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Osservare non guardare

Da Marcofre

Nessuna arte è sommersa nell’io; al contrario, nell’arte l’io dimentica se stesso per rispondere alle esigenze della cosa vista e della cosa che si sta creando.

Chi scrive queste cose non può che essere Flannery O’Connor. Spesso ci si chiede perché tanta scrittura ombelicale infesta i nostri tempi, e qui in poche parole abbiamo la risposta. Non è proprio diretta, però dimostra come si dovrebbe fare per ottenere un certo risultato.

La cosa vista, la cosa che si sta creando ha delle esigenze, e chi ha a che fare con essa, per esempio chi scrive, deve farsi da parte. Il che non vuol dire che si debba essere umili, anzi.
Non credo che Zola o Simenon fossero persone umili, altrimenti avrebbero fatto i lettori, e basta.

Occorre fare almeno un passo indietro, e per un buon motivo: l’arte. L’umiltà se proprio ci deve essere, deve palesarsi quando si scribacchia. Perché in quel territorio è opportuno lasciare spazio a quello che stiamo facendo.

Qui abbiamo inoltre un altro termine strambo (per molte persone); ma chi frequenta zia Flannery sa bene di cosa parlo: l’arte. Occorre rammentare che solo di recente questo termine ha cominciato ad assumere un significato errato. Spesso lo liquidiamo credendo che sia un argomento che ha a che vedere con l’aria, le cose astratte. Per questo il pittore o lo scrittore devono dare prova il prima possibile di un loro impegno concreto e quotidiano. Non basta quello che scrivono o dipingono, quelle sono sciocchezze.

Nessuno ha il coraggio di affermarlo ad alta voce, però il pensiero indecente di tanti “amici della cultura” è proprio quello.

Arte in passato aveva a che fare con cose concrete. Gente del calibro di Leonardo non ha mai pensato di dover dimostrare qualcosa per rassicurare i loro simili che erano “artisti”. Era sufficiente dipingere, costruire macchine da guerra, mostrare insomma il frutto del proprio lavoro, e bastava. Certo, lui era un fuoriclasse, e da allora la sensibilità verso certi temi è cambiata.

Ma abbiamo commesso degli errori: come ripeto spesso, ciascuno è libero di fare quello che desidera.
Però.

Abbiamo cominciato a non credere più che l’arte sia qualcosa in grado di cambiare, di intervenire nel mondo e migliorarlo. Si è cercato al di fuori di essa le “vitamine” e gli steroidi in grado di darle la forza. Mentre in realtà la indebolivano. Ma non era un male quanto accadeva: questa realtà che viviamo giorno dopo giorno, non ha bisogno di qualcosa che pretenda di intervenire e migliorare il mondo. Abbiamo già tutto quello che serve a questo scopo: purché si abbia una carta di credito, certo.

No carta di credito? Sei fuori. Ciao!

Adesso torniamo al cuore del post. Vale a dire l’eliminazione dell’autore, a favore della storia. Dovrebbe essere abbastanza facile dopo che si è compreso che personaggi e intreccio hanno la precedenza. E ce l’hanno perché non si scrive per sé; nel senso che l’argomento del “perché si scrive” non interessa nessuno (non dovrebbe interessare mai perché diavolo si scrive. Sono affari di chi lo fa, e basta).

Si scrive per l’arte, così come uno scienziato, anche se non è Albert Einstein, studia e confronta i dati, e ricerca, e lo fa per la scienza. E nessuno ci trova niente di strano. Vero?

È uno sforzo notevole accettare di farsi da parte, poiché ovunque si celebra l’individuo, si solletica il suo bisogno di essere al centro o di stare più in alto della massa. Invece è necessario stare alla periferia, e scendere dal piedistallo.
Confondersi senza mescolarsi.

Osservare, non guardare.


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