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Parole da campagna elettorale: il reddito di cittadinanza

Creato il 01 marzo 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

Parole da campagna elettorale: il reddito di cittadinanzaImu, tasse e lavoro sono state tra le parole più usate durante la campagna elettorale appena chiusa. Le più usate, ma non le uniche. Molto ricorrente, specie durante i comizi di Beppe Grillo e del suo Movimento 5 Stelle, ma riportata anche da Sel di Vendola, Rivoluzione Civile di Ingroia e persino da Scelta Civica di Monti, è stata anche un'altra parola: "reddito di cittadinanza".

Cos'è, di preciso? Detto in parole povere: è un reddito minimo, garantito dallo Stato, per sostenere tutti i cittadini che, privi di lavoro, non possono sostenere se stessi e le loro famiglie, con la differenza, rispetto all'Aspi (che dura al massimo 18 mesi), di non avere alcun limite di tempo. Insomma, finchè non trovi un lavoro, lo Stato ti garantisce un'entrata economica, per non lasciarti morire di fame.

Una misura del genere è prevista, in gran parte dei Paesi del Nord Europa, tant'è vero che la sua introduzione "ce l'ha chiesta l'Europa". Ebbene sì, la stessa UE che ci ha imposto l'austerity, ci ha anche chiesto di inserire il reddito di cittadinanza tra le misure da adottare; ma se i nostri politici sono stati velocissimi a mettere in pratica il primo consiglio, il secondo è stato ampiamente ignorato, con la scusa che "non ci sono i soldi".

Tenendo conto che il reddito di cittadinanza dovrebbe coprire le esigenze minime della vita e tenendo presente che, in Italia, la soglia di povertà relativa è di circa 600 € mensili per un single e di circa 1.000 € per una coppia, occorrerebbero dai 20 ai 30 miliardi di euro l'anno per garantire il sussidio.

Impossibile provvedere? Non proprio: la Corte dei Conti ci dice, infatti, che dalla lotta all'evasione fiscale ed alla corruzione si possono ricavare poco meno di 200 miliardi l'anno; una somma di tutto rispetto, che andrebbe ad integrare i circa 18 miliardi annui (54 miliardi spesi nel solo triennio 2009-2011, dati Uil), che lo Stato spende già in ammortizzatori sociali (cassa integrazione, Aspi e mobilità). Sarebbe un'ottima scusa per dare una spallata ad evasori e corrotti.

Con una revisione totale degli ammortizzatori sociali, inoltre, si potrebbe addirittura superare la precarietà e trasformarla in flessibilità vera e propria. Una sola forma di sussidio universale (il reddito di cittadinanza o come lo si vorrà chiamare), non legato a nessuna durata e che copra i bisogni minimi necessari (in Paesi come la Germania e l'Inghilterra, ad esempio, sono previsti supplementi al sussidio anche per pagare l'affitto), in un mercato del lavoro sempre più flessibile, permetterebbe ai precari di affrontare i periodi di disoccupazione senza patemi d'animo, senza recedere dai propri diritti (livello del salario, orario di lavoro, reperibilità, malattia, ecc.) e, addirittura, di programmare la propria vita lavorativa (ad esempio: dopo aver terminato un contratto, non rimettersi subito alla ricerca di un nuovo lavoro, perchè prima si vuole frequentare un master o un corso professionale o di specializzazione,  per arricchire il proprio CV e trovare un posto di lavoro più remunerativo).

Ovviamente, servirebbe un tipo di legislazione che impedisca a furbi e fannulloni di approfittarsene: ad esempio, imponendo un limite massimo di offerte di lavoro che si possono respingere (il Movimento 5 Stelle suggerisce un massimo di 3, in linea con l'istruzione e l'esperienza lavorativa), per non incorrere nella sospensione del sussidio. Oppure, come suggeriva Pietro Ichino, nel suo progetto di flexicurity, di sottoporre i disoccupati a formazione continua.

Possiamo dire che l'idea è buona e fattibile, manca solo (per ora) la volontà di metterla in pratica. Se si riuscirà a formare una maggioranza, il nuovo Parlamento dovrà tenerne conto.

Danilo


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