museo del patrimonio industriale Aldini Valeriani Bologna
Pensavo che il fascino della mortadella fosse solo una questione di gola: benché come tutte le carni non faccia più parte della mia alimentazione, non ho certo dimenticato l’attrazione fatale, che il suo profumo esercitava su noi piccoli e sento ancora la mia sorellina chiedere alla mamma ” Ti prego, comprami la mortadella! Fa un LODORE! ”
Visitando il museo del Patrimonio Industriale Aldini Valeriani ho scoperto altri aspetti affascinanti di questo salume, che ha contribuito, in modo determinante, all’economia e alla buona (in tutti i sensi) fama di Bologna.
La storia della mortadella, o di qualcosa che molto le assomiglia, incomincia in epoca romana, come testimonia una stele funebre di epoca imperiale conservata nel lapidario di Bologna, in cui viene affiancata l’immagine di un mortaio a quella di alcuni maiali.
stele funeraria
La spiegazione di questo accostamento si fa risalire all’uso del mortaio nella preparazione di un salume, in particolare, serviva per pestare le spezie da aggiungervi. Il nome latino dell’insaccato era murtatum farcimen e indicava un insaccato di carni suine crude aromatizzate con mirto per prolungarne la conservazione. Ed è proprio la presenza di questa spezia, a ricondurci alla preparazione della mortadella odierna, in cui, alla carne tritata, viene aggiunta una miscela aromatica sminuzzata, detta concia, in cui il mirto è elemento fondamentale per conferire profumo e aroma tipico. Un prodotto nominato mortadella era dunque già conosciuto fin dai tempi di Augusto e Tiberio (primo secolo dopo Cristo).
Nell’alto Medioevo la corporazione dei salaroli di Bologna aveva il privilegio di confezionare mortadelle e porvi il proprio sigillo, come risulta da uno statuto del 1242. Volendo qualche citazione letteraria, tra il 1350 e il 1355 Boccaccio nomina il “mortadello” tra le pagine finali del Decamerone (riporto la citazione anche se temo che la mortadela c’entri ben poco!)
E se forse pure alcuna particella è in quelle, alcuna paroletta più liberale che forse a spigolistra donna non si conviene, le quali più le parole pesano che’fatti e più d’apparer s’ingegnano che d’esser buone, dico che più non si dee a me esser disdetto d’averle scritte, che generalmente si disdica agli uomini e alle donne di dir tutto dì “foro e caviglia e mortaio e pestello e salciccia e mortadello”, e tutto pieno di simiglianti cose.
Arriviamo al 1400 quando si ha notizia di una specie di baratto tra Milano e Bologna: i Visconti di Milano, infatti, offrivano a Bologna un bue grasso in cambio di gustose mortadelle.
Dobbiamo però aspettare il 1600 per avere la prima, vera e propria ricetta della mortadella, ad opera di un agronomo bolognese, tale Vincenzo Tanara, autore del trattato “Economia del Signore in Villa”
In questo trattato vi sono indicati tipo e quantità di spezie da utilizzare: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, muschio, pepe in grani. Oltre al sale, Tanara include nella ricetta lo zucchero e il formaggio. Tanara inoltre specifica anche la dose di tessuto adiposo, tagliato in grossi dadi, in un terzo e in due terzi la dose del tessuto magro, proveniente da tagli pregiati (spalla o coscia) e trasformato in farcia tramite “taglienti pestature”. Dopo l’insaccatura, la mortadella deve essere cotta, a temperatura moderata, in una stufa calda.
Questo scritto del Tanara è la prova che almeno dalla fine del XVII secolo viene prodotto a Bologna un insaccato di carne suina macinata e poi cotta lentamente per garantirne la conservazione a confezione intatta: la mortadella, insomma!
Questo salume veniva considerato un prodotto di lusso infatti :
una libbra (o,361Kg) di mortadella costava 9 volte più del pane, 6 volte più del manzo e dell’agnello , 3 volte e mezzo più del prosciutto e due volte e mezza più dello strutto e dell’olio d’oliva.
All’epoca, Bologna era famosa anche per la seta e la mortadella, come la seta, portava lustro alla città e per questo, la produzione dell’una e dell’altra era consentita solo entro le mura, per garantire alla città gli eventuali guadagni e al consumatore la qualità del prodotto.
A produrre mortadella, ci pensavano i salaroli, che si occupavano delle carni porcine salate, mentre beccari e lardaroli si occupavano delle altre carni non conservate.
targa in vicolo dei ranocchi a Bologna
Tra i secoli XVII e XVIII era possibile trovare botteghe di salaroli in varie zone della città, nel 1788 erano 67.
I maiali utilizzati per la produzione di mortadella erano simili al cinghiale, di piccole dimensioni, 50-60 kg.
La macellazione cominciava l’ 11 novembre giorno di san Martino e terminava il 31 dicembre. La vendita della carni suine iniziava a Pasqua.
I controlli garantivano alti standard qualitativi che ne facevano un prodotto di eccellenza. Per la mortadella si utilizzava la parte migliore dell’animale e le parti meno pregiate, quali “longia”, lardo e prosciutti, non impiegate per la lavorazione, erano destinate ai poveri.
Da quanto risulta dallo ” scandaglio” ( misurazione di costi e ricavi di tutte le fasi di lavorazione ) nel 1762 si utilizzavano per produrre mortadella:
” libre 38 di magro, libre 13 bocconcini, pepe intero onze 3, formaggio di grana,once 9,e budelle per investire. Peso complessivo a crudo 52 libbre e stufata il 22 marzo 38 libbre, posto in vendita il 17 maggio, 33 libbre.”
percentuale di carne utilizzata per mortadelle
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Un poster del Museo Aldini Valeriani è interamente dedicato a banchetti famosi in cui compare questo nobile salume
1629 Con savoiardi e cantucci inzuppati nella Malvasia, lingua lessata, pasticcio di fagiano e prosciutto figura nel simposio di benvenuto allestito a Castel San Pietro per il cardinale Antonio Barberini nuovo legato di Bologna
8 luglio 1637 compare la mortadella di fegato di maiale altra pregiata versione del salume con pan di spagna e” mangiar bianco” negli antipasti del simposio organizzato in onore del cardinale Giulio Sacchetti a Rastignano.
8 settembre 1639 nel pranzo per i Tribuni della plebe tenutosi nel palazzo del comune, la mortadella viene proposta grattata con una grande grattugia a fori larghi e servita in coppe di vetro nel servizio freddo di apertura, con coppa spaccata e prosciutto.
1644 nel convitto offerto agli stessi Tribuni, la mortadella appare affettata adagiata su un letto di verdure e accompagnata da melone in ghiaccio, melograno, fichi, olive savoiardi e paste sfogliate.
Per tutto il ‘700 fu presente negli antipasti, tra verdure, fiori di borragine frutta e salse varie.
Scene da banchetti eleganti sono rappresentate in quadri dell’epoca in cui la mortadella compare tra altri cibi raffinati, ceramiche e vetri preziosi . Dai dipinti si nota che. allora, l’insaccato aveva un colore rosso o rosa intenso ben lontano dal rosa pallido delle mortadelle attuali a dimostrazione della diversa qualità delle carni suine utilizzate.
Le immagini di dipinti raffiguranti mortadelle proposte dal museo, mi hanno ricordato la mostra ” Il cibo nell’arte” in corso a Brescia” e mi hanno fatto venir voglia di andare a cercare lì, altre immagini del prezioso salume. Non sono stata molto fortunata; ho riconosciuto la mortadella solo in tre quadri.
Eccovi le immagini della mortadella nell’arte,quelle del museo e quelle trovate a Brescia.
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Sebbene la mortadella fosse nato come un prodotto squisitamente artigianale, seppe mantenere la sua fama anche con l’avvento dell’industria. Con l’unità d’Italia e il potenziamento dei trasporti ferroviari iniziò l’avventura della mortadella industriale
Verso la fine dell’ ‘800, entrare in un industria di produzione di mortadella significava vedere una quantità incredibile di macchine in azione: per pestare e ridurre la carne in una pasta finissima, per togliere ogni parte nervosa sfuggita al coltello, per triturare la cotenna di maiale operando in senso verticale con più coltelli, per tagliare i quadrelli di lardo da mettere nella mortadella, per macinare il sale o per tagliare 30 Kg di mortadella in un’ora a fette sottili come un foglio di carta.
Curiosità : un grandissimo impulso all’esportazione di questo salume, fu l’invenzione delle scatole per alimenti e fiorentissima divenne l’esportazione della mortadella in scatola. “Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, il salsamentario Alessandro Forni mette a punto un metodo per inscatolare la mortadella, superiore alla conservazione sotto vetro secondo il metodo Appert, da lui stesso introdotto nel 1862. Per ottenere una lunga conservazione della carne, le scatole vengono immerse a bagnomaria in vasche di acqua calda. Un foro praticato sul coperchio, poi sigillato con stagno, permette all’aria di uscire a bassa temperatura”.
Negli anni successivi la mortadella in scatola (normalmente in grosse fette da 250-500 grammi) avrà un notevole successo commerciale, grazie anche alla pubblicità ottenuta dalle ditte bolognesi partecipando assiduamente alle fiere nazionali e internazionali, finché nel 1881 oltre il 65% della produzione sarà destinata all’esportazione, in Francia, Germania, Inghilterra, Turchia, Egitto e nelle Americhe.
Alla fine dell’ ‘800 il confezionamento alimentare a Bologna utilizzava la latta come contenitore avvolgente. In alcuni casi i contenitori venivano prodotti nelle aziende che li utilizzavano. queste scatole non venivano usate solo per conservare e spedire mortadelle e salumi , ma servivano per pomodori, terra di caucciù e lucido per scarpe. Negli ultimi decenni dell’800 venivano vendute 500.000 scatole di mortadella, circa 1500 quintali. Nel momento di massimo splendore, si pensa che la produzione possa essere addirittura arrivata a 2.000.000 di scatole e solo due imprese inscatolavano: Filippo Benfenati su commessa pubblica e con un suo brevetto del 1890 e i fratelli Nenzioni che producevano scatole bianche o cromo-litografate.
Alla fine dell’ottocento la produzione di mortadella era ripartita fra 70 imprese e 200 piccoli esercizi. Il settore dava da vivere a 1000 lavoratori tra stabili e stagionali.
Ma veniamo ai giorni nostri. Oggi la mortadella Bologna è prodotta secondo un ben preciso disciplinare che potrete leggere qui.
Vorrei ora soffermarmi sui valori nutrizionali di questo insaccato e su come si siano modificati nel tempo. Si tenga presente presente che 1 g di proteine fornisce 4 kcal ( 16,7kJ), il valore sale a 9 kcal per i lipidi (37.7 kJ), mentre 1 g di glucidi fornisce 3,75 kcal (15,7kJ).
Sul Fidanza Liguori del 1984 si trovavano questi valori per 100 g di parte edibile di mortadella:
protidi 13,9g
grassi 39,9g
acqua 41g
kcal 415 (1736 kJ)
Oggi la composizione chimica media della mortadella tradizionale, per 100 g di parte edibile, è:
protidi 12 g;
lipidi 33 g
umidità 52 g
kcal 345
per alcuni tipi di mortadella i grassi scendono al 28%
C’è uno sforzo notevole da parte dei produttori per ridurre il contenuto energetico di questo prodotto e, lavorando sulla scelta delle materie prime e sulle tecniche di lavorazione, il contenuto calorico si è notevolmente abbassato fino ad arrivare a 350 kcal e in alcuni prodotti, sono addirittura al di sotto delle 300 kcal.In ogni caso, come per la gran parte dei salumi, il problema della mortadella è l’alta percentuale di grassi e il fatto che il valore energetico dell’alimento sia, di conseguenza, estremamente sbilanciato verso i lipidi. Faccio un esempio ;
prendiamo la mortadella con 12 g di protidi e 28 g di lipidi
12×4 kcal = 48 kcal
28×9 kcal = 252 Kcal
sono 300 kcal totali, ma i grassi ne rappresentano ben l’ 84%!
Questo non demonizza il panino con la mortadella, ma non ne rende consigliabile l’ uso giornaliero.
Una rosetta vuota con una fetta di mortadella sono circa 221 Kcal e può essere considerato un buon spuntino ( ho detto “rosetta vuota e una fetta di mortadella”, cari studenti e studentesse, e non quelle “girelle” unte stracolme di mortadella che nascondete sotto il banco e divorate durante l’intera mattinata!)
Per ribadire il concetto, ecco la piramide alimentare: osservate con attenzione dove sono i salumi e qui troverete il valore delle porzioni.
piramide alimentare
Comunque, dopo questa tirata sui valori energetici della mortadella e, a dimostrazione della mia sfrenata ammirazione per Lucignolo, come conclusione di questo post, propongo una ricetta ipercalorica tipica della cucina bolognese ( gli ingredienti e le modalità di preparazione sono depositate alla camera di commercio come tutte le ricette tradizionali bolognesi).
spuma di mortadella
E, un po’ per via di Lucignolo, un po’ perché è un’ occasione per proporre un pizzico di scienza, vi mostro la rivisitazione della ricetta ( mi pare di capire dovuta al divino Massimo Bottura!), che prevede una modifica delle dosi degli ingredienti, ma soprattutto l’uso di questo particolare sifone che permette di utilizzare ossido di diazoto (N2O) per ottenere mousse perfette.
Ricetta salata: Spuma di mortadella
150 gr di mortadella
100 gr di panna
100g di ricotta fresca
1 cucchiaio Parmigiano Reggiano
Frullare finemente la mortadella. Unire la panna, ricotta, parmigiano e un pizzico di sale e pepe. Versare il composto nel sifone. Chiudere, inserire la cartuccia di gas e agitare Mettere in frigo e servire all’occorrenza. Si conserva per un paio di giorni.
Per scoprirne tutti i segreti vi mando sul blog ” La cucina scientifica di Moebius” di Davide Cassi e Chiara Albicocco
“Ero stufo di mousse pesanti e senza gusto. Grazie al sifone usato per montare la panna ho capito di aver trovato la macchina giusta per poter realizzare spume di verdure, frutta fresca e secca, erbe e spezie”. Così uno dei cuochi più apprezzati del mondo, Ferran Adrià, spiega la sua intuizione di utilizzare il sifone per rendere spumoso qualsiasi ingrediente mai montato prima. E’ il 1994. Questa data segna la nascita della cucina scientifica creativa e l’ascesa -non ancora conclusa- del celeberrimo chef, soprannominato ai tempi ‘Mister Sifone’”
Qualunque sia il modo che avete scelto per produrre questo antipasto, ricordate di dividerlo con almeno 12 invitati e …
buon appetito!