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Per giocare bene a tennis bisogna essere stupidi Open di Andre Agassi

Creato il 30 settembre 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

Open largeIl primo a dirmelo è stato un amico che faceva il maestro di tennis quando avevo vent’anni. Per giocare bene a tennis non bisogna essere troppo intelligenti. E’ stata una specie di rivelazione a cui ho continuato a pensare. Ma come, essere intelligenti non è sempre un vantaggio? La sua spiegazione era convincente eppure non riuscivo a capacitarmi che l’intelligenza potesse essere un ostacolo. Invece è proprio così. Sentite che ne dice un campione come Andre Agassi:
“Pensare è il peccato capitale. Pensare, così la vede mio padre, è la causa di tutti i mali, perché pensare è il contrario di fare. Quando papà mi scopre a pensare, a sognare a occhi aperti, sul campo da tennis, reagisce come se mi avesse sorpreso a rubare dal suo portafoglio. Spesso mi chiedo come si faccia a smettere di pensare. Mi domando se mio padre mi grida di smettere di pensare perché sa che sono un pensatore per natura. O sono stati tutti i suoi strilli a fare di me un pensatore?” 

Veramente il padre di Agassi voleva fare di lui un campione di tennis. Ci aveva già provato con suo fratello e sua sorella senza successo e quindi con il piccolo Andre divenne implacabile.
A sette anni lo costringe a stare ore e ore sul campo da tennis, inventa per lui una macchina che gli sputa addosso palle a un ritmo vertiginoso e che ha reso particolarmente spaventosa di proposito (il drago), ha alzato la rete di 15 centimetri rispetto all’altezza regolamentare per rendergli più difficile superarla e passa tutto il tempo a urlare e a incitarlo. Persino la scuola viene sacrificata al tennis. Con questo risultato:

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“Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e contino a giocare, e questo divario, questo conflitto tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita…”

Il tennista statunitense Andre Agassi ha scritto la sua straordinaria autobiografia, Open, che è diventata un best seller internazionale, avvalendosi dell’aiuto dello scrittore, premio Pulitzer, J.R.Moehring. Agassi aveva una bella storia da raccontare e J.R.Moehring la capacità di scriverla. Ne è venuto fuori un racconto forte, incalzante, che ti tiene attaccato alle pagine. La scrittura è semplice, tutta al servizio della storia, niente guizzi di stile, ma non se ne sente la mancanza.
Torturato fin da quando era piccolissimo da un padre dispotico e ossessivo che gli impedisce di vivere una vita normale, il piccolo Andre non può giocare con i fratelli o gli altri bambini. Il padre lo obbliga a giocare nel campo da tennis che lui stesso ha costruito nel giardino della loro casa, circondata dal deserto, alla periferia di Las Vegas.

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“Il tennis è uno sport maledettamente solitario” scrive Agassi: “Di tutti gli sport praticati da uomini e donne, il tennis è il più simile all’isolamento carcerario, il che porta inevitabilmente a parlare da soli”.

Open non è un libro per tennisti o per appassionati di tennis e questo spiega il suo straordinario successo. E’ un libro emozianante, che fa piangere, in cui il protagonista, condannato al tennis come ai lavori forzati, riesce ogni volta a risalire proprio quando sta per affondare.
Vediamo come sotto una lente d’ingrandimento il difficile rapporto con la competizione, lo stress di reggere una tensione costante e soprattutto scopriamo, insieme ad Agassi, quanto vincere o perdere, sia soprattutto una questione mentale.
Oltre all’intelligenza c’è un altro nemico che Agassi deve affrontare ed è il perfezionismo. Altro paradosso. Lo scoprirà a metà del libro, a 24 anni, quando il suo nuovo coach Brad Gilbert gli farà capire che il suo problema è che cerca di essere perfetto ad ogni tiro. Questo è un inutile spreco, non ce n’è bisogno e anzi è controproducente. Inoltre non è possibile e quindi così può solo irritarsi e perdere la fiducia in se stesso.

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Andre Agassi con Brooke Shields

Condizione sine qua non per diventare un campione è una squadra. Agassi, grazie al suo intuito, ha saputo circondarsi di persone eccezionali – allenatori, coach, maneger – senza i quali non avrebbe potuto farcela perché essere un campione è un’impresa collettiva.
E poi c’è una storia d’amore come tutti vorremmo avere. Prima la relazione e il matrimonio con l’attrice Brooke Shields e poi Stefanie Graf che diventerà la sua seconda moglie e la madre dei suoi figli. Steffi, a sua volta campionessa di tennis, è la donna che rappresenta da sempre l’ideale di Agassi.

Per giocare bene a tennis bisogna essere stupidi Open di Andre Agassi
Steffi Graf

Ma torniamo alla questione iniziale. E’ vero che per giocare bene a tennis bisogna essere stupidi? Agassi lo impara a sue spese nelle competizioni internazionali:
“Mi supplico di non pensare a quello che può succedere. Non pensare, Andre. Spegni il cervello”.
Oppure si trova a invidiare il suo più ostico avversario, Pete Sampras, per la sua ottusità e per la sua “straordinaria mancanza di ispirazione”. Per lui invece “milioni di palle” corrispondono a “milioni di decisioni” e già in questo c’è qualcosa che non va perché pensare ti rallenta. Per vincere devi essere puro istinto, una specie di automa, proprio come il drago sputapalle contro cui si allenava da bambino.

Agassi bacia
Il tennis non tollera troppi grilli per la testa e l’intelligenza sono grilli.
D’accordo, ma Agassi che per 21 anni è stato un numero uno, andando ben oltre quello che un campione può fare, sembra essere proprio la dimostrazione del contrario. E’ grazie alla sua straordinaria intelligenza che è riuscito a vedere i difetti dei suoi avversari e a giocare sfruttandoli a suo vantaggio: il suo gioco era frutto di una mente raffinatissima e allenata. Tra una palla e l’altra lui si è fatto mille domande su se stesso e il senso della vita, mentre stava nel pieno della tensione tra vincere e perdere. Il segreto del suo successo non è forse in quelle milioni di palle che erano altrettante decisioni? Quelle palle sono state davvero rallentate dal pensiero o potenziate dall’intelligenza che le muoveva? Che ne dici di questo Andre? Voi che ne dite? La questione è da meditare.


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