati che riesce spesso anche a darti un sorriso o una risata leggera come aiuto non previsto, ma utilissimo per accelerare la tua liberazione anche se spesso è circondato, assalito da pazienti tignosi ed insofferenti che comunque una giustificazione ce l'hanno, ma anche da torme di parenti incarogniti, pretenziosi, arroganti, a cui il bisogno e lo stato di necessità fa perdere ogni remora di comprensione e di pazienza. Tutto e subito come sarebbe di teorico diritto, come si è ormai abituati a pretendere anche di fronte ad una realtà fatta di carenze oggettive, causate da un sistema in cui tutti hanno colpe e nessuno è davvero interessato alle soluzioni. Però alla fine, anche se per gli stessi addetti è una cosa assolutamente incredibile, nella maggior parte dei casi, si torna a casa. Senza ringraziare nessuno. E continuando a lamentarsi.
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